Brani a supplire l’incuria di un’inesattezza
congenita. Quasi un segno del destino se
non si fosse realmente verificato.
Nel mezzo di un “ salva
con nome” che non arriva discese troppo corte per sciogliere l’affanno
assorbendo fetori di acredine e oblio.
C’è sempre una parola che respira in
tutte le altre e non compitarla per intero trancia di netto un sonno snannato
di carezze vispe sazianti notte.
C’è sempre un segno verso la fine una
ruga profonda che ieri non c’era una rondine che si appresta a partire
nell’accorciarsi di luce di una stagione finita.
Che sia nella densità di una diffusa
sottrazione l’incanto vero della vita?
L’orizzonte prossimo a incupirsi fa da
albero maestro.
E quasi autunno è un po’ me ne spiaccio
come chi ricorda una perduta giovinezza spalle incurvate sotto un peso involuto attaccabile frattaglia di una fortezza
mancata.
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