domenica 30 gennaio 2011

Danae

Come Alvy Singer - il protagonista di "Io e Annie"- anche io mi innamoro sempre delle donne sbagliate.
Danae  era tutto e il contrario di tutto: bella come una modella di Modigliani, elegante come la fioritura dei ciliegi, gentile, calabrese quel poco che basta, tormentata nei suoi inferni,intelligente,fredda e razionale come un killer; una donna- putroppo per me- con un cuore intrappolato, congelato in un groviglio di ossa e muscoli ma che non riesce a pompare sangue, a trasmettere sentimenti.
Vorrei poterle dare metà del mio, anche solo un  atrio o un ventricolo e farle provare come si vive,come vive una persona che ama e che per un attimo mette in stand by il cervello.
La pena più grande? quel "rimaniamo buoni amici".
Non ci riesco,sono un tipo all'antica, forse sbaglio forse no.
 Ma rinunciare alle sue labbra, al profumo dei suoi capelli è la cosa più dura che mi potesse capitare.
Credetemi.

sabato 29 gennaio 2011

Seduto in una stanza

                                                         Seduto in una stanza disordinata
senza scarpe
la tv accesa
il pantalone sbottonato
la pizza sullo stomaco
la spazzatura piena
le lenzuola a terra
il pavimento sporco
il libro sul comodino
la pancia pelosa
le pantofole di spugna
i capelli bianchi
i piedi stanchi
la musica di De Andrè
le lacrime agli occhi.
Non pensavo che una ragazzina
di cinquanta chili
potesse farmi del male così.

venerdì 28 gennaio 2011

Il mio sbaglio



Ho sbagliato un'altra volta,per la terza volta; e stavolta il colpo si sente, va su come una botta di erba fumata dal bong e che ti lascia stordito tra il reale e il sogno.
Ho sbagliato ma non mi pento di nulla,rifarei tutto mille volte.
Tutti hanno bisogno di uova, è vero, ma è anche vero che bisogna saperle cucinare perchè in giro c'è la diossina e crude fanno venire la diarrea.
Ritornerò più forte di prima ma nel frattempo fatemi marcire nel mio inferno e non cercate di bussare alla mia porta, perchè tanto non vi aprirò.

Una botta di culo


Il mondo sta andando a rotoli.
Lo urla il popolo, lo mostrano alcune tv, lo gracchia la radio, lo bisbigliano i giornali, lo mormorano persino i ricconi d'alto bordo che nulla avrebbero da lamentarsi di questo Paese delle Meraviglie chiamato Italia avvolto in questo benessere di carta velina che non soddisfa nessuno.
Ci vorrebbe una botta di culo. Una di quelle potenti però.
Peccato che quello di chi comanda sia flaccido (così dice l'igienista dentale Nicole Minetti in una delle recenti intercettazioni) e i lifting costino cari.
Eppoi di certi avventurieri pezzi di merda potremmo anche fare a meno se volessimo.
Ognuno di noi potrebbe compensare con il ritmo, l'impegno e il sacrificio ma quando scopri che per quanto ti impegni gli altri arrivano sempre prima di te come proiettili sparati da chissà quale mente diabolica neanche cento litri di Chinotto possono restituirti un rapporto equilibrato con la realtà.
Non resta quindi che rivolgere lo sguardo al dizionario e ripassare con cura il significato di alcuni lemmmi(lealtà, onestà, giustizia) di cui noi occidentali abbiamo perso cognizione e sperare che prima o poi arrivi.
Cosa?
Una botta di culo. Ce ne vorrebbero per tutti. Personalizzate.
Ce ne vorrebbe una pure per me.
Una di quelle potenti però. Che mi faccia schizzare nelle prime file e mi rimetta in pace con la vita. Una di quelle che mi faccia arrivare all'incrocio dei pali dell'esistenza e mi faccia scorgere la silhouette di un raggio di sole così forte da coprire in un attimo le nuvole che ogni giorno s'addensano nere sulla mia testa.
Oggi non è stato quel giorno.
Uscito di casa sono stato accolto da un'acquazzone infernale e ad un incrocio stradale un tale pieno di gel per poco non mi investiva.
Tutto per colpa di questa vita piena di Ritmo.
A me, oggi a pensarci bene, sarebbe bastata una Abarth 112.
Ma certi sogni nascono e muoiono all'alba. E' qui siamo già al tramonto.

giovedì 27 gennaio 2011

La guerra è brutta


la guerra è brutta perchè paralizza ogni brandello di umanità;
La guerra è brutta perchè fa dimenticare ogni viso amico;
la guerra è brutta perchè costringe ognuno ad indossare una divisa troppo stretta e troppo uguale per tutti;
la guerra è brutta perchè distrugge tutti i valori presenti sulla faccia della Terra;
la guerra è brutta perchè quando è finita non sai da che parte ricominciare;
la guerra è brutta perchè è dentro di noi e non lo sappiamo;
la guerra è brutta perchè quando arriva spazza via tutti i sogni;
la guerra è brutta perchè poi combina tanti di quei disastri che ognuno di noi deve faticare un sacco per ritrovarli;
E in mezzo alle macerie anche il paradiso s'oscura è il sole chiede lo sfratto al cielo
per cui meditate cari lettori meditate se la vita può essere mischiata con la morte...!
A me certi cocktail non piacciono e questo non lo berrei di certo...!

