martedì 31 gennaio 2012

I love stopper


Quando ero piccolo avrei voluto fare il calciatore. Ma non ho potuto. Se avessi potuto comunque avrei voluto essere uno stopper. Sì proprio così uno stopper. Ma non ho potuto,non potevo. Mi sarei fatto troppo male. (Dal Vangelo secondo gli Altri). Amen e così sia.
Così mi accontentavo di sognare davanti alle figurine Panini ed era un bel sogno. Davanti a quelle foto tutte le mie difficoltà sparivano e restavano solo le mie riflessioni ed una convinzione: Dei ruoli sul campo lo stopper è il più inquietante. Tra le squadre di calcio la “mia” Juventus è la più sconcertante. Logico, quindi, che gli stopper della Juventus siano personaggi affascinanti. Ho avuto il tempo di studiarli dall’infanzia. E la colpa è del mio “clan”. Bisogna sapere che la mia famiglia è una grande collezionista di figurine e così ho potuto farmi una cultura sugli stopper juventini dagli anni 60 fino ad oggi. Erano tempi felici per l’Italia in cui l’Inter vinceva e la Juve si entusiasmava per una solitaria Coppa Italia (1965). Lo stopper bianconero di quei tempi era Giancarlo Bercellino, che a dir la verità non conoscevo e che trovo così descritto in un trafiletto su un giornale “Berce Roccia lo John Wayne che sospirava per la Juve”. In effetti, il personaggio era interessante. Non solo aveva una mascella cinematografica ma era conosciuto, regalmente come Bercellino I. Suo compagno di reparto (formazione alla mano) era Sandro Salvadore che mi sembrava un errore di stampa. Per portare al successo quella Juve occorreva un Salvatore con la “t” (ma per fortuna non perdeva tempo con le squadre di calcio, tanto più con quelle di Torino). Detto questo Salvadore non mi dispiaceva. Aveva una bella faccia da italiano, col capello bruno a spazzola e lo sguardo all’orizzonte- o almeno così lo ritraevano le figurine dell’epoca. Sono certo che piaceva ai neorealisti, al sindacato e alle turiste tedesche. A smentire tutti sulla teoria secondo la quale gli stopper juventini sono tutti brutti e antipatici fu Francesco Morini. Quello stopper bianconero aveva i capelli biondi, la faccia angelica e il sorriso di un giovane inglese, quelli che studiavano nei college d’Oxford e diventavano spie russe, atleti olimpici o archeologi in Egitto. Dimenticavo: il bel Morini picchiava come un fabbro. Ciò non fece che accrescere la perfidia bianconera. Solo la Juve poteva avere un difensore spietato con la faccia da gentleman. Quelli dell’Inter avevano Burgnich che non andava leggero. Una volta l’ho visto in TV ed il suo primo piano era una dichiarazione d’intenti.
Continuo a sfogliare placidamente l’album dei ricordi quando all’improvviso un brivido mi corre lungo la schiena E m’imbatto in Claudio Gentile. Ragazzi. Chiamarsi in quel modo era una provocazione. Era come se la Henger si fosse chiamata Eva Pudica e il vero nome di Andreotti fosse stato Giulio Puro. Dopo Gentile, è arrivato Sergio Brio. Altro cognome ingannevole. Sotto le sue cure ruvide, i centravanti non si divertivano per niente, Dopo Brio che per quanto era alto avrei visto bene in una partita fra tronchi d’albero (che so: querce contro faggi, platani contro pioppi), è arrivato Dario Bonetti del quale ricordo la folta chioma bionda (ma era tutta sua? Boh! Mistero glorioso), seguito da Jurgen Kohler omonimo dell’autore di Pauline la donna che visse nella casa di Hitler( controllate: è vero). Poi è toccato a Pietro Vierchowod il sopranome con cui Bobo Vieri un tempo chiamava la fidanzata Elisabetta Canalis. Io che la ragazza l’ho vista chissà perché mi ostino a trovare differenze tra i due.
E’ qui nasce il problema.
Era un giocatore aperto e simpatico così come Ciro Ferrara e questo non va bene: gli stopper soprattutto quelli della Juve devono essere riprovevoli. Per fortuna è arrivato Mark Iuliano al quale imputo due colpe a) un fallo da rigore su Ronaldo nel 98 cui non è seguito alcun rigore b) un nome che finisce con la kappa. Poi è arrivata la versione calcistica di Mike Tyson vale a dire a Paolo Montero che mi spiazza completamente. Finalmente un cognome senza contraddizioni. Aveva un cognome, una faccia e uno stile da stopper.
Oggi che la Juve è tornata a primeggiare abbiamo in quel ruolo Barzagli e Chiellini. Sono alti, educati hanno dentature perfette e sorrisi ammalianti e sembrano due attori di Hollywood. Ma in campo non fingono e a Conte va bene così e pure a me dopotutto.
La Juve è prima in classifica. Non era facile con un nuovo allenatore in panca e nuovi giocatori in campo.
Secondo me, la Juve sta cercando di ingannarmi ancora una volta.
Ma non importa. In fondo, questo è un dolce inganno… Il mio.

domenica 29 gennaio 2012

A mia sorella

Carissimi ed affezionati lettori di Arazzi e Scazzi buongiorno!!!!!!
Perdonate se per una volta mi lascio andare ad un uso privatistico del mezzo ma sapete oggi è un giorno speciale...
Oggi è infatti il compleanno di mia sorella!
Superfluo indugiare sul numero degli anni compiuti sappiate solo che la mia bambina li ha utilizzati bene e son convinto farà altrettanto bene con quelli che seguiranno.
Occorrerà star tranquilli e non bruciare le tappe prima del tempo.
Ora però è un tempo speciale per cui goditelo ed anche da qui come da ogni parte oggi BUON COMPLEANNO BAMBINA MIA!!!!!!








