venerdì 12 febbraio 2016

La terza serata del Festival di Sanremo e la felicità della piccola Katy

Non sembrava possibile ma iersera
è accaduto.
La Rai radiotelevisione italiana ha definitivamente alzato le mani in alto. Ha dichiarato cioè al suo pubblico, senza vergogna e mezze misure, che non ce la fa più a rincorrere questi stramaledetti anni Duemila, tanto complessi e tumultuosi nelle loro evoluzioni, ma preferisce arenarsi tra parole e sapori di epoche andate.
Questo, in sintesi, è il messaggio trasmesso dalla terza serata del Festival di Sanremo, molto "Tale e Quale, Show” di quell’integerrimo capostazione che corrisponde al nome di Carlo Conti (e cinque sei sette, otto),  in grado al tempo stesso di garantire 10.462.000 spettatori di  nostalgici con uno share del 47.88%a Raiuno, e costringere frotte di logori abbonati alla pratica dell'autoflagellazione, unica risorsa lecita dopo una simile offerta catodica.
Agghiacciante si permetta a dei mostri di marketing (Scanu, Bernabei, Dear Jack, Clementino su tutti) e zombie da retrobottega  (Ruggeri, Neffa a seguire), di deturpare molli, miliari determinanti  della nostra cultura musicale . A nulla vale la scusa della sperimentazione. Selvaggia e inopportuna quando comunque conduce al sopruso di lobi e meningi incoraggiata dall’approdo sul palco dell’Ariston degli Anticorpi. Peccato il sistema immunitario non fosse pronto e ha subito silente battute  da villaggio turistico.  Che poi è il luogo naturale del disimpegno  afflitto  e del trastullo indotto. Solo una cieca coercizione poteva portare gli Zero Assoluto a un’anamnesi nulla di “Goldrake” oppure Fragola a un’immatura “Donna Cannone “.
Il “Cuore” di Arisa, l’”Amore disperato” di Dolcenera, L’”America” di Annalisa "Il canto libero " e battente di Francesca Michielin, pettorute  e oneste eccezioni che non mitigano la distanza tra quelli che siamo stati e che  ora purtroppo siamo.
 Spettri incapaci di squadernare un acceso  futuro.
Brandelli di una bautta lacera  (come quella della mirabile  Versace versione Virginia Raffaele costretta suo malgrado a legittimare comunque  la propria crepa c per non finire nelle retrovie dell’esistenza e all'improvviso  rendersi conto di essere soli. Come gli uomini dei Pooh nel 1990. Come l’Italia oggi e la Tv  ora.
Un contenitore che mai dovrebbe rassegnarsi a cancellare il Paese presente, in nome di quella brutta cosa chiamata share (offensivo e malvagio  elisir consistente nella riesumazione di emozioni e nostalgie tumulate decenni fa), e che invece con la prepotenza dei forti costringe il pubblico ad invaghirsi di ciò di cui è già invaghito: i propri ricordi, insomma, e la maionese circostante delle sensazioni perdute.
Da qui  i 10.462.000 spettatori della  terza serata del  " Festival di Sanremo." Ma anche una considerazione finale più strettamente connessa alla figura di Carlo Conti, del quale spesso si è derisa l'abbronzatura a  tempo indeterminato . Che invece, va riconosciuto, ha nel " Festival di Sanremo " una funzione fatale:
mascherare, in scena, il rossore imposto da questo genere di prodotti. In perfetta linea, è vero, con la filigrana sgranata del Paese, ma rea purtroppo di pasticciare il passato e annottare il futuro (Hozier.all’una meno dieci è criminoso).
Dedicando mezz’ora ai ricongiunti Pooh.
Un’esclamazione sbalordita sniffante resa.

Eravamo e restiamo la nazione della piccola Katy, che a questo punto lotta con i guai della terza età. Ma è comunque felice. A  distanza di decenni, infatti,  le dedicano ancora prime serate in tv. E noi paghiamo.

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