Ricordando l'orrore di Auschwitz

Felicità


Stamattina credevo di   essere un grande uomo, invincibile nel mio cappotto grigio topo.
Stanotte invece, mentre Il Gallo è dietro di me, sento di non esserlo più: troppi pensieri per la testa, troppi chili di troppo e troppo di tutto,di tutti.
Ma stasera ho scoperto  che un padre ed una madre,seppur anziani, posson far tanto per un figlio e renderlo con poco, un ragazzo felice.
Una tavola imbandita, due crostate, una torta, un fiasco di vino e una bottiglia di liquore della peggiore marca possono riscaldarti il cuore anche se fuori ci sono appena tre gradi.
E forse è davvero questa la vera felicità un po' come l'abbraccio di una ragazza.
Ma questo è un altro discorso.

mercoledì 26 gennaio 2011

Le gemme della vita


Le persone anelano sempre quello che non possono avere e affermano quello che non potrebbero dire neanche se sapessero parlare tutte le lingue del mondo.
In compenso sanno leggere. Non libri intendiamoci. Calendari invece. A bizzeffe.
Per cui ne sono certo: domani Giorno della Memoria, la mia bacheca biancoblù su Facebook sarà invasa da una miriade di link struggenti e indimenticabili per non dimenticare quello che loro dimentichernno presto, subito e in fretta il giorno dopo. Come una scopata malriuscita o un tentativo fallito.
D'altra parte è la logica di Facebook e se ci pensate bene della vita. Riempirsi il salotto di onorificenze, attestati e diplomi che poi regolarmente non serviranno a niente e saranno comunque maciullati dalla betoniera infernale dalla vita. Ma intanto riempiono la pancia e tappano il buco dell'indifferenza. Come i grissini. Ne puoi mangiare in quantità industriale senza ingrassare di un etto.
Molti rivoluzionari dell'ultimm ora, passano la vita a turlupinare milioni di casalinghe disperate spiegando loro come sfuggire all'obbligo delle menzogne illuminate di castità.
Io non so darvi soluzioni in merito.
So soltanto che oltre al cuore delle cose e delle persone non mi ha mai interessato nient'altro.
Le persone si perdono, si cercano e se proprio non si trovano si ritrovano. Io sono lì intorno. Dove muoiono le emozioni, vegliano affranti i silenzi delle mie impronte.
La mia unica ambizione è quella di non essere nessuno e a quanto pare ci sono riuscito alla grande.
Cosa voglio dalla vita? Nulla! Perchè oltre lo stretto necessario tutto mi sembra superfluo.
Per cui se diventerò qualcuno non mi stacchèrò mai da quello che sono stato.
Convinto che anche sui ruderi della vita ci sono gemme tanto belle da meritare un apprezzamento, nessuna nebbia sarà mai cosi fitta da impedirmi di raccoglierle.

lunedì 24 gennaio 2011

Una buona ragione per ricominciare


Non ci accorgiamo delle vite degli altri finchè non ci sbattiaamo contro.
La verità è che nulla mi ha veramente colpito al punto da sconvolgermi. E' per quanto in un'altra vita mi sia divertito passando da una donna all'altra nessuna mi ha fatto arrivare al punto da rinunciare a me stesso. Nessuna mi ha veramente fatto scoprire il paradiso. Ho intravisto degli scorci, odorato profumi, abbracciato scheletri accontentandomi di gioie precarie e movenze incantatrici. Ho compiuto delle soste aai box. Come si fa con le macchine. Senza giungere al traguardo.
Ho licenziato la banalità. Ma non sono ancora giunto all'originalità. Quello che scrivo lambisce appena il palo, non centra la porta. Non ancora almeno. Guardandomi indietro m'accorgo d'essere drogato da fantasmi. Ectoplasmi densi di un calore che non ho più. Solo le mie mani rimandano sorprendentemente a quel tempo impastato di certezze intatte. Me le guardo spesso infatti. Immaginando falangi che non s'intersecheranno più con le mie. Le sue mani. Le ho talmente idealizzate da immaginarle in quelle di altre cercando inutili palliativi. Ho ridotto il mondo ad una serie d'opposizioni uguali e contrarie arrestando l'attrito del puro piacere cercando assolute profondità in un campo vacuo e trasparente. Ho un attenuanre comunque: in quelle lande aride e senza speranza ho cercato la vita. Ma ho trovato solo una mera rapppresentazione. La vita si nasconde se non la cerchi davvero. Ho bisogno di luce. Ho bisogno di vita. Ho bisogno della luce della vita. Una buona ragione per ricominciare a cercarla.

domenica 23 gennaio 2011

Inculati e contenti

Mentre Berlusconi si sollazzava con le amichette di via Olgettina, veniva celebrato il funerale di Luca Sanna, ultima vittima della guerra in Afghanistan.
Pochi giorni prima un’oscena Barbara D’Urso metteva in mostra il dolore di Francesco Nuti con un siparietto misero e orrendo tra ospiti assurdi – un premio Strega, due politici, uno che parla con le piante ma non rifiuta le piantane, una conduttrice radiofonica-  e incoerenti.
Totò “vasa vasa” Cuffaro  viene condannato a sette anni per favoreggiamento a Cosa Nostra e Lele Mora presenta il nuovo libro di Alfonso Luigi Marra (Il labirinto femminile)  prendendo il posto di Manuela Arcuri.
Se qualcuno di voi ancora non se ne fosse accorto, l’Italia sta andando a puttane o forse dovrei dire che è la puttana di un sistema enorme che si diverte a sodomizzarla.
Alla base di quel sistema ci siamo noi, povere vittime indifese.
Trovatevi una facoltà che vi piace, una donna da amare , pagate la benzina a 1,52 euro,disperatevi per un lavoro che non troverete mai,lamentatevi perché la vostra coinquilina fa gli esami da raccomandata, abitate in un alloggio popolare, ingozzatevi a mensa mattina e sera,mangiatevi le mani perché desiderate un paio di rayban nuovi, incazzatevi per gli aumenti delle assicurazioni  e poi tornate a casa e sedetevi di fronte la televisione a guardare la bagarre in senato e in parlamento dei politici di mamma Roma: ci stanno sfondando il culo senza neanche usare un po’ di vasellina o di lubrificante.
 Tunisia e Albania negli ultimi giorni sono state teatro di  violente manifestazioni contro il governo locale ma da noi non accadrà mai, statene certi.
Il nostro Premier, come Nerone dopo l’incendio di Roma, farà promesse alla popolazione (meno tasse, meno immigrati, più programmi sul digitale,più lavoro).
E saremo tutti inculati e contenti.