C'era una volta un giorno normale
che adesso è un giorno speciale
c'era una stella sospesa nel cielo
leggera come un pensiero
e quella stella da allora
brilla soltanto per te...

Buon compleanno bambina
oggi tu sei la regina
regina di nessun re
la più importante che c'è.


Lì nella cesta, i gatti di stoffa
tutti invitati alla festa
e tra i regali, di tutti i colori
chissà chi ha mandato quei fiori
e tu soltanto lo sai, ma è un segreto
e non lo dirai...

Buon compleanno bambina
oggi tu sei la regina
regina di nessun re
la più importante che c'è
...e tu regina
più bella che mai
per me sarai sempre bambina
anche se hai, se hai un
anno di più... Buon
compleanno bambina...
Oh Happy Birthday to you!

sabato 28 gennaio 2012

Silenzio comanda Conte


Comanda Conte. Il campionato italiano è ai suoi piedi. Il ragazzo di Lecce arrivato vent’anni fa alla corte di Madama Juve quasi per caso e che se ne era andato sette anni orsono, sbattendo la porta rancoroso per un contratto non rinnovato e ritornato quest’estate tra l’entusiasmo di tanti e lo scetticismo di molti i quali non credevano nel suo gioco fatto di mobilità e inserimenti dalle fasce ma Conte caparbiamente è andato per la sua strada idee in testa energia nel cuore.

Servivano le ali a questa Juve per tornare a volare ed ecco pronti Liechsteiner (in gol sabato scorso), e De Ceglie il quale senza più infortuni è un cavallo mica da ridere.

Servivano torri in mezzo ed ecco Barzagli ritornato quello di cinque anni fa e un Chiellini bravo a sdoppiarsi nell’antico ruolo di terzino e ad alternarsi con un rinfrancato Bonucci in mezzo.

Una Juve al passo con i tempi quella di Conte capace di comprendere che se non hai Robben e Walcott sulle fasce è inutile attender profeti e se Elia s’oscura da solo e Krasic non capisce i dettami del tecnico, basta un po’ di Pepe nostrano per rendere scorrevole uno spartito orchestrato benissimo da un cristallino e rusticano Pirlo (secondo le leggi di Conte), perché vada tutto liscio se poi hai un Vidal in più il mocho lo puoi anche gettare perché tanto a far la differenza bastano lui e Marchisio.

E poco importa se Matri non segna tanto se Vucinic non fa solo il top player, ma anche lo sguattero di bordo e corre come un ossesso alla ricerca di spazi e palloni giocabili.

Così vuole Conte, silenzio, palla bassa, fraseggi corti e pallina in buca pardon in rete.

Son poche le reti segnate da questa Juve campione d’inverno per la prima volta dopo la tempesta Calciopoli ma sufficienti a delineare il volto di una squadra nata e cresciuta quest’estate a immagine e somiglianza del proprio tecnico il quale neanche dopo 19 partite senza sconfitte e 41 punti (uno in più dello spocchioso e supponente Milan), muta atteggiamento. Conte è fatto così. Siede sulla vetta con naturalezza, comanda il campionato come un predestinato. Ha lavorato bene, trova naturale vincere: logica conseguenza di ciò che è stato fatto.

Sarebbe nervoso, stizzito, al contrario: se i risultati fossero bugiardi. Lo abbiamo visto così sempre, uguale a se stesso, ad Arezzo, a Bari, a Bergamo (nonostante un misterioso esonero), a Siena. Molti lo trovano antipatico perché non perde tempo per piacere a tutti. Ma sarebbe un errore credere che non curi le relazioni che giudica importanti. Quando gli scatta, un interesse lo coltiva (il 4 – 3-3), se qualcuno lo colpisce, lo studia, (Giaccherini), con chi giudica sopra la media, perde molto più tempo di quanto si creda (Vucinic). Antonio Conte è uno che si coltiva: l’arte, la musica, la letteratura, perfino la cucina lo appassionano e riempiono il suo tempo libero. Le personalità fuori dal comune lo incuriosiscono e dedica loro gentilezze e attenzioni. La politica, le questioni sociali, la comunicazione, le osserva e le studia: lo capisci da come gestiste le conferenze prepartita: se Mourinho non era un pirla lui non è un quaquaraquà e quello che deve dire lo afferma senza problemi e chissenefrega se questo vuol dire mandare in tribuna Grosso, Iaquinta e Toni o isolare Motta e Amaurì. L’ha sempre detto dopotutto Conte: chi non è funzionale al progetto si trovi un’altra squadra. Non va per le spicce Antonio. Ha radici popolari e un’esperienza che l’ha reso moderato. Per lui, il destino di ogni uomo è legato alla capacità di realizzare con il lavoro il proprio progetto di vita. Con determinazione inflessibile e capacità di cogliere le occasioni che si presentano. Ma basta che succeda per passione e curiosità, di scivolare sul suo terreno, sul suo lavoro, Conte cambia d’improvviso toni e argomenti. Con pochissime persone ritiene utile parlare di calcio e sono tutte indispensabili. Di pallone non parla a vuoto, non fa chiacchiere da bar, come facciamo tutti. Sul suo lavoro non scherza e ha sempre ragione.

