sabato 28 gennaio 2012

Silenzio comanda Conte


Comanda Conte. Il campionato italiano è ai suoi piedi. Il ragazzo di Lecce arrivato vent’anni fa alla corte di Madama Juve quasi per caso e che se ne era andato sette anni orsono, sbattendo la porta rancoroso per un contratto non rinnovato e ritornato quest’estate tra l’entusiasmo di tanti e lo scetticismo di molti i quali non credevano nel suo gioco fatto di mobilità e inserimenti dalle fasce ma Conte caparbiamente è andato per la sua strada idee in testa energia nel cuore.

Servivano le ali a questa Juve per tornare a volare ed ecco pronti Liechsteiner (in gol sabato scorso), e De Ceglie il quale senza più infortuni è un cavallo mica da ridere.

Servivano torri in mezzo ed ecco Barzagli ritornato quello di cinque anni fa e un Chiellini bravo a sdoppiarsi nell’antico ruolo di terzino e ad alternarsi con un rinfrancato Bonucci in mezzo.

Una Juve al passo con i tempi quella di Conte capace di comprendere che se non hai Robben e Walcott sulle fasce è inutile attender profeti e se Elia s’oscura da solo e Krasic non capisce i dettami del tecnico, basta un po’ di Pepe nostrano per rendere scorrevole uno spartito orchestrato benissimo da un cristallino e rusticano Pirlo (secondo le leggi di Conte), perché vada tutto liscio se poi hai un Vidal in più il mocho lo puoi anche gettare perché tanto a far la differenza bastano lui e Marchisio.

E poco importa se Matri non segna tanto se Vucinic non fa solo il top player, ma anche lo sguattero di bordo e corre come un ossesso alla ricerca di spazi e palloni giocabili.

Così vuole Conte, silenzio, palla bassa, fraseggi corti e pallina in buca pardon in rete.

Son poche le reti segnate da questa Juve campione d’inverno per la prima volta dopo la tempesta Calciopoli ma sufficienti a delineare il volto di una squadra nata e cresciuta quest’estate a immagine e somiglianza del proprio tecnico il quale neanche dopo 19 partite senza sconfitte e 41 punti (uno in più dello spocchioso e supponente Milan), muta atteggiamento. Conte è fatto così. Siede sulla vetta con naturalezza, comanda il campionato come un predestinato. Ha lavorato bene, trova naturale vincere: logica conseguenza di ciò che è stato fatto.

Sarebbe nervoso, stizzito, al contrario: se i risultati fossero bugiardi. Lo abbiamo visto così sempre, uguale a se stesso, ad Arezzo, a Bari, a Bergamo (nonostante un misterioso esonero), a Siena. Molti lo trovano antipatico perché non perde tempo per piacere a tutti. Ma sarebbe un errore credere che non curi le relazioni che giudica importanti. Quando gli scatta, un interesse lo coltiva (il 4 – 3-3), se qualcuno lo colpisce, lo studia, (Giaccherini), con chi giudica sopra la media, perde molto più tempo di quanto si creda (Vucinic). Antonio Conte è uno che si coltiva: l’arte, la musica, la letteratura, perfino la cucina lo appassionano e riempiono il suo tempo libero. Le personalità fuori dal comune lo incuriosiscono e dedica loro gentilezze e attenzioni. La politica, le questioni sociali, la comunicazione, le osserva e le studia: lo capisci da come gestiste le conferenze prepartita: se Mourinho non era un pirla lui non è un quaquaraquà e quello che deve dire lo afferma senza problemi e chissenefrega se questo vuol dire mandare in tribuna Grosso, Iaquinta e Toni o isolare Motta e Amaurì. L’ha sempre detto dopotutto Conte: chi non è funzionale al progetto si trovi un’altra squadra. Non va per le spicce Antonio. Ha radici popolari e un’esperienza che l’ha reso moderato. Per lui, il destino di ogni uomo è legato alla capacità di realizzare con il lavoro il proprio progetto di vita. Con determinazione inflessibile e capacità di cogliere le occasioni che si presentano. Ma basta che succeda per passione e curiosità, di scivolare sul suo terreno, sul suo lavoro, Conte cambia d’improvviso toni e argomenti. Con pochissime persone ritiene utile parlare di calcio e sono tutte indispensabili. Di pallone non parla a vuoto, non fa chiacchiere da bar, come facciamo tutti. Sul suo lavoro non scherza e ha sempre ragione.

Così da Conte devi accettare tutto, perché non è divisibile, Lui è la stessa persona a Torino, a Siena, a Bergamo, a Bari, ad Arezzo.

Fuori da Torino Conte è uno uno che ha accettato un compito difficilissimo: riportare in alto la Juventus dopo l’incomprensibile Delneri, l’acerbo Ferrara, il signorile Ranieri, il timido Deschamps il buco nero della serie B e il ciclone Calciopoli.

E’ giunto alla fine di tutto questo Antonio Conte e c’è da credere non se ne andrà tanto presto.

C’è un girone di ritorno da affrontare, avversari da battere, concorrenti da stornare, un primato da allungare, uno scudetto da vincere.

Potrà farlo Conte in virtù di una pulizia di gioco invidiabile costruita con un parco giocatori forse non eccelso ma reattivo e disponibile a ricevere.

Marotta sul mercato sta operando benissimo. Lasciate ad altri le chimere d’inverno (vedi Tevez), sì e preso il duttile difensore uruguaiano Caceres, il bello e utile Borriello e forse il volante belga Nainngolan. Tre uomini soli e solidi per agguantare uno scudetto lontano dalle maglie bianconere ormai da sei anni. Probabilmente questi ultimi basteranno alla causa e si metteranno a disposizione dei sogni bianconeri come sta facendo il glorioso ed eterno Del Piero senza fiatare.

Perché al termine del campionato mancano ancora diciannove partite e perché tanto comanda Conte.

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