giovedì 20 gennaio 2011

Comici

Lo ammetto è stata una bella serata, una di quelle che alla fine ricorderai perché eri con gente giusta al posto giusto. C’erano tutti: il belloccio, il simpatico,la santarellina, la sconosciuta, due fratelli strani come solo loro sanno essere, la ragazza elegante e quella  simpatica, l’attore mancato, l’astronomo che perde facilmente la sua stella polare, il politico in erba.
E poi c’era lui, Emanuele, “il comico”.
 Capello unto, cravatta viola, voce roca alla Tom Waits,questo figlio di Cosenza vecchia, cresciuto ascoltando i monologhi di Totonno Chiappetta, Pino Gigliotti  e Paolo Marra,ignora o forse non sa, che per far ridere non bisogna snocciolare frasi in dialetto e vecchie barzellette ormai trite e ritrite.
La comicità e la satira sono ben’altra cosa,chiedetelo agli americani che ne hanno fatto un vanto nazionale passando dai fratelli Marx a Woody Allen ,Bob Hope, Bill Maher e tanti altri.
Per questo in Italia  ci meritiamo Zelig e Colorado Cafè, dove Geppi Cucciari e ilprincipe cacca vengono eletti come simboli del moderno umorismo.
Preferisco,allora, ascoltare o leggere i discorsi di Berlusconi.
A lui le battute non gliele scrive mai nessuno.

martedì 18 gennaio 2011

Bla... Bla.... Bla...


Chi pensa che i convegni siano roba per vecchietti barbosi e sonnolenti si sbaglia di grosso.
Ieri pomeriggio mentre seguivo un convegno intitolato a Fabrizio De Andrè uno sciame neanche troppo convinto di anime protestanti è entrato in sala, e dopo aver inscenato una pantomima degna del migliior teatro concettuale, hanno dato sfogo alla loro voglia di stravolgere lo svolgimento dei lavori tentando (senza peraltro riuscirvi), di politicizzare una manifestazione che poi e proseguita alla grande.
Guardando quell'uomo col megafono mi sono reso conto del perchè in italia le proteste non funzionano.
Le proteste si organizzano non s'appaltano. I protestanti spiegano non affermano, chiedono, non approfittano, salutano non fuggono.
E' i governanti ridono. Per forza: se i protestanti blaterano...
In cuor loro lo so, vorrebbero scuotere il sistema, cambiare le cose. Ma per noia o mancanza di idee, s'assoggettano senza rendersene conto al loro aguzzino copiandolo alla perfezione.
Come dice d'altra parte il proverbio? Ah sì ecco: Se non puoi combatterlo fattelo amico.
Chissà forse potranno aggiungerlo su Facebook. Per il resto la vedo dura.
L'uomo col megafono infatti non aveva tette ne lineamenti esotici. Era solo un uomo col megafono.
Appunto: solo

lunedì 17 gennaio 2011

Elogio di un campione che non finisce mai: Alessandro Del Piero


E’ con questo sono 181!!!
Ha giocato bene, e sorpreso tutti, ancora una volta Alessandro Del Piero lasciando le chiacchiere agli altri. A chi voleva pensionarlo prima del tempo, a chi voleva speculare sul suo sipario.
Così tra prestazioni da urlo e sottili polemiche mutate in una linguaccia capace di far male, si sta consumando lo splendido finale di carriera di Del Piero.
Poche ombre nella sua ormai ventennale carriera cominciata a pochi chilometri da casa sua a Padova, ma tali da sbatacchiarlo a terra come un ronzino a fine corsa. Battuto, deriso, a volte sbeffeggiato da critiche abnormi lui è sempre riuscito a riprendersi fisicamente e moralmente come un novello Lazzaro tanto da riuscire a considerare quei dardi velenosi per quelli che erano: chiacchiere da bar. Robaccia minimale ed ininfluente. Buchi neri miseri ed infinitesimali in mezzo a galassie costellate da lampi luminosi che gli hanno regalato matematiche certezze e primati clamorosi. Nella storia del calcio italiano ed europeo. Prima di tutti. Sopra tutti.
Gli altri s’infortunano, si fermano, si ritirano. Altri ancora invece, si nascondono, in silenzio e lo aspettano al varco concedendosi il tempo e il lusso di covare una rivincita, il sogno di smontare quel mito bianconero lì. Lui che ha sempre odiato star defilato sulla fascia, sta lì avanti, a far da balia anche a chi (Giannetti), con un po’ di fantasia potrebbe esser suo figlio a prender le botte come fosse uno zimbello qualunque.
Poi compri per il ventesimo anno consecutivo l’album Calciatori Panini e ti accorgi che quel giovane, è vecchio pure lui. Ha trentasei anni suonati. Accendi il televisore e lo vedi che vola anche lì, infilato tra serate pubbliche, premi da prendere, da dare. E’ stanco, martellato da impegni che chi lo sa, forse odia, infilato dentro un sogno dichiarato: fare meglio, altro, di più. Lasciare un segno dove gli altri forse, non arriveranno mai.
Questione di motivazioni. Questione di ambizioni.
L’ambizione è il motore trainante dell’ultima parte della carriera di Alessandro Del Piero. Una fase quella della pensione, che Del Piero non sopporta e che allontana ad ogni gol, spaventa ad ogni esultanza, intimidisce ad ogni linguaccia.
Del Piero non molla, non vuol perdere una partita a costo di litigare con la sua Juve, di mettere in crisi una società che stenta a rinnovargli il contratto e che a differenza sua, qualche nervo scoperto l’ha, lo copre a fatica, lasciandolo a volte, intravedere.
Orgoglio, sopra il talento. Rabbia sopra ogni traguardo raggiunto. E’ la sua forza, che lo trascina, lo trasporta, anche quando potrebbe soprassedere, trascurare, ignorare, i confronti da quarto stato. In campo, in lotta sempre, come se la sua fame di vittorie fosse insaziabile, come se la sua fame di gol non finisse mai, come se la memoria sua e di chi lo guarda, fosse debole, inconsistente, da rinfrescare, ridipingere di bianconero, con una pennellata domenicale indimenticabile. Come ha fatto ieri. Come fa sempre. Da sempre.