Così da Conte devi accettare tutto, perché non è divisibile, Lui è la stessa persona a Torino, a Siena, a Bergamo, a Bari, ad Arezzo.

Fuori da Torino Conte è uno uno che ha accettato un compito difficilissimo: riportare in alto la Juventus dopo l’incomprensibile Delneri, l’acerbo Ferrara, il signorile Ranieri, il timido Deschamps il buco nero della serie B e il ciclone Calciopoli.

E’ giunto alla fine di tutto questo Antonio Conte e c’è da credere non se ne andrà tanto presto.

C’è un girone di ritorno da affrontare, avversari da battere, concorrenti da stornare, un primato da allungare, uno scudetto da vincere.

Potrà farlo Conte in virtù di una pulizia di gioco invidiabile costruita con un parco giocatori forse non eccelso ma reattivo e disponibile a ricevere.

Marotta sul mercato sta operando benissimo. Lasciate ad altri le chimere d’inverno (vedi Tevez), sì e preso il duttile difensore uruguaiano Caceres, il bello e utile Borriello e forse il volante belga Nainngolan. Tre uomini soli e solidi per agguantare uno scudetto lontano dalle maglie bianconere ormai da sei anni. Probabilmente questi ultimi basteranno alla causa e si metteranno a disposizione dei sogni bianconeri come sta facendo il glorioso ed eterno Del Piero senza fiatare.

Perché al termine del campionato mancano ancora diciannove partite e perché tanto comanda Conte.

venerdì 27 gennaio 2012

Auschwitz


Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non albero o uccelli nell’aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.
Da quell’inferno aperto da una scritta
bianca: " Il lavoro vi renderà liberi "
uscì continuo il fumo
di migliaia di donne spinte fuori
all’alba dai canili contro il muro
del tiro a segno o soffocate urlando
misericordia all’acqua con la bocca
di scheletro sotto le doccie a gas.
Le troverai tu, soldato, nella tua
storia in forme di fiumi, d’animali,
o sei tu pure cenere d’Auschwitz,
medaglia di silenzio?
Restano lunghe trecce chiuse in urne
di vetro ancora strette da amuleti
e ombre infinite di piccole scarpe
e di sciarpe d’ebrei: sono reliquie
d’un tempo di saggezza, di sapienza
dell’uomo che si fa misura d’armi,
sono i miti, le nostre metamorfosi.

Sulle distese dove amore e pianto

marcirono e pietà, sotto la pioggia,
laggiù, batteva un no dentro di noi,
un no alla morte, morta ad Auschwitz,
per non ripetere, da quella buca
di cenere, la morte.

Salvatore Quasimodo

domenica 22 gennaio 2012

Un amore a metà


Questa è la storia di Amanda e della sua spasmodica attesa.
Aspettava Amanda anche se non sapeva bene cosa.
Lei non lo sapeva ma aspettava un Uomo che la scuotesse proprio come un tuono, che la calmasse come un perdono ,che la possedesse e fosse anche un dono.


Era tanto tempo che aspettava l'Uomo che la ipnotizzasse solo con il suono con quella sua voce dolce e impertinente che proprio non ci poteva fare niente che la facesse sentire intelligente, bella, porca ed elegante come se fosse nuda tra la gente ma pura e santa come un diamante.
Un Uomo dolce e duro nell'Amore che sa prendere e poi dare con cui scopare, parlare e mangiare e poi di nuovo farsi far l'amore per seppellirsi tutta nell'odore di quello che rimane addosso delle ore de tipo che poi una non si vuole mai più lavare per non rischiare di dimenticare; che le ricordasse che sapeva amare un Uomo che sapesse rassicurarla che la facesse osare di sognarsi come non era mai riuscita ad immaginarsi.
Un Uomo pieno di tramonti, d'istanti, di racconti e d'orizzonti uno di quelli che ti guarda e dice:"Cosa senti?" come se leggesse nei suoi sentimenti.
Un Uomo senza senso anche un po' fragile ma così intenso con quel suo odore di fumo denso di tabacco e vino e anche d'incenso.
Uno di quelli impresentabili ai genitori così coerente anche negli errori proprio a lei che fino a quel momento si controllava anche nei desideri


Lei che vivevanell'illusione di dominare ogni sua passione lei che disprezzava la troppa emozione come nemica della Ragione .


Non era mai stata così rilassata, così serena ed abbandonata, così viva e così perduta come se si fosse appena ritrovata .

