sabato 14 febbraio 2015

La quarta serata del Festival di Sanremo e la sana follia di Sammy Basso



Se Fabio Fazio l’anno scorso sguazzava nella grande bellezza, Carlo Conti quest’anno sgomma nella carogna vecchiaia altrimenti detta nostalgica tradizione. Tutto sembra chiarire questa grigia sfumatura. Dagli uomini in nero, alle donne in bianco. Tanto languide da scorrere sull’ambito palco come candidi ruscelli in estemporanei idilli. Talmente improvvisi da apparire radiose epifanie in una vallata grigia e bloccata. Così saldata a se stessa da eliminare subito i Kutso un curioso mix tra la Bandabardò e Billi Ballo a vantaggio di un più inquadrato e servizievole Giovanni Caccamo. Chi è? Un volto da poster cui in questi mesi qualche ragazzina dalla salivazione esuberante attaccherà un impulso simile alla venerazione.  Poi, in preda a ben altre eruzioni e deferenze, seppellirà in cantina onnipresente a ogni trasloco.

 Passando  alla gara in assenza di sinuose aderenze che facciano alzare il ludibrio di un incanto annullato dall’incedere di un improrogabile, scaletta, è bene soffermarsi sui volti di un festival molto pop è poco cool. Bellissimo quello di Virginia Raffaele. Monologo incluso. Peccato sia arrivata troppo tardi a  rimpinguare il nutrito viavai di ospiti.

Ci son stati tutti a questo Festival di Sanremo,  e c’è ne saranno ancora, da Ferrero a Conte, da Siani a Cirilli. Dovevano raccontare l’umore del paese: ne hanno svelato il volto invece. Opaco, imbarazzato, stanco.  Affaticato dal tarlo d’imitare se stesso più che dall’onere di parlare agli altri e magari indicare una  strada.

Tra i cantanti salvo Nina Zilli. L’unica che a mio avviso potrebbe uscir da lì con le palle giuste e affrontare palchi più impegnativi, Annalisa, che vorrebbe e potrebbe fare di più se Kekko Silvestre non gli rompesse gli estrogeni nelle ovaie con canzoni troppo modaiole perché facciano tendenza. Quella che fa Malika Ayane capace di far diventare un apparecchio ortodontico un dispositivo d’inediti sogni acustici.  E poi c’è Nesli. Apprezzabile il suo tentativo d’uscire fuori dal trip del rap ed entrare a passo felpato in quell’intrico complicato e scivoloso della vita vera. Quella da cui potrebbe fuggire il funereo Raf di questi giorni e non merita di stare la patinata Anna Tatangelo di queste sere. Troppo finta per rappresentare l’Italia  affranta di questi mesi. Quest’ultima è stata eliminata come l’intrusa Lara Fabian e i pessimi Soliti Idioti. In compenso s’è salvato il deretano di Mauro Coruzzi. Speriamo basti Grazia Di Michele a fargli da ancora. Intanto l’ha salvato la storia di una difficile convivenza con se stesso e con gli altri. Come se non bastasse Barbara D’Urso a far da anticamera di storie convulse e borderline, ecco spuntare un equivoco anche a Sanremo. Un tempo regno del bel canto italiano, ora monarchia assoluta di sgolati spifferi.

Intendiamoci non che i ragazzi del Volo e il sopracciglio irato di Marco Masini la rappresentino bene  e il bimbetto Moreno, la rappino meglio.

Ma almeno urlano e fanno casino più di questo mogio Festival di Sanremo. Uno spettacolo pop dai toni retrò. Molto retrò, pure troppo.

Meno male che a sconvolgerlo ci ha pensato la sana follia di Sammy Basso afflitto dalla Progeria altrimenti, detta invecchiamento precoce.

Sarò cieco io, ma cari lettori  ma soprattutto preziose  lettrici credetemi: in mezzo a tutte quelle vetuste, imbalsamate, marionette, mi è sembrato il più giovane, dinamico e volitivo di tutti.

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