sabato 31 ottobre 2015

La cumbia sorridente di Juan Guillermo Cuadrado



Sera di lampi e di tuoni lontani questo derby della Mole: tra attutiti colpi di artiglieria e leggere nuvole vagabonde meravigliano folgori saettare brune nel cielo del tramonto, fiori più effimeri di fiocchi  di neve, eppure così belli, una poesia di qualche centesimo di secondo.

Notte di lampi, una notte di sogni – regnanti   nel loro territorio di desideri arditi, anche impossibili e assurdi talvolta. Chiedere alla Juventus in tal senso. Risponderà unanime ripartire. Rimontare per ricredere in se stessi e scacciare rognosi fantasmi fregandosene della linea retta del tempo.

Ed il risveglio è questa cumbia   sorridente  firmata  Juan Guillermo Cuadrado  giunta fuori tempo massimo  con  le streghe in agguato e la pioggia   a tormentare l’autunno e un cielo grigio steso sulla valle e sulle strade curve dell’inconscio in attesa di una  indispensabile continuità.


lunedì 19 ottobre 2015

Pari



Pari . Quattro sillabe a sviscerare l’angoscia di non essere più primi e scoprire la calma letizia dei piccoli passi. Utili a ritrovare sicurezza e stabilità (Inter), concreti automatismi (Juventus).

Perché al netto delle tante stelle in campo, più che a una partita di calcio è parso d’assistere a un convulso esercizio di stile, dove entrambe le squadre, hanno mostrato il meglio di se stesse, accantonando per una sera, inestetismi e timori di stagione. Armonica e muscolare l’Inter, sorniona e frizzantina la Juventus dove aspettando i nuovi brillano ancora i vecchi  desiderosi di non ammainare la bandiera di migliori d’Italia. Barzagli e Chiellini iersera  son stati monumentali respingendo al mittente  le multietniche velleità di vittoria interista. In un incontro - sacre definizioni di Brera a parte  - specchiante davvero la congerie dell'Italia ultima: da una parte il mondo multilingue e integrato con le sue traverse inflessioni e indomiti equilibrismi ( Inter),    dall’altra l’orgoglio di un'
 Italia che non vuol scomparire e gagliarda batte ribatte, sbatte e lotta in mezzo a noi (Juventus), riciclandosi anche in ruoli non propri (Marchisio regista proprio  non va) per ricacciare i fantasmi di una squadra quest’anno  improvvisamente apatica, indifferente, svogliata e intorpidita e lasciar spazio alle lune altalenanti di un critico Pogba abbagliato dalla gloria di un numero di maglia che non gli appartiene,  e la voglia di sfondare di Khedira. Ha preso un palo, il fascinoso tedesco. Per uno che è andato in rete al primo appuntamento, quasi un malizioso richiamo.

I dilemmi alla Juventus son  comunque altri. Si chiamano dovere di riattaccare la spina, necessità di indirizzare al meglio le proprie  logore risorse.

Ne avrebbe tantissime Cuadrado. Quando parte il colombiano è tremendo. Il problema e che sembra più assecondare un istinto che un’idea di gioco mettendo in difficoltà se e gli altri che, infatti, inebriati dalle sue leve da centometrista, si smarriscono sul più be
llo.  Stando al palo. Quello di Khedira e una squadra partita tardi e costretta a risalire una vetta lontana.

Proprio come l’Italia tutta imprigionata in un tempo altro rinvigorisce solo  spalle al muro non demeritando nel complesso. Proprio come  la partita di iersera  dove nessuna delle due contendenti avrebbe meritato la sconfitta e gagliarde racimolano una mollica di pane a testa.

Visti i tempi, credete, è già tanto.

mercoledì 7 ottobre 2015

Spes contra spem



Pietire incolonnamenti vertebrali all’uopo di bilanciare ancora il sole.
Non proprio il massimo per un inguaribile dissesto.
Son salpati tutti intanto.
Io?
Sgrassato e  fratto,
seguito lastre ambiguo.  
Chiuso, al distillo di un contorto ritorno.
Spes contra spem.

domenica 4 ottobre 2015

Verso la rinascita



Sami Khedira. È lui l'albero maestro ora legato alle  vele del cuore juventino. Dopo i balbettii dell'inizio, la compagine sabauda ascolta il suo canto, amabile Sirena dalla memoria gentilizia e non si lascia fare a brani e poi gettarsi sugli scogli della stolta costernazione procurata dalla solita  transalpina piaga, ( dopo Thereau dell’Udinese Mounier del Bologna ). Se non lo fa, è perché  vola spedita nelle geometrie ispirate di questo partecipe tunisino in Germania travasato.