Lei non lo sapeva ma aspettava un uomo.
Un Uomo dolce e duro nell'Amore che sapesse prendere e poi dare con cui scopare, parlare e mangiare poi di nuovo farsi far l'Amore...
Ma per quanto avesse cercato non aveva trovato nessuno che corrispondesse a quel modello ragion per cui un pò per gioco e molto per noia, s'era iscritta su un sito d'incontri per cercare un uomo dai trenta ai quarant'anni, dolce, intelligente e sensibile che la sapesse ascoltare e soprattutto la facesse ridere bello dentro e ricco di tutte quelle fesserie che le donne dicono d'adorare quando compilano i test d'affinità di coppia che si trovano dal parrucchiere.
Anche quest'ultima esperienza s'era rivelata un buco nell'acqua.
Era trascorso quasi un mese dal suo ultimo appuntamento al buio quando Amanda aveva incontrato Antonio e tra di loro fu passione a prima vista.
Amanda, trentacinque anni, lavorava in un'azienda agricola, desiderosa d'andare subito al sodo, cominciò a lanciare chiari messaggi orizzontali già al terzo appuntamento.
Non c'erano dubbi. Amanda era la classica donna che sapeva quello che voleva e per ottenerlo non andava troppo per il sottile.
Dopo una serie di manovre d'avvicinamento che permise comunque ai due innamorati d'apprezzarsi reciprocamente, si vedeva lontano un chilometro come sarebbe finita.
Le loro conversazioni erano un crescendo di languidezze e disponibilità tali da risvegliare anche il più ottuso degli amanti.
Gli ormoni cavalcavano felici le praterie dei loro sensi e il momento dello scontro fatale non era lontano.
Lo sospettavano i loro cuori, lo confermavano le loro menti. L'addizione di questi fattori non poteva non portare che a un risultato: i due si sarebbero incontrati presto; quello che ne sarebbe venuto fuori sarebbe stato frutto solo della passione che loro sentivano e che ora non potevano più nascondere dietro l'eleganza di un'ammiccamento.
All'ennesimo appuntamento tra un maritozzo con la panna e un caffè lungo, i due spasimanti non poterono più reggere il castello di banalità dove per mesi s'erano nascosti e venti minuti dopo essersi salutati finalmente s'incontrarono lì dove non era può più possibile fingere e le uniche espressioni degne d'essere udite corrispondevano perfettamente al quadro che i loro ferini sensi avevano sempre disegnato.
Amandalo o avvertiva chiaramente dalla voluttà con cui Antonio infilava il suo maritozzo nella bocca di lei mentre stavano nascosti nella sua macchina all'interno del parcheggio del centro commerciale.
L'Uomo che Amanda aveva sempre desiderato e disperatamente cercato, era proprio in quella macchina era proprio Antonio cui non sembrava possibile d'aver incontrato in quella donna generosa e disponibile l'altra metà del suo cielo.
Anche il cielo più bello però è destinato ad annuvolarsi così anche la relazione più disinibita è destinata ad incanalarsi sul binario del sospetto quando non si ha la volontà d'andar oltre il gancio di un promettente reggiseno.
Antonio, che da tempo cercava le mura solide e stabili di una sincera relazione umana ,questo lo aveva sempre saputo quello che (non ) accadeva con la pur passionale Amanda ne era solo una conferma.
Amanda non s'era aperta completamente con lui. Non quanto lui avrebbe desiderato. Lo capiva dal modo in cui in pieno agone passionale lei con lucida freddezza lo distoglieva dal suo obiettivo.
Lui avrebbe desiderato penetrar il mistero racchiuso in lei. Lei preferiva masturbarlo a morte arrestando il fuoco della sua passione sulle sue giunoniche poppe.
Ad Antonio le sue poppe piacevano un sacco ma capiva che le possibilità di un rapporto autentico passavano solo ed esclusivamente dalla sua vagina. Come i neonati e le loro possibilità di venire al mondo.
Tuttavia per quanto ci provasse, non c'era verso. Antonio stava bene con Amanda ma la loro relazione sessuale non andava oltre il suo gigantesco seno.
Ad Amanda il suo seno piaceva da imapazzire e non perdeva occasione per mostrarlo.
Ma un bel seno non è amore e questo Antonio per quanto si stesse cominciando ad innamorare di quella donna così arguta e passionale, lo sapeva benissimo.
Antonio voleva bene ad Amanda così una notte al termine di una di quelle escursioni nei dintorni del piacere, con gli occhi tristi di un cerbiatto in gabbia, e il cuore in tumulto di un naufrago che s'aggrappa all'ultima scheggia di zattera rimasta pur di non annegare, gli chiese conto di quell'amore a metà.
Il suo seno gli piaceva tantissimo ma non poteva bastargli.
Quell'amore di plastica non poteva soddiasfarlo, ma forse, era l'unico che meritava.
La conferma la ebbe subito dopo quando Amanda, con ingenua sincerità, gli disse suscitando la meraviglia di Antonio, che nel buio della notte e nel gorgo della passione non s'era accorto di nulla, che il suo seno perfetto era una bellissima opera di chirurgia plastica.
Lo aveva rifatto infatti.
Originariamente disse, portava una rigogliosa sesta finchè una radice malefica non aveva cominciato a divorarlo tutto.
Era stata quindi operata, le avevano tolto tutto proprio tutto diceva accompagnando le sue drammatiche rivelazioni con ampi gesti della mano destra secchi e definitivi.
S'era fatta quindi la mastoplastica e aveva dovuto accontentarsi di due misure in meno tanto quella bestia aveva infierito su di lei.
Si faceva i dovuti controlli ogni sei mesi, e per lei ogni esame alle mammelle era come guardare una partita dell'Inter : non sapeva mai quale risultato poteva venir fuori.
Lei quindi era come le sue mammelle.
Un'illusione di plastica. Turgida e pronta a tutto fuori, fredda e calcolatrice dentro. Lui era straordinario con lei, e in altremcircostanze sarebbe potuto tranquillamente esser l'uomo della sua vita, ma quelle operazioni insieme alla sua generosità mammellare s'erano portate via anche la sua voglia di coinvolgersi davvero.in un rapporto.
Il resto eran solo ammiccamenti e falsità.
Intanto, nella speranza d'ingannare il tempo e anche un pò se stessa, Amanda s'era concessa moltissimi incontri senza conseguenze e in sostanza viveva alla giornata senza un progetto preciso in testa cercando di raccogliere in quegli incontri fugaci un briciolo d'autenticità per quanto fosse ancora in grado di percepirla in mezzo a tutta quella plastica.
Per le donne come lei, dopotutto era facile.
Gli uomini anche se si mettono in tiro e compagnia bella ,non li calcola mai nessuno, alle donne invece basta un'occhiata un pò più intensa del solito e hanno subito la fila dietro e ridendo e scherzando qualcuno di passabile lo trovano.
Per gli uomini è diverso. Un uomo o è dentro o è fuori. Quelli che se la menano accanto sborrano soli e si lavano tristi non c'è niente da fare.
In quel momento, mentre l'ultimo lampione s'abbandonava all'oscurità della notte, Antonio sentì il cuore ghiacciarsi in petto e appena le forze glielo consentirono l'unica cosa che sentì di voler fare fu d'abbracciare forte quell'anima che un male più grande di lei aveva umanamente sopraffatto nel tentativo di trasferirle quell'energia vitale che lei aveva disperatamentecercato in mille corpi ma che solo lui sentiva di poter riassumere adeguatamente.
Quella ragazza celava in sè, dietro prorompenti fattezze, un'esistenza precaria e tremolante.
Poppe al vento e cazzo in bocca lei ne illudeva uno a sera sapendo benissimo che la sua bocca era larga ma il suo cuore no.
Così a bocca larga e vagina chiusa, uccideva le notti ingoiandone uno a sera al solo scopo di sbalordire e sgomentare il Mostro che per qualche tempo s'era impossessata di lei e dimostrargli che lei per quanto provata e avvilita da quell'esperienza, era ancora in grado di suscitar passioni e smottamenti dell'anima.
Come se quei flutti di sperma potessero ad un tratto accecare gli occhi bramosi e famelici della Morte che nonostante tutto era ancora lì in attesa di brandire il colpo finale e prendersi la sua colpevole anima.
Ma di cosa poi?
Ancora se lo chiedeva Antonio la sera che lesse il suo nome sulla pagina dei necrologi e non potè trattenere un moto di sorpresa al pensiero che quella donna che aveva basato tutta la sua esistenza sulla ricerca della Vita non aveva potuto sottrarsi al richiamo della sua parte più brutta : la Morte.