sabato 15 gennaio 2011

Il made in Italy nel calcio fa ancora tendenza


Manca pochissimo all’inizio del girone di ritorno del campionato di calcio di Serie A.
Spendiamo queste ultime ore d’attesa con alcune considerazioni, le quali sebbene parziali possono comunque esser utili per qualche vostra riflessione. (scrivetele sotto mi raccomando!)
Il madeItaly nel calcio fa ancora tendenza.
Questo è quanto emerge guardando la classifica del campionato di Serie A al termine del girone d’andata, che vede in testa il Milan di Massimiliano Allegri.
Per la spettacolarità del gioco, l’attrazione sul pubblico e l’organizzazione societaria, è difficile definire il nostro campionato il più bello del mondo.
Astruserie tattiche e il soffocamento sistematico del talento e terreni di gioco al limite della praticabilità, sono alcune delle caratteristiche denunciate in negativo in questa stagione che tengono lontani gli spettatori ormai catturati dalle reti a pagamento.
Se fatichiamo però a proporre un calcio decente, siamo bravissimi a distruggerlo e quando va proprio male ad accontentarci di quel poco che passa il convento.
Anche per questo fa piacere sottolineare al termine del girone d’andata il primato del Milan di Allegri bravissimo a districarsi dall’enigmatico e nostalgico Ronaldinho sostituito da quel gran mattacchione attaccabrighe di Antonio Cassano chiamato all’ennesima prova di maturità di un’agitata carriera.
Festeggiamo il grande ritorno di Leonardo uomo dalla chioma fluente (beato lui!), e dal linguaggio chiaro capace di risvegliare quei cagnoni addormentati dell’Inter andati in letargo prima del tempo con il letargico Benitez.
E per uno straniero che se ne va (appunto lo spagnolo Benitez), un brasiliano che arriva anzi no: ritorna (Leonardo appunto), che per antica frequentazione, è in pratica un assimilato da almeno un decennio.
Gol, gioco persino spettacolo, divertimento e un’incredibile costanza di rendimento caratterizzano il Napoli di Walter Mazzarri, un allenatore che fino a qualche mese fa, appariva buono quasi soltanto per portare le sue squadre verso lidi tranquilli sta lì a quattro punti dal Milan; dalla messa in mora o giù di lì ecco il Bologna di un redivivo Alberto Malesani allenatore di un Bologna ricco di combattenti che corrono come dannati mascherando limiti tecnici evidenti sulla carta; mentre Delneri e Rossi mantengono Juventus e Palermo che hanno organici inferiori a Barcellona e Real Madrid, si contendono un posto nella prossima Champions League.
Concludiamo dando un calcio. Un calcio a quei presidenti malati d’esterofilia che nel nome di chissà quali ambizioni, per strappare qualche abbonamento in più, chiamano allenatori stranieri che poi si rivelano lontanissimi dal nostro calcio. Il tutto mentre Fabio Capello Giovanni Trapattoni e Alberto Zaccheroni diffondono verbi diversissimi ma ugualmente efficaci in Inghilterra, Irlanda del Nord e Giappone. A non dire poi di Carlo Ancelotti e Roberto Mancini due uomini dallo stile diversissimo ma ugualmente vincenti sulle panchine inglesi del Chelsea uno, e del Manchester City l’altro.
Calcio brutto il nostro? Può darsi: di sicuro complesso, chiuso, scuro e difficile. E finché sarà così, un altro Mourinho sarà impossibile da vedere da queste parti.

venerdì 14 gennaio 2011

Una bella giornata

Sono un obeso e non so chi prendermela se non  con me stesso.
Anni di stress alimentari, mangiate epiche e bevute colossali hanno allargato il mio corpo e ristretto la mia mente, il mio modo di pensare.
Sono un grassone e passo il mio tempo a lamentarmi sul perché ogni volta che ingoio qualcosa,lievito come una forma di pane o una pizza con la scarola.
Poi però accade qualcosa.
Entro  in un bar circondato da gente che non conosco ( porca puttana tutti magri…o il mondo si è ristretto o mi sono di nuovo allargato!!!) e un ragazzo è costretto a rimanere fuori  perché la sua carrozzella elettrica non riesce a superare lo scalino posto all’entrata; con un tai-sabaki da provetto aikidoka, mi divincolo dalla morsa della sedia che mi tiene imprigionate le chiappone e lo aiuto ad entrare nel locale, fra le facce stupite dei clienti.
Tutti hanno il diritto di gustarsi un caffè in santa pace, lontano dai propri tormenti, anche i tripponi come me o chi è obbligato ad andare in giro su strane macchinette a quattro ruote.
Per un attimo mi sono sentito felice, alzo gli occhi al cielo e vedo il blu che si mischia col bianco delle nuvole.
Era proprio una bella giornata.

martedì 11 gennaio 2011

La questione del morire è molto semplice


La questione del morire è molto semplice;
Verrà la notte
poi nulla fenderà la mia mente
niente mi impedirà d'essere
nemmeno la vita.
Tutto è scuro poi
Dove nessuno è io sarò
Luce
libera di cercare
quel nulla che accartocciato in questo involucro pesante ho soltanto sfiorato:
VITA

