Ora
che tutto è finito, e la folla s’è diradata, resta solo lo sgomento acconciato
ad indice d’ascolto. Una perizia bisognosa di senso quando non supportata da un’adeguata
direzione: pencolante salotto a rischio sbando nell’abisso di una circostanza rovinosa
la quale occorre dirlo, non ha levigato sensibilità imbastardendo altresì ottusa
convenzione e ineluttabile accettazione.
Perché
è così che s’è avanzato in questi giorni tra crepe di stile e burroni di concetto
cercando di rinvenire tra la necessità di informare e la vanità (e forse l’abitudine),
di ronzare attorno l’alveare dell’inutile pure se accorato.
Tutto
già visto e tastato in forza dì immagini antiche che all’atto dissesto diventano
fradicio presente e formano cinico e morboso crocicchio deludente, sbiadito,
contraddittorio quando non sorretto da nulla di necessario.
Solo
facce assecondanti interventi macerati d’ovvio perché tuttavia distanti dal
cuore del problema che al momento del bisogno resta comunque privato.
Perché
come scriveva Hermann Hesse nella sua poesia “Nella nebbia “ pubblicata nel
1953 in una raccolta dal titolo “Poesie”:
Vivere
è solitudine.
Nessun essere conosce l'altro
ognuno è solo.
Nessun essere conosce l'altro
ognuno è solo.
E il voyeurismo con cui gli organi d’informazione
continuano e seguiteranno a circolare a guisa di schiumosi ovini tra gli
sfollati del sisma e i primi segnali di ripresa, indicano soltanto la difficoltà
unanime di ribaltare schemi consunti.
gli organi d'informazione ...capre che circolano con capre... ciao
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