lunedì 12 gennaio 2015

Mango e l'alba di una nuova estetica dell'addio



La morte ci scopre nudi alla meta. Digiuni d’infinito le mani fanno bene a stare nella carne di un futuro tutto da costruire. Pino Mango è morto così come tutto quello che non arriva ma che deve venire e intanto ronza nelle orecchie, nello spazio vuoto di un mancato avvio, dove il bello muta e forse siamo noi a non volerlo trattenere spogliando anime  di pastafrolla.

Quelle di tutti noi che non sanno ricordare senza urlare e scontrarsi in piazza per un pezzo di terra o il senso  di una fede.

Mango in mezzo a tutto questo franto litigare, non ha voluto ascendere ne gocciolare spostandosi orizzontale con le sue note scivolando così senza ricevere rabbie di corsa orientandosi rasoterra nel fendersi dell’aria di una mutua solitudine in cui invisibili entrambi succediamo distanti incontrandoci a caso, esplorandoci a lato, frattaglie di combustibile di un chiuso lunario appeso a un sole opaco che marcisce lentamente lambito da lingue imperdonabili.

Mango era l’esotica sutura di una millenaria arsura che vegeta in quel prima del corpo dove incontriamo stracche  parole fisiche; nulla più fuggitivo di noi che come soffi ci destiniamo all’aria credendo che il futuro sia questo e invece è solo un istante di simultaneità proiettato in avanti assecondando istinti che diventano ossessioni utili a non sentirci più estranei in questa morte piena di oggetti intorno a simulare una vita siliconata di cazzate importanti.

Per questo se n’è andato nel mezzo della fine Mango. Per darci ancora l’illusione di vivere quando tutto intorno a noi muore.

Era appena un bacio avanti a ieri nell’arco esteso di una frase in vacanza. Inseguiva l’amore come oasi nel deserto poi, come qualcosa di cui farsi perdonare tornava ciò che suonava in quel triste ripetersi per fortuna mai raggiunto. Quello dei cori in sordina e le sagre della porchetta.

Ci ho messo un po’ a raggrumare queste languenti memorie. Mi sfuggiva quasi il coraggio di imprimere questo mio nulla  nel tutto che era Pino.  Ma l'assenza è morte viva. Un brutto odore che spinge a scrivere anche se l'anima è assente ma a tratti intuisce e scava profondo. L'odore assenza di aggettivi che invade la carta incendiandola. Un po’ per rispetto di quest’anonimato (per il napoletano  pazzo Daniele si muovono battaglie legali!), un po’ perché delle epifanie di un altro fantasma cosa te ne facevi?

Ma la rabbia di un mancato ricordo ha armato la mano verso  l’alba di una nuova estetica dell’addio.

Recuperandoti nello sbottonarsi di un pensiero ricostruisco le tue sembianze e corro a raccontarle rotolando a questa vita cui aderisco rantolando parole corte.

E, tu che ora puoi, caro Pino, superami se vuoi soltanto salvando silenzi e mentre scorri su questo presente afono, vorrei dirti resta ad anticipare il futuro con briciole di me .

Nessun commento:

Posta un commento