giovedì 19 gennaio 2012

Al lettore



L'errore, la stoltezza, il peccato, l'avarizia ci tormentano il corpo, ci assillano la mente, e di amabili rimorsi diventiamo nutrimento come il mendicante alimenta i propri insetti.
Testardi nel peccato, nel pentimento incerti, chiediamo un alto prezzo per le nostre confessioni e nella via di fango torniamo poi contenti certi di un pianto vile, lavacro a ogni colpa.
Sul cuscino del male satana trismegisto lungamente ammaliata l'anima culla, e il prezioso metallo della nostra volontà tutto lo manda in fumo lui sapiente alchimista.
E' lui, il diavolo, che tira i nostri fili! Così troviamo seducenti oggetti repellenti; ogni giorno d'un passo scendiamo nell'inferno, senza orrore attraversando un puzzo di tenebra.
Come un misero vizioso bacia e succhia il seno straziato di un'antica puttana, così arraffiamo al volo un piacere segreto, arancia rinsecchita che a fondo spremiamo.
Nel cervello stipati, brulicanti come vermi, si scatenano in un'orgia milioni di demoni; nel respiro, invisibile fiume, la morte ai polmoni ci scende con sordi lamenti.
Se lo stupro, il veleno, l'incendio, il pugnale non abbelliscono ancora ricami graziosi, la trama banale dei nostri destini pietosi, è solo perchè bastante ardire manca al cuore.
Ma fra tutti gli sciacalli, le pantere, le cagne, le scimmie, gli avvoltoi, i serpenti, gli scorpioni, i mostri che urlano, grugniscono, guaiscono nel serragio infame strisciando nei nostri vizi; uno ve n'è più brutto, più crudele, più immondo!
Si muove appena né lancia grandi strida, della terra farebbe volentieri un'unica rovina e il mondo inghiottirebbe sbadigliando; è la Noia -gli occhi gonfi d'un pianto involontario, sogna patiboli fumando la sua pipa.
Lo conosci, lettore, quel mostro delicato, -ipocrita lettore, -mio simile, -fratello!
Charles Baudelaire

giovedì 12 gennaio 2012

Maria e i suoi occhi azzurro mare


Si chiamava Maria aveva diciassette anni e due occhi azzurro mare.
Ora di lei non rimaneva che un trafiletto sul giornale locale di quelli che si mettono alla fine, in ultima pagina per riempire gli spazi vuoti, convincersi d'aver fatto un buon lavoro, e aver reso giustizia ad un'anima scordata.
E Maria dimenticata lo era davvero.
Antonio la vedeva spesso all'angolo della statale mentre ingannava il tempo tra una Pall Mall scroccata di straforo e un amaro rubato all'ubriacone di turno.

