venerdì 22 aprile 2011

Un tonno per amico


Non ricordo di preciso dove la vidi per la prima volta, forse in una sanitaria dove stava comprando dei tampax; non usava mai assorbenti per fermare il ciclo, voleva sempre sentire qualcosa dentro di sé.
Frequentava uno stupido corso di cucina con la certezza che un giorno sarebbe diventata uno chef di fama mondiale e che il suo nome sarebbe comparso sulla guida Michelin; la convinzione, però, è una brutta bestia, ti fa stravolgere la realtà delle cose e lei era così, convinta di essere la migliore in un mondi di mediocri.
La verità era invece un’altra: sapeva di essere una puttana e che da quando frequentava quel gruppo di persone che le parlavano in francese anche per chiederle di affettare delle verdure ( fammi le carote a la julienne ), aveva sviluppato una specie di senso critico che la portava a blaterare delle cose più varie e inusuali, senza capire nulla di ciò che diceva.
La sera poi - mentre se lo faceva schiaffare dietro da uno più grande di lei - poteva intrattenere una discussione sul cinema neorealista polacco o sull’ermeneutica di Gadamer con la stessa tranquillità con cui grattugiava  il formaggio sulla pasta.
Era fatta in questo modo,passava dal cazzo ai libri e dai libri al cazzo in un minuto, senza quell’estenuante battaglia del corteggiamento, del romanticismo disseminato di fiori e cioccolatini che dichiara vincitore uno solo fra i due contendenti.
Quando l’ho incontrata ieri pomeriggio al supermercato, era indecisa tra centinaia di bottiglie di vino rosso:
«potevi venire al corso di cucina» mi dice con una voce da gatta in calore, «adesso so cucinare i soufflé e il tofu.»
«Preferisco la mia pasta col tonno», le rispondo con un tono fra il rassegnato e l’orgoglioso.
Una scatoletta di latta mi aveva salvato di nuovo il culo, come faceva sempre, da dieci anni a questa parte.

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