lunedì 22 giugno 2015

Laura Antonelli



Laura Antonelli.
Sognarla tra le pieghe della notte era un esercizio solito e concreto ma vano come le barche di carta affidate alla luce dello stagno.

E come quelle affondano ora i pensieri, colano a picco gonfi di realtà appena l’estate  si affaccia alla vita indorando persiane d’oro puro.
Spalanco gli occhi e fugge dal mio sogno, una farfalla che vola leggera e si perde lontano zigzagando tra i narcisi ed i giacinti fioriti in giardino.

Mi alzo e batto 

il canto dell’oblio.
Il conforto dell'oblio la accolse - allontanando da sè il mielato calice della notorietà cancellando i passi sulla sabbia infida della fama e i suoi fianchi annodati  nelle calze che avvolgevano nella nebbia il suo sorriso.
Voleva isolarsi nella quarantena del ricordo, riassaporarlo tutto istante dopo istante come un film imparato a memoria - le battute degli attori erano la sua  vita.
Voleva dimenticassimo le risate, le imboscate, quei saliscendi ormonali che rompevano la noia della sera.  Tardi, ma non troppo,  per esser Nino La Brocca almeno per un  umido momento.


Voleva dimenticassimo le sue labbra, i suoi occhi, persino quella sottana che indossava sulla scala dei sogni.
Forse – pensava – l’oblio è un fiume lento e scorre inesorabile.
Nelle sue acque tutto si perde .
Non sapeva però che più forte è l’amore.




domenica 21 giugno 2015

Estate



Her
pes volubile azzardo della realtà,
pallido dell’anima e abbaglio della landa...
Cieca
insania ardente.
Estate, giovani, baldoria,  tinte.
Sciolto abbrunire del ciglio sterile...
dispotico
esplorare dei  boccioli avvilenti
... E mentre qui
tenerezza farfuglia collisioni 

l’esangue bautta  del domani
filtra aspra -
la ferita del sole.


sabato 20 giugno 2015

Alvaro Recoba : decadente piacere di un cicllco rimpianto



Se Gianluca Vialli è stato il mio mito d’infanzia, Alvaro Recoba è stato il matto della mia adolescenza. L’ideale per quei  tempi oscuri e  una squadra pazza. Un controsenso pigro dal talento in
comprensibile.  Assolutamente astruso in un calcio invecchiato sotto berrettini d’aspro tatticismo. Una parabola struggente e malinconica sdraiata sulle rive di una grazia evidente. Ma anche un esempio di fedeltà rassegnata e danarosa disimpegnata e anarchica.

Una brezza dagli occhi a mandorla capace di trasformare un dribbling in una speranza ogni partita in un rimpianto. Assurda epifania di un campione autentico ingolfato nelle altalenanti lune di galassie in costante evoluzione di flash e copertine. E lui lì, sempre lì, lì nel mezzo spesso e volentieri ad interpretare la sorridente scappatoia di lusso. Eccesso da ultimi minuti. Perché il campo in quegli anni era di gente noiosa, disciplinata, banale, costante, pedante, fissata all’esattezza di uno schema e la certificazione di un destino.  Beatificato da Massimo Moratti dopo l’esordio in coppia con Ronaldo i  gol fantascientifici contro Brescia ed Empoli ad innescar illusioni e oscurar in diciotto minuti  la chioma padana di Dario Hùbner che quel pomeriggio lì  del 31  agosto 1997, emergeva anche lui  dalla nebbia di un fitto apprendistato.

Appreso da subito il mestiere di oziosa eccedenza, anche lui, con l’incoscienza dei ventidue anni, scese in provincia  attardandosi in laguna al Venezia a distillar occasioni e magie per i rudi piedi di Pippo Maniero, antico bucaniere d’area di rigore che in seguito, manco a dirlo, non  ripeterà mai più una stagione così esaltante facendosi notare più per le occasioni mancate che per i risultati raggiunti capace di andare in Scozia al Rangers Glasgow per poi ritornare  dopo quaranta giorni, nostalgico Cincinnato, ai campicelli natii in quel di Piove di Sacco.  Eccellenza veneta,
  Filippo Maniero non fu mai abbastanza per il calcio delle veline  e dei riflettori. Proprio come Alvaro Recoba in fondo. Capace di esaltarsi dalla lunga distanza, come di deprimersi dal dischetto del rigore  di un preliminare di Coppa Campioni. Come se il superamento di un limite, la consapevolezza di un traguardo fosse nulla davanti al decadente piacere di un ciclico rimpianto. Una droga di cui Moratti difendendolo fino allo stremo, non è mai riuscito mai a fare a meno e nemmeno i suoi tifosi.