Forse un paio di volte le aveva rivolto persino la parola, ma ora, in quell'andirivieni di Polizia e Carabinieri non riusciva a ricordarne neanche una e a a rintracciare un briciolo di senso in una fine tanto assurda.
Si chiamava Maria ma nel quartiere era conosciuta come "mezzo chilo" per via del suo peso corporeo e per la sua fragilità d'animo che però non le impediva di deliziare quanti l'ascoltavano con versi e note d'amore.
Quello che faceva non le piaceva affatto ma la poesia e la musica glielo rendeva più accettabile.
Maria si vendeva. Da tre anni non faceva altro. Non tutti i suoi clienti erano di prima scelta, ma questo le permetteva di sbarcare il lunario e togliersi tutti gli sfizi possibili e immaginabili.
Maria aveva diciassette anni e due occhi azzurro mare.
Per il resto nulla che meritasse una riflessione.
Un fischio, una portiera che si apre, un affondo furtivo tra chiappe smagrite e via ti saluto alla prossima.
Scorrevano così le giornate di Maria.
Antonio mentre l'ambulanza la portava via non poteva fare a meno di chiedersi se qualcuno le avesse davvero voluto bene a Maria.
Di certo Maria era molto apprezzata da tutti i pervertiti dela città che facevano la fila pur di spassarsela un pò con lei.
Il sesso non pretende rispetto. Maria non ne meritava.
Maria non aveva niente. Neanche un volto. Solo un'innocenza rubata troppo presto e un corpo distrutto.
Una sagoma incassata su un corpo fiaccato da diecimila pompini con delle rughe taglenti come lame affilate che le segnavano il volto come un biglietto obliterato troppe volte stropicciato e nascosto nell'incavo di un giaccone troppo grande.
Rideva un sacco Maria, e ogni volta che la vedeva Antonio si chiedeva come potesse riuscirci visto la vita che conduceva.
Spesso lo faceva per effetto delle sostanze che assumeva che la rendevano simile a uno zombie pieno zeppo di fondotinta.
Che tipo Maria!.
Nel quartiere era il giocattolo di tutti. Il suo giro lo conosceva chiunque.
La piazza del paese era il suo regno incontrastato e per una ricarica da 10 euro sul cellulare e un pò di polvere bianca in corpo si faceva chiunque.
Adorava Mia Martini e tra un Minuetto e un Cumm'è s'accompagnava a tutti con disinvoltura.
I parenti avevano provato a toglierla dal giro ma senza successo.
Maria era fatta.
Spesso spariva per giorni senza che nessuno sapesse mai dove andasse.
Nessuno si preeoccupava per lei. Tanto tutti sapevano che sarebbe tornata con la sua borsa Gucci truccata e il suo mozzicone di sigaretta vecchio di giorni.
Era famosa Maria.
Da quando poi la famiglia era riuscita a trovare un appartamento più decente dal monolocale in cui era cresciuta, le sue quotazioni erano salite alle stelle.
Dio solo sapeva quanti appuntamenti aveva ottenuto e quanti ragazzi aveva spompinato in quell'ascensore sito al ventiduesimo piano del palazzo.
Le piaceva spompinare. Le dava un certo potere e la faceva sentire importante. I maschi son polli pensava. Non sempre eran interessanti ma l'importante e che pagassero e se poi trovava il fesso con la roba tanto meglio.
Non aveva scrupoli Maria.
Cercava sempre di soddisfare le richieste della clientela, ma quando trovava il fesso duro e puro, gli rubava tutto e scappava a gambe levate.
Per i scarafaggi un buco per nascondersi c'è sempre e lei li trovava e sapeva tutti. Vantaggi dell'esser quasi anoressica. Mar ia ci pensava spesso a questa cosa e non poteva fare a meno di sorriderne.
Il mondo era una pozzanghera a misura di vagina. Pur di vederne una, qualsiasi fesso era disposto a tutto. Proprio tutto. Il gioco era sporco ma un Big Mac e un Crown Royal valevano il rischio.
Era generosa Maria. Ma raramente è solo se era cotta come un uovo.
Era avara Maria. Di quell'avarizia tipica di chi i soldi non sa neanche di che colore siano e quelli che ha se li tiene stretti.
E lei stretta lo era sempre stata e di strettezze se ne intendeva parecchio.
Il padre l'aveva abbandonata fin da piccola, la madre campava di piccoli lavori in nero, i fratelli eran pupazzi nelle mani delle promesse del politicante di turno.
Ed era già tanto tutto sommato.
Prima era anche peggio.
Maria era l'ultima di sette fratelli: quattro fratelli e due sorelle ma lei era l'unica che aveva sviluppato in sè la volontà d'emergere da quell'inferno.
Ogni volta che arrivava uno nuovo in città faceva di tutto per conoscerlo nella speranza in lui si celasse quel Principe Azzurro di cui la nonna gli aveva parlato qualche volta da piccola.
Era testarda Maria e quando decideva di catturar l'attenzione di qualcuno non si risparmiava.
A diciassette anni. Il suo teatro d'eccezione era una bettola frequentata da borseggiatori, cocainomani, cravattari e dai truffattori della peggior specie.
Un posto dove il saluto non era obbligatorio e dove per intendersi bastava un'occhiata.
Le parole lì erano un incidente di percorso, la musica un ritornello vecchio di secoli, insetti stipati in zuccheriere rose dal tempo, un poster dei Bee Gees attaccato con noncuranza alla parete percorsa da lacrime d'acqua quasi esse fossero consapevoli che in un posto cosme quello non si poteva non piangere.
Una Cinquecento tumefatta fuori, sirene lontane d'una Polizia distratta quasi una presenza subliminale ma costante nei cuori di tutti.
Un barbone s'appallottolava silenzioso preparandosi all'ennesima notte fredda.
In quel quartiere conveniva far così se si voleva portar a casa la pelle.
Chi oltre la propria pelle non aveva altro, la riscaldava con il peggior wisky in circolazione. Wisky e ancora wisky per inoltrarsi in una notte senza sonno.
Maria quelle notti le conosceva bene e pur di non viverle s'attardava e stordiva in quel bar tutte le sere.
Ad un certo punto una di quelle sere smorte da monotoni sintagmi entra un tipo.
Bello, mascella da Beautiful, occhio da Centovetrine, riccio da Tutti Pazzi per amore e portafogli da The Millionaire.
A Maria pareva Richard Gere. A lei nonsembrava vero di poter essere Julia Roberts per una notte. Lo adocchiò, lo avvicinò, gli parlò.
