E adesso che son sette consecutivi cosa
dire?
Gli scudetti dell’era Conte pien di
furia e ferite, eran inaspettati. Quelli a seguire targati Allegri coccarde dovute a una
supremazia tecnica e fisica troppo evidente.
Questo soddisfa di più però. Tanto.
Trentasei alla faccia dei dietrologi
invidiosi e complottisti.
L’immagine che resta è Buffon festante al
passo d’addio fra le luci calanti d’una carriera sportiva felice come poche
altre
Quest’anno poi, pur in stretta
coabitazione col polacco Scezny è stato ancora decisivo.
Perché quest’anno la Juventus ha
rischiato .
Se in casa Juve vincere è l’unica cosa
che conta, quest’anno contro un Napoli ostinato, punti buttati, rigori
sbagliati, s’è fitta qualche crepa nell’impeccabile architettura bianconera.
Ha provato a infilarsi il Napoli col suo
gioco al limite della perfezione maniacale.
E’ bastato la Juventus s’affidasse alle
freschezza atletica delle sue ali sudam
ericane (il brasiliano Costa e il
colombiano Cuadrado) perché il vento della vittoria spirasse ancora in
direzione Torino sponda bianconera.
Questo perché il calcio è un romanzo
popolare che senza un colpo di genio e uno sforzo di fantasia non può
decollare.
La Juventus c’è l’ha fatta, con i suoi
uomini più frizzanti, nel modo più emozionante, al termine della giornata più
complicata vissuta giocando contro l’avversario d’una vita: l’Inter.
Quell’Inter che s’è già presa Asamoah e che l’anno prossimo v’è da
scommetterci, sarà di nuovo degna avversaria.
Meglio così. Vittorie, amori, amicizie e
traguardi: solo le cose che non valgono nulla costano poco.
Quest’anno però v’è stato il Napoli. Un
gioco meraviglioso e un colpo di testa all’ultimo tuffo che rischiava di far
saltare il banco.
Niente da fare. La Juventus, imbarazzata, da improbe intrusioni,
e nauseata al pensiero di un capriccioso abdicare, ha saputo reagire.
Trasformare una crisi in una festa è una dote. La Juventus c’è l’ha. E’
antipatica perché vince? L’ha sempre fatto e non da ieri.
Tutti tifavano contro la Juventus.
Alcuni legittimamente (i napoletani), altri
nostalgicamente, (gli interisti), altri per tradizione (i milanisti). Nulla di
male. Nelle fazioni – gruppi – contrade- l’Italia cerca protezione e
consolazione. Perché il calcio dovrebbe essere diverso?
Basta saper smettere per tempo, e poi
sorridere dei propri infantilismi.
Ma non è stato soltanto il tempo
dell’orgoglio ritrovato d’un campionato finalmente incerto fino all’ultimo.
E’ stata anche la stagione agitata di un
Paese inquieto. I cambiamenti politici e la precarietà economica, l’umiliazione
di un Mondiale senza Italia, e degli italiani che accoltellano un inglese,
l’inopinata scomparsa di Astori, la confusione e il senso d’insicurezza (per
una badante irregolare, per un ponte crollato, una strada dissesta), han portato
molti italiani a trasferire sul calcio tante, troppe aspettative: serenità,
orgoglio, rivincita.
Il calcio, da sempre incline a
sbarazzarsi di ciò che è davvero importante (l’imparzialità ad esempio), ha
fatto quello che ha potuto.
S’è inventata la VAR appunto.
Avvelenando ancor di più un clima non sereno.
Vista l’atmosfera, il campionato è stato
miracoloso: come andamento, come trama, come regolarità. Sbaglia Aurelio De
Laurentiis quando sibila di punti rubati e campionato falsato. Non è vero. Il
problema è invece un altro – sempre il solito.
Il brutto è che un calcio così
avvincente – una Roma epica (soprattutto in Coppa dei Campioni), una Juventus
determinata, un’Inter shakespeariana - è ancora in mano ai violenti.
Ha più neuroni Immobile nel piede che certa
gente nel cervello.
Risultato: anche la gioia è diventata un
esercizio difficile in Italia.
Ma non bisogna mollare: è necessario
pretendere la giusta salvaguardia .
delle nostre pause di piacere innocuo. Guardare la partita e scoprirsi più
smaliziati e emozionati di prima.
Alla fine avremo un pomeriggio di sport
da ricordare, una bottiglia da stappare e una bandiera da esporre.
Stasera in barba a una Federazione fantasma
v’è né una sola svettante sui balconi d’Italia E’ quella di quella Vecchia Signora
di nome Juventus. Su di lei niente più polvere: ormai prende aria ogni anno.
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