Solidamente ancorata all'oggi anche quando lo sguardo si dirige all’Everest della bassa classifica, la Juventus balugina istantanei tragitti situati oltre il tempo, lungo quei territori già esplorati, battuti palmo a palmo nel passato.

Come gli speleologi che tentano i cunicoli dell'oscurità tenendo stretta la robusta corda che li tiene legati in superficie.
Assapora la realtà la Juventus è non sembra quasi vero: dopo tante sere  affondate di nebbia e vecchi treni  persi in un'aurora livida e fumosa.
E, come Proust nella Recherche,   la corazzata bianconera spinta dalle reti di Dybala e Morata riscopre il  tempo perduto, quell'amore sotto pelle che si era sperso chissà dove, e  tifosi festanti sugli spalti di uno stadio finalmente felice e schiuso a una inedita 
certezza:


Lenta la nebbia dissolve e aitante si  palesa il presente.  Sempre, comunque e nonostante tutto. C’è ancora vita su quel treno che viaggia verso la rinascita.


giovedì 1 ottobre 2015

La più grande tartaruga marina esistente sulla faccia della Terra



È  scuro qui. È scuro.
È un avvio indolente, aggranchito. Fatico a capire dove sono. È scuro.
Mi sento uno strano vuoto in testa, la mente pesante. Poi poco alla volta comincio a ricordare. Metto a fuoco lentamente quel qualcosa di ostile. Una minaccia ancora oscura. Che mi ha portato a infilare la testa sotto questa corazza fredda.
Noi della nostra specie abbiamo questa memoria rassicurante all’interno. Un rischio, un’angoscia, una remora e ZOT! La testa ficcata sotto questa polare armatura.
Che poi, va detto: non è mica una pratica facile!
Le prime volte, se ti dimentichi di infilare bene la testa, il collo si anchilosa di netto. E fa male per giorni anche se il dì da qui appena si percepisce.
Spesso son raggi effimeri e trasparenti. A volte son duri come l’estate africana. Ma poi ti ci abitui e  non si sta così male. Il sole non picchia forte in faccia e i rumori arrivano smorzati. Distanti. Statici.
Adesso, poco alla volta, inizio a ricordare. E più il ricordo si fa nitido, più il batticuore che mi ha portato qui, riprende nerbo.
Non ricordo se fuori ci sia un predatore che vuole attaccare, non so neanche se questo stratagemma possa dissuaderlo. Ma lo hanno sempre fatto i miei simili e mi fido. Sento il cuore che batte più forte. Una smania indicibile.


Perché sono nascosto qui? Uno squalo? Una tempesta? L’anticiclone delle Azzorre?
O forse perché mi hanno chiesto se credo in Dio. Anche se qui va forte Nettuno e che qualcuno lo chiami anche Poseidone non rende il confronto meno impari. Ché poi il mare è sempre mare da qualunque parte lo si guardi . Come il cielo : troppo grande per un uomo solo  al comando. Almeno che quello non sia Coppi che era si sa, un canpionissimo, un airone. Ed io?   Io?
 Io ? Affanno eclissato perché bramo signific
ato? Mi sto intorpidendo tutto. E’ se cambiassi rotta? Questa si che è bella!!! Ma che domande sono per una
Dermochelys coriacea la più grande tartaruga marina esistente sulla faccia della Terra?

Mah!
Perché non è nel punto esclamativo, non è nella certezza bieca, ma è nella domanda la verità quella urge ancora come un grido nella notte.
Perché sono nascosto qui?

Forse per non vedere lei, per non dover reggere il suo sguardo. O per evadere una
faccenda. O una vergogna.
Sa di salsedine e di mare il vento che trasporta la sabbia mentre la luce del giorno cade oltre le onde, franti gli scogli,incendiando lontano l’orizzonte .
E’ un sogno - un sogno nuovo  - e contiene tutte le speranze e rassoda le illusioni imprigionandole come formiche in una minuscola goccia d'ambra.
Il suo profumo è così intenso che mi sento quasi brillo.
Tanto da rischiare l’avanzata.  Ci provo, tento l’avventura ma... ops la schiena mi costringe a una precipitosa ritirata acciderba!
Che uno non sa quanto sia difficile portarsi la casa sulla testa. Chiodo fisso dalla nascita, mi domando anche se sarà la mia bara e sto partecipando al mio funerale ancora in vita.
Sfinito, pigiato involucro,  refolo mutamenti radicali.

Prima o poi tirerò fuori la testa. Per controllare se il rischio è evaporato.
La tirerò fuori. Con prudenza.
Pronto a infilarla di nuovo  qui al caldo del mio guscio. Alla prima angoscia, al primo capitombolo. Al primo urto.

Le ecchimosi sulla corazza ne fanno la conta.
Lontane le montagne, lontanissime, e più lontana tu, sempre più lontana. Strozzato  l'eco imita il tuo nome.