Sport e avventura: storia di un binomio imperfetto


Era l’undici gennaio 2005. Son passati sei anni da quando è morto Fabrizio Meoni. Eppure certi terremoti mediatici non si quietano.
Ci sono domande nella vita dell'uomo, che non avranno mai una risposta certa, sicura, effettiva tanto da sembrare proprio vera e sincera. Altre domande che resteranno lì, sospese come eterne spade di damocle pronte a cadere sulla testa di tutti per spegnere quel maledetto ronzio provocato dai mille perché che come uno sciame di api in aperta campagna si accalcano ronzanti e fameliche attorno a quel che resta del nostro cervello ormai ridotto in poltiglia dalle mille malefatte che commettiamo ogni giorno per conquistare il cosiddetto “posto al sole “( sia chiaro non si tratta della soap- opera. La precisazione è d’obbligo poiché mi risulta che la massima aspirazione per un giovane oggi e sfondare nel mondo dello spettacolo, la qual cosa e bene dirlo non è sempre facile, ma del resto se c’è l’ha fatta Costantino uomo più simile a un manichino che a un uomo la porta della speranza è aperta per tutti(tranne che per me. Mi trovo molto brutto e forse chissà è per questo che scrivo).
Ma il tempo delle illusioni finisce presto. Quel che resta si concentra tutto in una solitaria ed enigmatica domanda: “Perché?”. Tale interrogativo che da sempre si nasconde dietro ai nostri dubbi insinuandosi nei nostri candidi sogni fino sovente a tramutarli in terribili incubi che ci fanno battere forte il cuore trafitto a morte dal vento della paura del dubbio e dell’incertezza che come tanti piccoli pezzi di vetro si conficcano senza pietà nel nostro cuore fino a farlo scoppiare ed evaporare nell’arido e consumato mondo del “siamo tutti uguali” per scoprire poi che l’unica cosa veramente uguale e sempiterna e l’egoismo che come un orrido serpente a sonagli si agita dentro ognuno di noi mordendoci il cuore e mangiandoci l’anima. Cose della vita. Disgrazie del nostro tempo ma che accidenti non servono a spegnere l’eco della voce che è dentro di noi che è sempre lì a chiederci il conto delle nostre miserie quotidiane aspettando che suoni la campana del riscatto, della resurrezione, della rivincita.
Ma intanto il suo tremendo urlo di morte sale sempre di più fino a oltrepassare le barriere dell’infinito il muro del suono la vita sembra quasi travolgerci. Non c’è rimasto più niente, nulla, nisba. Solo la domanda: “Perché!!!”
Essa si fa più martellante quando assistiamo in diretta alla morte di qualcuno che forse non hai conosciuto visto, vissuto in prima persona ma a cui comunque senti di voler bene “solo” perché difende i colori del tuo Paese dell’Italia di quella patria che nessuno forse ama più come un tempo, ma a cui ci sentiamo tutti profondamente legati quando di mezzo c’è un pallone, un motore una competizione importante, un sogno da realizzare, una scommessa da vincere.
Tutte componenti che appartenevano allo sportivo e all’uomo Fabrizio Meoni ancora in sella alla sua moto nell’ultima Parigi - Dakar per vincere e vincere ancora. Ma qualcosa sul sentiero dorato della gloria e dell’apoteosi non ha funzionato. E’ andato storto. In fondo, non ci vuole nulla per guadagnarsi un posto nell’aldilà. Basta un passo. Fabrizio Meoni quel passo, l’ultimo, lo ha compiuto. E tutti a chiedersi appunto “perché”? e passato il momento della disperazione e del lamento tutti a porre la stessa identica domanda: esiste, e qual è un rapporto fra sport e avventura? O meglio, è possibile applicare l’etichetta di attività sportiva a imprese che si definiscono estreme, e per questo stesso motivo aperte a una vera e propria élite di praticanti che spesso rischiano sulla propria pelle per offrire mormorii di meraviglia e occasioni di stupore all’opinione pubblica? Sulla spinosa questione molti critici si sono esercitati in opinioni più o meno plausibili, ed io per non essere da meno, tenterò di porre sul tavolo della discussione qualche piccola e innocente riflessione. La Parigi - Dakar, non può essere definita estrema in senso classico: e tuttavia richiede un tale spiegamento di mezzi e di strutture da selezionare preventivamente per capacità, resistenza e spirito di sacrificio chi sceglie di parteciparvi. Più in generale, lo sport, nato come svago e divertimento, come esercizio del corpo a fini militari o di sopravvivenza, è per definizione una sfida ai limiti delle possibilità umane: quindi contiene in sé il germe dell’avventura inteso come esplorazione delle capacità dell’uomo qualunque sport si pratichi dallo stracelebrato calcio al tanto salutare nuoto passando per gli elitari golf e tennis. Se il principio è valido in assoluto, non è possibile porre confini alla definizione di sport, e a ciò che sotto questa definizione va legato. Il limite è solo quello che nasce dalla ragionevolezza e dal buon senso: la ricerca del rischio in quanto tale, infatti, oltre a escludere i più dalla pratica di una disciplina, fa sconfinare tutto nell’assurdo. E ciò non è assolutamente possibile. E allora i mangiatori di fuoco e i saltimbanchi andiamoli a cercare al circo: di altri circhi lo sport non ha bisogno.