Il tipo era appena arrivato in città. Cercava un posto per dormire. Maria non perse occasione per proporsi ed era salita subito in macchina.
Meraviglioso. Musica a palla, DVD a raffica, chiusura automatica, motore truccato e via verso nuove e più eccitanti avventure.
Correva veloce con la macchina il tipo e per un attimo Maria si sentì una regina.
Al rombo della macchina tutti si girarono a guardarla e lei li salutò felice di tanta popolarità.
Maria portò l'uomo in un hotel.
Avrebbe desiderato passar la notte con lui, ma lui non volle. Troppo secca sentenziò.
Così Maria fu costretta a tornare a casa a piedi in autostrada. Trovò il tempo di spompinare uno. Un camionista. Fu felice di quel guadagno imprevisto Maria. Era pure bello questo. Quasi cinquant'anni ma ben portati. Maria si rivestì in fretta quella volta. Era abituata a ingoiare di tutto ma questa volta gli sembrava diverso. Sentiva che se fosse rimasta ancora lì avrebbe potuto anche innamorarsi.
Il suo membro gli piaceva. La voleva dentro quella bestiaccia, sbavava come una cagna, testa piccolina, vagina ampia Maria. L'uomo l'accontentò senza badar troppo ai preliminari. Fermò il camion, montò dietro e la cavalcò.
Accidenti che anaconda. Era un sacco che non trombava uno così dotato. Urlava Maria. L'uomo andava a mille. Maria era completamente sottomessa. Su e giu, senza posa. Il camion era un florilegio di calendari femminili. Magda Gomes pareva quasi invidiarla.
Come s'arrapava l'uomo. Come godeva Maria. Affanculo la droga, affanculo la vita, affanculo quell'inferno. Maria pensò che sew doveva morire quello era il momento giusto. E lui trapanava ancora e ancora. Trapanarono per quattro, cinque, sei ore senza fermarsi. Aveva un Black and Decker l'uomo al posto del cazzo.
Ad un certo punto lo baciò anche in bocca. Maria non lo faceva quasi mai ma quel bestione era speciale. Gli leccò persino le palle. Lui era inarrestabile. Litri di sperma imperlavano il suo viso. Lei era felice.
Al termine di quella prestazione Maria ebbe fame.
Si fermò in un pub. Ma l'aria non era tranquilla. C'era stata una sparatoria nelle vicinanze e l'aria era infestata da una malefica agitazione.
Il padrone del pub le corse incontro urlando Va via!!! Tutto chiuso stasera!". Maria fece in tempo a bere un Bacardi e fugge via.
Peccato. per una volta che poteva pagare senza scroccare...
Il barista era stato pure sgarbato. La notte era ancora giovane e lei finchè avesse avuto vita, non avrebbe mai messo piede in quel bar.
Andò in un altro. C'era una cover band dei Cure che suonava. Buon rock, tante luci, tanta bella gente, tanti fatti, tante fighe pronte a darla via facile, tante limonate improvvise, tra un supplì e un prosecco, fino alle sette del mattino mentre la coverband dei Cure accennava ancora una volta Lullaby.
C'era già stata qualche volta, ma adesso non ricordava nepure il nome del suo accompagnatore.
la notte era umida, le macchine erano andate già a dormire.
In poche osavano ancora sfidare la nebbia che a grandi banchi avvolgeva la città.
Solo gli sbirri sbucavano di tanto in tanto per controllare che tutto fosse a posto.
Gli sbirri non si fidavano di questi locali alternativi e non aspettavano altro che scoppiasse qualche rissa per allungare il braccio armato della legge. e chiudere tutto.
E la cover band dei Cure andava che era una meraviglia mentre l'ashish e le birre si sprecavano e felici si mischiavano al fard e ai rossetti creando un atmosfera sbiadita e sepolcrale stile Germania dell'Ispettore Derrick.
Maria era su di giri. Insolitamente calorosa salutava tutti. Regalava complimenti e sorrisi a chiunque. Ad uno lasciò persino il suo numero di cellulare casomai avesse voglia di una scopatina.
C'era una gran ressa quella sera nel locale. Tutti gli occhi erano per Maria.
Tra gli altri, amche quelli di un ragazzo di colore. Maria se ne accorse immediatamente.
Che mestiere faceva? Forse lavorava nelle piantagioni di pomodori che si stendevano a perdita d'occhio nela pianura.
Conveniva chiederglielo? Maria era indecisa. Lui continuava a guardarla. Era bello. La cover band dei Cure andava che era una bellezza e lei continuava a guardarlo.
Lui ricambiò lo sguardo e intanto la patta dei pantaloni cominciava a gonfiarsi. L'uomo di colore cominciava ad eccitarsi. Maria già godeva.
Per rompere il ghiaccio lui le offrì un drink. Maria non aspettava altro e lui cominciò a toccarla dappertutto e a slinguazzarla a dovere.
Lui s'era appena sparato una pera di anfetamine lei pure ma era ancora in sè.
Lui invece no e ordinava ancora birra. Maria sentiva che stava per cedere Lui le sussurrò il suo nome. Era strano. Non lo afferrò subito.
In compenso, Maria afferrò subito la sua proboscide cubana e capì che le piaceva.
Era accaldata Maria. Sentiva il bisogno d'aria fresca e spazio. Tanto spazio. Fuggirono da quella prigione colorata.
Scapparono per ritrovarsi in un tugurio. Il cubano viveva lì.
La casa era poco più di uno sgabuzzino ma l'adrenalina era a mille e non c'era tempo per far gli schizzinosi.
Lui si rullò rapido un cannone e lei gli fece subito un pompino. La sua specialità.
Un casino quella casa abitato anche da altre persone. Altri maschi. Altri cazzi.
Maria era eccitatissima. Cure in testa e cazzi in culo. Che libidine. E ancora birra, tanta birra. E tanti cazzi pronti ad infilarsi dentro di lei. Quattro forse.
Maria rideva. I primi tre erano belli tosti ma il quarto non si poteva proprio sopportare.
Sembrava volesse sventrarla. La casa era una latrina piena di pedalini sporchi, preservativi usati e piatti rotti nel lavandino.
Maria non rideva più. Il cubano invece sì. Rideva e sbatteva ancora. Cuba era lontana, lontanissima. E Sotomayor espelleva da sè secoli di sperma.
Maria era diventata un manichino nelle mani dei cubani.
Maria era morta nell'indifferenza generale col suo completo Armani indosso e l'Iphone nuovo di zecca in borsa.
Di lei ora non rimaneva che un trafiletto su un'anonimo giornale di periferia ma Antonio non avrebbe mai dimenticato quelle cosce scheletriche inondate di sperma e i suoi occhi azzurro mare.
E vaffanculo alla cover band dei Cure.
Ciao Maria.









