sabato 28 maggio 2011

A Esenin

Voi ve ne siete andato, come suol dirsi, all'altro mondo
Il vuoto.... Volate, fendendo le stelle
Senza un acconto, senza libagioni.
Sobrietà.
No, Esenin, questo non è dileggio,
in gola ho un groppo di pena, non un ghigno.
Vedo che con la mano recisa, esitando,
dondolate il sacco delle vostre ossa.
Smettetela! Cessate! Siete matto?
Lasciarsi imbiancare le guance dal gesso mortale?
Proprio voi che sapevate sbizzarrirvi,
come nessun altro a questo mondo.
Perché? A che scopo? L'incertezza ha provocato scompiglio.
I critici borbottano: “Le cause
sono queste e quelle, e in spece lo scarso affratellamento
per effetto della molta birra e del molto vino”.
Si dice che aveste sostituito la Boheme con la classe,
la classe avrebbe influito su di voi e non vi sareste più accapigliato.
Già, come se la classe spegnesse la sete col “Kvas”.
La classe, anche lei non scherza col bere.
Si dice che a mettervi accanto qualcuno di “na postù”,
sareste diventato più bravo nel contenuto:
voi avreste scritto al giorno centinaia di versi
stucchevoli e lungagginosi come Dorònin.
Ma a parer mio se si fosse avverata una tale incongruenza
vi sareste soppresso come prima.
Meglio infatti morire di vodka che di tedio!
A noi non sveleranno i motivi della perdita
né il cappio né il temperino.
Forse, ci fosse stato inchiostro all'Angleterre.
non avreste avuto ragione di tagliarvi le vene.
Gli epigono si rallegreranno “imitiamolo”!
Poco mancò che un drappello di loro non facesse di sé giustizia.
Perché aumentare il numero dei suicidi?
Meglio accrescere la produzione d'inchiostro!
Ora per sempre la lingua è chiusa fra i denti.
E' inopportuno e penoso coltivare misteri.
Il popolo, creatore del linguaggio,
ha perduto un roboante sbornione apprendista
E c'è già chi porta rottami di versi in suffragio
da precedenti esequie, quasi senza rifarli.
Nel tumulo conficcano pali di ottuse rime -
e così che bisogna onorare un poeta?
Per voi non è stato finora fuso alcun monumento
dov'è il bronzo squillante o il granito a faccette? -
E ai cancelli della memoria poco per volta hanno ammucchiato
le sciarpe delle dediche e delle ridondanze.
Il vostro nome nei fazzolettini è smozzicato,
Sòbinov sbava la vostra parola e canticchia
sotto un betullina stenta:
“O amico mio, né un motto, né un so-o-spir”.
Eh, poter discorrere altrimenti
con codesto Leonìd Lohengrìnic!
Potersi qui lavare, tonante attaccabrighe:
“Non vi permetto di cincischiare i miei versi!”
Poterli assordare con un fischio a tre dita
contro la nonna, e Dio, la madre, l'anima!
Perché si disperda l'inetta marmaglia,
gonfiando come vele un nuvolo di giacche,
perché alla spicciolata Kògan se la batta,
storpiando i passanti con le picche dei baffi.
Finora il canagliume s'è poco diradato
Molto è il lavoro, occorre fare in tempo.
Bisogna dapprima trasformare la vita
e, trasformata, si potrà esaltarla.
Quest'epoca è difficiletta per la penna.
Ma ditemi voi, sciancati e sciancate
dove, quando, quel grande si è scelto
una strada più battuta e più facile?
La parola è un condottiero della forza umana.
March! Che il tempo esploda dietro a noi
come una selva di proiettili.
Ai vecchi giorni il vento riporti
solo un garbuglio di capelli.
Per l'allegria il pianeta nostro è poco attrezzato.
Bisogna strappare la gioia ai giorni futuri.
In questa vita non è difficile morire,
Vivere è di gran lunga più difficile.

( Vladimir Majakovskij )

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