lunedì 10 gennaio 2011

Si stagghi chi può!!!!!!!!!!!!!!!! Cronaca del mio primo Natale facebookkiano


E’ tutto finito. Anche l’ultima notte di festa è passata consegnandosi malinconica all’immenso album dei ricordi della vita. A voi l’arduo compito di scegliere dove metterli. Per quanto mi riguarda, non so dare un voto a questo Natale. Non ho ricevuto regali costosi e non avrò nulla da mostrare agli amici vantando marche e costi improponibili; ho però imparato una cosa: chi pensa che l’arte (spesso solo presunta), si trovi solo in lussuosi musei e angusti retrobottega, si sbaglia di grosso. Ognuno di voi guardi la propria casella di posta elettronica: o ancora meglio controlli il proprio profilo su Facebook. Fatto? Bene!sembra una galleria d’arte moderna non trovate? Piena di cartoline, animazioni, vignette, concerti per mucche pazze e polli ammattiti, messaggi erotici natalizi “montami sono la tua renna” canti natalizi miagolati da gatti, auguri telematici estendibili come la pasta per gli gnocchi del giovedì.
Ora, chi scrive queste righe non è un poetastro parente di Matusalemme che scribacchia con la penna d’oca: mi mancano l’età, la poesia e a pensarci bene le oche. Ho scoperto le mail da poco, Facebook da ancor meno e mi sono convinto che siano strumenti utili intelligenti e giusti (chi mi ha iniziato alle pratiche telematiche starà ghignando felice in questo momento). Ma anche le cose giuste, usate nel modo e nel momento sbagliato smettono d’essere intelligenti. E non sono nemmeno tanto utili.
Facebook è stata un’invenzione portentosa: istantanea, istintiva, veloce si è insinuato felicemente nella realtà italiana. Ma va usato con saggezza e criterio. Durante le festività soprattutto.
L’allegria della voce, l’emozione della sorpresa, la lusinga di un ricordo cui non si è preparati, l’impegno nel comporre un messaggio originale, scrivere una mail più lunga ed esaustiva possibile o addirittura compilare un biglietto d’auguri erano l’unica cosa che potevamo regalare agli amici o conoscenti.
Trascorrendo il Natale su Facebook mi sono accorto che in tempi come questi dove domina l’Autenticità Artificiale anche gli auguri, si sono contratti acquisendo una dimensione grigia e standardizzata come solo certi gessati o alcuni completi maschili neri avevano saputo fare.
Il merito di questa standardizzazione dell’auspicio va ad una @ la quale accompagnata dal nome della persona cui si desidera fare gli auguri attraverso la funzione “Condividi” permette di taggare inviare, segnalare i tuoi auguri direttamente a casa ops! Scusate sulla Home dell’amico/a compagno/a fidanzata/o moglie/ marito. Proprio come si faceva una volta. Solo che una volta quando si recapitava un biglietto d’auguri a casa di qualcuno che ti sta a cuore magari corredandolo con una frase carina la fidanzatina di turno presa da un’emozione più forte di lei, cedeva e ti faceva scartare il regalino prima di Natale (fidatevi l’ho provato ed è stato fantastico).
Ora le ragazze, il regalino se lo tengono ben stretto (c’è grossa crisi), e tutti noi abbiamo ricevuto raffiche di biglietti, cartoline arbre magique virtuali tutti uguali senza nemmeno il corredo di una parola. Spesso invece roboanti residui pubblicitari che raccolgono nomi ma non abbracciano le persone, alcune delle quali (come il sottoscritto), osservano, basiscono, e si domandano : perché questo? Perché oggi tutti sono disposti a tutto per avere tutto ma non si rendono disponibili al sentimento?
Risposte possibili: pigrizia, comodità, tirchieria.
Il sentimento ha bisogno di tempo prima di essere espresso. Su Facebook invece dove tutti sono amici di tutti per non far torto a nessuno tutti ma proprio tutti sono inseriti in file chilometriche e interminabili che quelle sulla Salerno – Reggio in confronto sono quisquilie.
Poi alla fine basta un “click” sul tasto destro del mouse è il gioco è fatto.
E’ tutto finito. È venuto quindi il tempo delle ammissioni che per quanto dolorose possano essere, fanno sempre bene. Non garantiranno un posto in Paradiso ma alleggeriscono la coscienza e purificano il cuore.
Siamo /siete poveri. No signorina: non si metta le mani in tasca. Non è educato. Stavolta il portafoglio non c’entra nulla. Si tratta di cuore. Tutti c’è l’abbiamo ma abbiamo smesso di usarlo. Ora lì al posto del cuore la maggior parte di noi ha una clessidra la quale centellina meccanicamente il tempo della nostra vita.
Il tempo. Cos’ è’? Anche di lui abbiamo perso cognizione.
Il tempo è l’unica cosa che possiamo regalare alle persone cui vogliamo bene.
Il resto si compra, si affitta, si noleggia, si duplica, si masterizza. Il tempo di un bacio, il tempo di un abbraccio, il tempo di uno sguardo, il tempo di un sorriso, il tempo di una risata, il tempo per rendersi conto che non si e soli al mondo, il tempo per rendersi conto che non si e soli al mondo e nel mondo, se lo guardi bene, con gli occhi larghi al punto giusto, qualcuno che ti capisce lo trovi, c’è, esiste, il tempo per una telefonata, il tempo per una mail lunghissima, il tempo per una idea originale, il tempo per una idea originale e bellissima spiegata in una mail lunghissima c’è l’hai, lo trovi, è tuo.
Invece? Auguri prodotti in serie, liste lunghe quanto un canto dell’Orlando Furioso, immagini sfavillanti di colori, ma opache di significato, sono ammissioni pubbliche di sentimenti tiepidi.
Anch’io (quando mi riesce), taggo. Ma non immagini. O almeno non solo. Parole. Essenzialmente, semplicemente, solamente parole. Nell’illusione spesso condivisa, queste possano suscitare un sorriso, un’emozione, un sentimento.
Abbiamo bisogno di uova. Servono galline. Ma nessuno (o quasi), si rende conto di quest’emergenza. E campano di tag.
D’altra parte spedire un’arbre magique, a cinquecento amici riuniti in una lista, richiede un battito di ciglia e un click sul dorso di un topo pure questo meccanico.
Qualcuno di voi dirà: visti i chiari di luna meglio che niente. Sbagliato. Stavolta vi anticipo accorcio io e dico: meglio niente.