giovedì 5 gennaio 2012

Un mare di gente


Un mare di gente
a flutti disordinati
s'è riversato nelle piazze,
nelle strade e nei sobborghi.
È tutto un gran vociare
che gela il sangue,
come uno scricchiolio di ossa rotte.
Non si può volere e pensare
nel frastuono assordante;
nell'odore di calca
c'è aria di festa.

2

Appartiene al suo sorriso
l'ansia dell'uomo che muore,
al suo sguardo confuso
chiede un po' d'attenzione,
alle sue labbra di rosso corallo
un ingenuo abbandono,
vuol sentire sul petto
il suo respiro affannoso:
è un uomo che muore.

3

Fiore di campo nasce
sul grembo della terra nera,
fiore di campo cresce
odoroso di fresca rugiada,
fiore di campo muore
sciogliendo sulla terra
gli umori segreti.

4

È triste non aver fame
di sera all'osteria
e vedere nel fumo
dei fagioli caldi
il suo volto smarrito.

5

E venne a noi un adolescente
dagli occhi trasparenti
e dalle labbra carnose,
alla nostra giovinezza
consunta nel paese e nei bordelli.
Non disse una sola parola
né fece gesto alcuno:
questo suo silenzio
e questa sua immobilità
hanno aperto una ferita mortale
nella nostra consunta giovinezza.
Nessuno ci vendicherà:
la nostra pena non ha testimoni.

6

Lunga è la notte
e senza tempo.
Il cielo gonfio di pioggia
non consente agli occhi
di vedere le stelle.
Non sarà il gelido vento
a riportare la luce,
né il canto del gallo
né il pianto di un bimbo.
Troppo lunga è la notte,
senza tempo,
infinita.

7
Passeggio per i campi
con il cuore sospeso
nel sole.
Il pensiero,
avvolto a spirale,
ricerca il cuore
della nebbia.

8

Seduto se ne stava
e silenzioso
stretto a tenaglia
tra il cielo e la terra
e gli occhi vuoti
fissi nell'abisso.

9

Fresco era il mattino
e odoroso di crisantemi.
Ricordo soltanto il suo viso
violaceo e fisso nel vuoto,
il pianto delle donne,
il singhiozzo della campana
e una voce amica:
"è andato in paradiso
a giocare con gli angeli, tornerà presto
e giocherà a lungo con te".

10

Stormo d'ali contro il sole,
capitombolo nel vuoto.
Desiderio,
erezione,
masturbazione,
orgasmo.
Strade silenziose,
volti rassegnati:
la notte inghiotte la città.

11

Il cuore batte con l'orologio
il cervello pulsa nella strada:
amore e odio
pianto e riso.
Un'automobile confonde tutto:
vuoto assoluto.
Era di passaggio.

12

Sulla strada bagnata di pioggia
si riflette con grigio bagliore
la luce di una lampada stanca:
e tutt'intorno è silenzio.

13

Nubi di fiato rappreso
s'addensano sugli occhi
in uno strano scorrere
di ombre e di ricordi:
una festa,
un frusciare di gonne,
uno sguardo,
due occhi di rugiada,
un sorriso,
un nome di donna:
Amore
Non
Ne
Avremo.

14

I miei occhi giacciono
in fondo al mare
nel cuore delle alghe
e dei coralli.


Peppino Impastato

domenica 1 gennaio 2012

Buon Anno (parte 2)




Buon anno a tutti voi cari lettori perchè possiate trovare sempre un buon motivo per alzarvi la mattina e sentirvi in ogni caso vivi e felici d'appartenere al consorzio umano.
Siate dunque felici e ancora auguri di un buonissimo anno!!!!!!!!!