L'inerzia della
mano distesa
avviluppa il silenzio e il freddo è il mio sentire in questo giorno torbido.
I
rampicanti sulla ringhiera avanzano
con la stessa indolenza, s
tanchi,
digitando una parola a questo punto
inevitabile:
Basta.
Basta con questa ritorta maratona di motivi di investimento discografico.
Basta con la
bronzea cortesia di Carlo Conti a dispetto della mordace ironia della Gialappa's
Band,relegati con il loro illuminante Dopofestival, a ore di sconcezze intime.
Assurda
castrazione dell’unico seme innovativo di questo vetusto lupanare ostile al presente misfatto .
Molto meglio assecondare la morale comune e disseminare
speranze (comunque vane e presto tradite
), premiando tra i “giovani “ tale
Francesco Gabbani uno strano incrocio tra un Massimo Lopez rivedibile e
scorretto e un Davide Devenuto più dinamico e espressivo (per informazioni rivolgersi e magari vedere “Un
posto al sole”) cantante un inattuale e per niente salvifico “ Amen “. Nenia attinente forse al corso giubilare non al tempo in questione. Rimpicciolito mesto ,
questo, al buco della serratura da dove ammiccare arrrapati verso una Madalina Ghenea sempre più arresa al ruolo di svestita
grazia ammaliatrice di una miseranda carovana di scriteriati luoghi comuni crocifiggenti
stavolta, padri prossimi e venturi.
Una nota stonata
comunque incastonata in un tripudio di luci basse e serie imprigionanti i pruni
spinosi di una esperienza difficile : riascoltare
in fila indefessa e scalettata tutte le canzoni dei (presunti) Big. Tutte. Come
non si sapesse, non esser loro le reali protagoniste di questa messinscena
invernale utile solo a penetrare e riconoscere la pigrizia e la banalitudine di
menti autoriali arrese al pollice sbadiglio di una memoria di plastica.
Lungimirante e
autentica in questo mondo artificiale l’ennesima metamorfosi degli Elii
commentata malinconicamente da un salvabile (vi prego) Neffa schiudenti il
cuore paterno (questo sì altro che Brignano) degli Stadio e l’anima tutta di un
Festival inconsistente e una serata moscia a nulla attizzata da una Virginia
Raffaele andante ma non troppo nella sua ormai consueta trasposizione Belenesca
manifesto evidente semmai di una televisione sempre più condotta alla replica
sconfinata di se stessa sfondando anche le palme roride di un’Elisa emozionata e
splendente nell’empireo triste e alterato di Sanremo.
Una favola odiosa
come canta il bravissimo Ermal Meta solo terzo iersera (ma perché?)
Erroneo trascinarla
atroce per cinque lunghissimi giorni. Basta
.
Cercherò di resistere ancora stasera, ormai è quasi fatta, e poi...
RispondiEliminabasta!
Resistiamo! Un forte abbraccio grandioso!!!!
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