Cchiù pilu pi tutti

Cetto la Qualunque è stato di parola, quest’anno avremo davvero cchiù pilu pi tutti.
I lettori affezionati di Rolling Stone sono rimasti sbalorditi dal nuovo numero della rivista, non tanto per i contenuti quanto per l’allegato: un calendario da tavolo a firma di Oliviero Toscani con un titolo originale e fuorviante (Pelle conciata al vegetale in Toscana).
Dodici scatti per dodici modelle d’eccezione, dodici organi genitali femminili fotografati nel loro massimo rigoglio,un ritorno agli anni '70 dei b-movie di Carmen Russo e Gloria Guida dove il pelo della patonza della passera o della vulva se proprio siete appassionati lettori di enciclopedie mediche arrapava anche i più bigotti e chiesaioli ; dodici patatine diverse a sottolineare la bellezza del nature  in un’epoca contrassegnata da cerette  e prodotti di bellezza.
Toscani come Gustave Courbet ne “ L’origine del mondo” ci ricorda che la bellezza è “anche” quella interiore ma alla fine veniamo tutti da quel posto e tutti - o quasi tutti - desideriamo tornarci.


giovedì 6 gennaio 2011

L'Epifania: la festa che non porta via la voglia di festeggiare


Gli irriducibili delle festività avranno in questi giorni di nuovo pane per i loro denti.
Superata di slancio la vigilia di Natale, con qualche affanno (ne sono certo), il capodanno, sebbene allietato dalle benefiche note di Fiorella Mannoia coloro che attendono ancora un motivo per far festa avranno il 6 gennaio’Epifania la quale prima che una apparizione estemporanea ed eccezionale è una festa della liturgia cattolica (distinta dal Natale solo nel IV secolo) cui si collegano varie espressioni spettacolari e figurazioni drammatiche soprattutto popolari. Notiamo, in particolare, la Festa dei folli, manifestazione che, a partire dal XII secolo, i suddiaconi organizzavano, intorno al giorno dell’Epifania, per solennizzare l’anno nuovo. Durante tali cerimonie, essi erano delegati dai superiori, forse per umiltà, a celebrare il servizio divino; ma anche feste in cui abbondavano licenziosità e sregolatezza. Più specifico, e sempre entro il tono di una certa mancanza di ritegno (lo citiamo per esempio) ciò che prescriveva l’Ordinarium padovano. Si trattava di uno spettacolo buffonesco nel quale, mentre un personaggio travestito da Erode leggeva una parte dell’Ufficio dell’Epifania, alcuni suoi ministri battevano il vescovo, i canonici, gli scolari con una vescica gonfiata. All’Epifania s’ispira anche la Befana, rappresentazione rustica del contado toscano, nella quale un giovane vestito da vecchia e accompagnato da alcuni amici coristi, va di porta in porta a questuare, ricordando nel canto, naturalmente, la vicenda dei Magi, o anche la strage degli innocenti, o altri episodi dell’infanzia di Gesù.
Più tardi, anche lei si è evoluta e adesso vola. Su una scopa. Personalmente non m’importa sapere se tutto questo corrisponda a verità, o sia solo una bugia. Non importa se sorvoli case o atterri su fuligginosi camini. La cosa importante e che voli. E continui a volare. Tutte le volte la notte del 6 gennaio. Di certo è più precisa di alcune compagnie aeree e più generosa di certe vecchine. La qual cosa se ci pensate consola il cuore e colora l’anima. Mi raccomando lettori: fatemi sapere come.