In fondo, la vita si costruisce anche così bivio per bivio resta di noi un labirinto di strade non prese. Il Chino lo sa, l’ha sempre saputo e in questo arso  avvenire, s’infila chiara, una stilla di rimpianto.

Come tutti i sabati per me maledizione.


venerdì 19 giugno 2015

La storia che non vuole scriversi



Non sapeva ancora che si chiamava Giovanni quando Antonio lo vide per la prima volta. Se ne stava seduto per terra, sul marciapiede voraginoso, dove passeggiava la gente. Una gamba la teneva distesa e l’altra col ginocchio in alto. In un fagotto nascondeva un mandolino o qualcosa di simile.
Antonio senza badare troppo agli altri estrasse il taccuino  cercando un foglio pulito. Frugò in fondo alla cartella per estrarre una penna arraffata in un’edicola.  Prese appunti poiché il luogo e la sua solitudine gli avevano dato quello che sembrava un ottimo spunto per un racconto.
Non seppe come se ne fosse accorto, Giovanni, che quella non era una schedina dell’Enalotto. Forse Antonio in quel momento aveva più lo sguardo di chi mette a fuoco i personaggi e li anima. Che non è lo stesso di chi azzecca la combinazione vincente.
Giovanni distendendo la gamba destra gli disse : “Sai: anch’io una volta facevo un poco d’arte…”.
“Cioè? Perdoni signore, temo di non capire…” fece Antonio infastidito da quell’intrusione.
“Ho visto che scrivi: stai mettendo su quel foglio degli spunti per qualcosa da scrivere, vero? Si vede, sai!”
Un po’ lo disturbava quell’’invasione. Chi era quello. Un accattone, uno strozzino, un banale rompiscatole?
Dall’aspetto non riusciva a ricondurlo a nessuna di siffatte categorie e questo lo infastidiva ancora di più.
“Io ho scritto fino a quando non ho incontrato lei.”
“Lei chi?”
“No. Non lei chi? Lei cosa! La storia  che non vuole scriversi”.
Ormai la lunare malinconia di quell’uomo lo aveva catturato. Non se ne accorse ma il suo sguardo  si fece all'improvviso meno contratto e, con qualche dubbio, cercò di farsi descrivere meglio le fattezze di quell’impedimento.
“Avevo trovato la solitudine giusta ” – iniziò Giovanni senza quasi ricordarsi di guardarlo negli occhi – “avevo trovato l’ispirazione perfetta. Sentivo che era valida. Che poteva catturare, interessare, colpire. E (cosa più incredibile  di tutte) non era tutta fantasia. Aveva i piedi solidamente piantati nella realtà. Parlava di uno scrittore che incontra una storia così forte che lo sovrasta. E lei, la storia, decide di non volersi lasciare scrivere”.
 Antonio lo guardava incantato ma non riusciva a fargli domande. Gli interessava davvero quello che diceva.  In quella partitura scritta nell’aria, c’era una sinfonia che conosceva.
“E anche io ho fatto la fine del mio protagonista. Ero così convinto della validità di questo spunto che non ho accettato compromessi. Alla fine questa storia non si è mai lasciata scrivere e adesso io sono qui. Come mi vedi”.
 Centro! Incredibile! Quell’uomo aveva capito tutto.  Tutto quello che Antonio celava in capoversi stretti e infidi, stava lì spiegato e brutalmente vero. Voleva correre a casa, anzi, lasciar stare quella faccenda di scrivere una cosa al giorno  e limitarsi a rosolare in superficie come tutti. Pur pensandolo, sapeva bene di non  poterci riuscire.  Il  foglio cominciava a pulsare come  carne viva. Il foglio non voleva approssimazione, lui esigeva verità.  Solo la verità poteva dargli un futuro.

Ma spesso accade che  per vedere la bellezza del futuro bisogna reinventare  il passato. Quello, col suo pastrano incrostato di nebbia, non voleva saperne d’andar via come tutti gli altri che avevano condiviso un vano della sua vita. 
Come …

Dannazione. Soltanto in quel momento se ne rese conto . Non riusciva a pronunciarne nemmeno il nome. Eppure era passata una vita dal loro ultimo incontro.





