Un viscido impiastro è il sordo cinismo.
Un additivo
provocante scollamento, dissociazione, scazzo.
Scorso il fremito pettegolo del debutto,
archiviate le birichinerie linguistiche di Francesco Totti Sciopè e le farinose
confessioni di Keanu Reeves, sorvolando snelli
rivedibili sperimentazioni si è giunti
alla riproposizione dei cosiddetti big.
Una peperonata di suoni davvero
indigesta, non lenita purtroppo, dal trionfo del giovane Lele . scontato come
quasi tutto in questo Festival cui non è bastata la contemporanea ma giusta
eliminazione di D’Alessio, Al Bano, Ron, per rifarsi una credibilità e aprirsi davvero al nuovo.
Quale vien da chiedersi in tanta prostrazione
testuale e scoraggiamento artistico?
Perché fra tanto orgoglio femminista
dilagante è ancora l'amore a fare tasto e testo
Perché il tempo passa ma la cosa che vorremmo è sempre la stessa:
Amore appunto. E spazi abbastanza grandi da viverlo
Non per pura pena creativa ed esistenziale
Ma perché dondolarsi nel’attesa di ciò che non c’è, val più della somma fatica di cercarlo.
Come farlo d’altronde in un mondo
diffidente, macchinoso, insensibile,
sporco, zotico e autolesionista che vede nell’amore la sua unica ancora di
salvezza?
E poco importa se a cantarlo sia l’ingrigito
Zarrillo o l’esangue Bravi.
Ciò che importa, (e un po’ lagna) è che nel 2017 che sogna indipendenza e banda larga
e ancora l’amore a catturare attenzione
Propellente perfetto per l’ itinerario
dello statico duo Carlo & Maria
attraverso lassi di governi ambigui, gestioni ipotetiche e molta paura di
finire.
E se poi Ermal Meta canta di brutalità
domestica, o Francesco Gabbani irride scimmiesco, spiritualismi fragili con la sua
"Occidentali's karma", trattasi di eccezioni in uno show punzonato dall’
artificio annoiato di Fiorella Mannoia,
dal rock sensuale di Paola Turci e dalla
trasformazione del coolissimo Samuel,
passato da frontman dei Subsonica a canzonaro
leggero e cappelluto.
Fine pena mai ha scritto fuori dalla sua
sorridente cella la quarta serata di Sanremo.
Meschinità e terrore son dentro di noi
trovando sul palco di Sanremo, consona estensione, straniante accompagnamento.
Quasi un sollievo a questo punto, sorridere
insieme a Virginia Raffaele in gambissima (non solo per effettivo e
luccicante talento), con la sua spietata
e tentatrice Sandra Milo, senza star a titillare il pelo sulla presenza di
Marika Pellegrinelli in Ramazzotti (dopo le anonime francesi della terza sera va
bene tutto), e affrancarsi una buona volta dalla sfilata di dolore che Maria a ufo passeggia
tra una stecca e l’altra.
Ieri è stato il turno di nonno e nipote presenta
alla strage di Nizza: sgambato peraltro.
Tutto mestamente impudente. O forse solo
cinico. Vedi sopra.
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