martedì 4 gennaio 2011

Non per un dio ma nemmeno per gioco


Di Fabrizio De Andrè è stato detto di tutto e di più  anche da quelle persone che non hanno mai ascoltato una sua canzone ma che per uno strano “dovere” (culturale? sociale?) sono costrette a postare su facebook video dei suoi successi.
Caposaldo della canzone d’autore italiana, profondamente influenzato da Bob Dylan e Leonard Cohen oltre che dagli chansonnier francesi ( George Brassens su tutti ), De Andrè  è stato tra i primi a infrangere i dogmi della "canzonetta" italiana con le sue ballate cupe, affollate di anime perse, emarginati e derelitti d'ogni angolo del mondo: drogati, prostitute, omosessuali,suicidi,alcolisti, matti, pedofili,assassini, zingari.
Di spirito anarchico ,De Andrè vedeva nel nomadismo una fuga dall’angoscia  , una dromomania, un camminare senza meta che conduce alla libertà individuale.
“Khorakhané ( a forza di essere vento)” , seconda traccia di “Anime Salve” , descrive proprio il viaggio verso la libertà di uno zingaro, un viaggio senza meta.
I Khorakhané - tribù rom di provenienza serbo-montenegrina il cui nome significa “lettori di Corano[1]”- per Fabrizio De Andrè «Sarebbero un popolo da insignire con il Nobel per la pace per il solo fatto di girare per il mondo senza armi da oltre 2000 anni» [2].
Nella canzone, i Rom vengono rappresentati come individui senza una vera casa e per questo assolutamente liberi e privi di condizionamenti economico-sociali ( De Andrè sembra raccogliere l’eredità di Claudio Lolli e dei suoi zingari felici….) ; il viaggio degli zingari non ha una meta, anzi, gli zingari non si preoccupano neanche di averne una. Sono come il vento, un vento che dall’India settentrionale  – loro paese d’origine – si abbatte sull’Europa portando con sé  un bagaglio di tradizioni e cultura.
L’ eterno peregrinare intorno al mondo non ha uno scopo, ma fa parte del loro DNA (per un solo dolcissimo umore del sangue/ per la stessa ragione del viaggio viaggiare). Da qui il cantautore prende lo spunto per lanciare una critica ai benpensanti ed esprimere il suo disprezzo nei confronti dei conformisti (…e se questo vuol dire rubare…/ lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca/ il punto di vista di Dio) ; non mancano in questa canzone struggente i toni amari( i figli cadevano dal calendario/ Yugoslavia Polonia Ungheria/ i soldati prendevano tutti/ e tutti buttavano via).
Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria. In tutto il mondo ci saranno manifestazioni per ricordare i milioni di ebrei trucidati nei campi di sterminio nazifascista. Si parlerà essenzialmente degli ebrei. Le cifre hanno un peso e sono terrificanti. Sei milioni di persone, donne, uomini, bambini, vecchi, ammalati, disabili, furono tutti condotti nelle camere a gas ed assassinati. Ma all’interno della memoria sull’olocausto c’è un’altra memoria dimenticata. Come una grande matrioska, in ogni bambola che si apre se ne trova un’altra. Una piccola memoria riguarda gli omosessuali, i dissidenti politici dell’epoca (comunisti, socialisti ,anarchici). Una memoria che bene o male viene ricordata in più occasioni dalle organizzazioni politiche ancora esistenti. Ma alla fine di tutte le memorie, nell’ultima bambolina, se ne trova una dimenticata da tutti: l’olocausto degli zingari, il Porrajmos.
Un milione e mezzo di vittime dovute alle operazioni barbariche dei “ medici “ nazisti : sterilizzazione, inoculazione di germi e virus patogeni, mutilazioni.[3]
Anche gli zingari come gli ebrei, sono stati massacrati sulla base delle teorie naziste e a ricordarci il loro dolore ci pensa Giorgio Bezzecchi, "rom harvato" (croato), che ha scritto i versi finali della canzone in lingua “romanes”. Un dolce lamento avvolge l’ascoltatore e lo trascina come una foglia morta ( rammentate Verlaine?)[4], è un vento che scuote anche gli animi più duri.
A forza di essere vento, si diventa zingari e si cerca la libertà – del corpo,di pensiero,di parola,- perché è l’unica cosa che oggi conta.
De Andrè la libertà l’aveva perduta per quattro lunghi mesi quando insieme alla moglie, Dori Ghezzi, venne rapito dall’anonima sarda sulle montagne della Gallura; intervistato all’indomani della liberazione, ebbe parole di pietà per i suoi carcerieri: « noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai»[5].
Da questa esperienza nascerà nel 1981 un album intenso, forte come la Sardegna e i suoi abitanti, anonimo come i suoi rapitori : “ L’ indiano”.[6]
L’album,scritto  in collaborazione con Massimo Bubola, è un insieme di blues[7], canti tradizionali sardi[8], canzoni d’amore[9] e canzoni che parlano della guerra e dei suoi effetti disastrosi.
“Fiume Sand Creek” è un lungo flashback doloroso sul massacro – reale e documentato- di un villaggio pellerossa di etnia Cheyenne e Arapaho da parte del colonnello John Chivington avvenuto il 29 novembre 1864.
Quella che all’inizio sembrava una vittoria contro un nemico più grande da sconfiggere (sembra quasi anticipare il conflitto in Iraq…) si rivelò poi presso il popolo americano per quello che era: uno sterminio di donne, bambini,anziani.
La canzone di De Andrè ci fa avvertire il senso di paura, di smarrimento fin dai primi versi – brevi ma ricchi di metafore – e per capirli dobbiamo entrare nella testa del protagonista, un ragazzo, nell’attimo prima della sua morte.
De Andrè con questa canzone si dimostra non solo un appassionato difensore delle minoranze etniche(nel 1992, anno delle “Colombiane”, rifiuta di esibirsi a Genova insieme a Bob Dylan per difendere la causa dei nativi americani ) ma come un bravo regista ci porta  sul campo di battaglia insieme ai carnefici,alle giacche blu, insieme al quel generale di vent’anni – che in realtà era un colonnello e di anni ne aveva quarantatrè - ci fa vedere la disperazione, il sangue che macchia la neve (quando l'albero della neve/fiorì di stelle rosse…), l’incredulità del ragazzo che chiede spiegazioni al nonno (chiusi gli occhi per tre volte mi ritrovai ancora li / chiesi a mio nonno è solo un sogno e mio nonno disse sì ) e un momento dopo viene ucciso (sognai talmente forte/che mi usci il sangue dal naso).
L’ultimo atto di questo sanguinoso scontro,quando tutto ormai tace (quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte /c'erano solo cani e fumo e tende capovolte) ci porta sul letto del fiume Sand Creek ormai ricoperto di cadaveri di bambini (ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek )e sembra quasi di sentirne le voci e le grida.
Duecento indiani vengono massacrati e il Governo degli Stati Uniti farà le sue scuse solo nel Duemila.
Duecento indiani vengono sterminati per il solo fatto di abitare una terra –quella parte del West compresa tra Kansas, Oklahoma e Colorado -   che da sempre consideravano la loro.
Duecento indiani vengono trucidati perché davano fastidio ai cercatori d’oro.
Duecento indiani sono morti, non per un dio ma nemmeno per gioco.



[1] Wikipedia
[2]Concerto al Teatro Brancaccio,Roma 1998.
[3] Wikipedia.
[4] Canzone d’autunno.
[5]Da “ La storia siamo noi”.
[6] Il titolo originale è in realtà “Fabrizio De Andrè”.
[7] Quello che non ho.
[8]Ave Maria.
[9] Se ti tagliassero a pezzetti.

domenica 2 gennaio 2011

Un senso

Matteo è morto per un colpo sparato da un cecchino.
Un vero colpo di (s)fortuna perché il proiettile ha beccato proprio l’unica parte non coperta dal giubbotto antiproiettile.
Matteo è morto l’ultimo dell’anno, senza poter vedere i festeggiamenti di rito, i brindisi e gli auguri.

sabato 1 gennaio 2011

Buon anno!!!!!!!


Buon anno a quelli che hanno corso, affannato, parcheggiato in terza fila.
A quelli che hanno fatto tardi, ma che comunque sono arrivati.
Ai clandestini.
A quelli che hanno staccato il telefono per non essere trovati.
A quelli che hanno conosciuto notai, insoluti, sfratti, vie, vicoli, piazze, viali, sottoscala, scantinati, sgabuzzini.
A quelli che sono stati svegliati da una banca o da una vita che ha chiesto loro sempre qualcosa di più.
A quelli che mi/ci vogliono bene.
Ai Peanuts
A K.I.T.T.