Di lei non gli era rimasto nulla se non l’eco dei suoi passi forgiati nel ricordo, sulle assi dei gangli neuronali impressi a vivo...
E quel calore dolce sulla guancia dove marchiò l’addio, l’ultimo bacio con cui lo fece per sempre suo vassallo...
E quel nastro per legare i capelli e le conchiglie che raccoglieva all’alba, la matita verde con la gomma che usava per riempire i cruciverba.

Così nel cuore la conservava ancora: come le dame ottocentesche avevano la ciocca dell’amato sopra il seno tra due vetri in una cornice d’oro, Antonio custodiva nella giacca una sua lettera che il tempo aveva gualcito rendendola provvista di un ricordo.

Finchè   un’altra donna non lo avesse destato dal letargo amoroso rivestendo panni di una nuova primavera non  ancora accaduta. 
Ancora un  pò  sarebbe giunta l'estate. Antonio la odiava l'estate. Cercava di ignorarla come poteva ma certi giorni  era impossibile  sottrarsi alla lenta metastasi degli anziani vicino la fontana seccanti d'arsura. Per non parlare dell'ormonale inclinazione a spogliarsi di tutti gli altri  che rendeva visibile le ernie dell'esistere.
In quei momenti d'agonia solo il cielo pareva restituirgli vigore.


Il cielo quella sera,  era di marmo e di velluto - lo rivide nel cuore del ricordo, rivide  il mare fremere e la terra flettere sotto il vento.
Il giorno travestiva da notte l’apocalisse del suo amore, segnando inflessibile precettore, il punto in cui tutto era crollato come castello di sabbia preso dall’onda.
Quel temporale per sempre macigno - ancora addolorava come un occhio nero.




venerdì 12 giugno 2015

La sfuriata di Umberto Eco contro i social network: una banalita dal merito indiscutibile



C'è un che di commovente, e antipatizzante assieme, in quella parte d’intellighenzia italiana che in queste ore,  cerca di aggrapparsi al fuoco della polemica innescata da Umberto Eco nei confronti  dei social network e i suoi frequentatori.

Quasi fosse un televoto, o un altro sciapo meccanismo per la caccia al pubblico, è inevitabile che nell’immenso vuoto che c’è, si ammicchi a Twitter, Facebook e qualunque ennesima forma di ciarleria virtuale.

Il risultato è triste.

Mentre l'offerta resta uguale a se stessa, tanto stanca da autocompatirsi, non evolve l'interazione tra scatola cranica,  cinguettii e pollici sparsi e assortiti.

Ed è giusto sia così.

Non è pensabile, né oggi né chissà quando, che il popolo mastichi i social al punto da esprimersi solo attraverso essi ;

Viceversa saranno le logiche di mister Tablet a manipolare presto  le nostre scelte , sviluppando nuove forme di interazione e interemozione.

Banalità evidente, mi strillo da solo, eppure degna di essere scritta.

 Come quella di Eco in fondo ma  dal merito indiscutibile : far riflettere sul rapporto tra noi e la comunicazione digitale.

Un esercizio di libertà, verrebbe da esultare a caldo; mentre a freddo prevale la delusione.

Nel senso che l'architrave non regge come dovrebbe.

 Qualunque argomento di cui si parli su FB, non   vi è mai un solo elemento includibile nella categoria dell'inedito.

Sullo sfondo, volano parole e immagini sovrapponibili a mille altre.

Quanto al versante social, il contributo da casa è, succube di mistress Modestia. Infarcito di luoghi comuni e faccine salaci.

Al che l'idea è di contattare il messaggiatore, e consegnargli un fattiungiro per la superficialità sfoggiata.

Poi prevale comunque una diversa considerazione e in tempi di crisi tutto allunga il brodo straparlonico nazionale.

In fondo, il gran merito di " Eco  è disvelare due false tesi:

la prima è quella che vorrebbe larghe intese tra il popolo  e  i social worlds.

No, non ci siamo ancora, e comunque non è questa la giusta strada.

Quanto alla tesi numero due, secondo cui Twitter e parenti vari potrebbero contribuire a una neo- democrazia  popolare consiglio il massimo dei freni a mano.

Strappate al loro habitat, le magie di questi dolci acquari perdono spesso interesse.

 E  poi guardare un tramonto,  tenendosi per mano è più bello.
Tuttavia è ancora più triste, chi dall'alto della sua livrea, s'acceca non riflettendo sul fatto che oggi la libertà va difesa in ogni modo . Anche quelli meno politicamente corretti  e forse più umani.
Capaci di restituirci un Paese che sappia meno di naftalina e luoghi comuni. Pur di comodo ed 
Eco.