venerdì 30 dicembre 2016

L'abbaglio dell'illuso

Uno stormire d’ali sulla punta della lingua.
Con impertinenza impone sfizio.
Quanti anni, più svagati d’una foglia,ratti e smarriti. Di là dalla cinta difforme, dove mi saldo, filano ristrette, sprezzanti insidie. Sul fondo un ‘ombra s’affanna a sottrarsi:
ma non diserta, dente dal ciglio  edile – è un rodimento di schizzi, l’abbaglio dell’ illuso  che nello sgabuzzino linea acuto, e scaltro, situando tremiti  anni .



venerdì 23 dicembre 2016

L'atmosfera natalizia ? Una merda

Buonasera.  Il mio nome è Gaetano. Ariete ascendente Cancro. Ho appena pestato una cacca ma fa niente.

Perché esprime necessario sinonimo, la mia opinione sul Natale e l’atmosfera natalizia ad essa purtroppo congiunta.
L’atmosfera natalizia è una merda, almeno per me, in particolare a due giorni dal Natale. Sarà che devo fare ancora tutti i regali. Ma non avendone mai ricevuto uno non sapendo bene cosa sono mi rifugio nel solito pacco e ci faccio un fiocco che a ben pensarci a Natale una croce non conviene .
Come non conviene niente. Nulla che davvero ti appartenga perché a Natale tutti bisogna, esser buoni e tutto è degli altri. Anche di chi non hai mai visto e rapido s’infratta dalla parte  giusta del fritto. Te stesso . Distrutto, incazzato e triste  scivolato sotto il tavolo come un pesce lesso dall’occhio smorto .
Perché l’atmosfera natalizia è una titanica trincea di brindisi e ipocrisia. Con le forbici del parentado  a radere al suolo qualsiasi buon auspicio.
E tu zitto che è meglio a incarognir rotule e gambaletti estranei perché è così e basta.
L’atmosfera natalizia è quella cosa che se anche sei imbestialito non lo puoi far vedere, perché altrimenti non sei sintonizzato con “l’atmosfera natalizia” e la gente pensa e i parenti grufolano “ma che stronzo deve essere questo che non ride neanche a Natale?”. Il risultato è che implodi sazio, se possibile, stai peggio del solito, ma col sorriso.
L’atmosfera natalizia è quella cosa per cui tu hai sempre le solite 996624 cose da fare come nei giorni inutili tipo il 28 agosto, ma le devi sommare a quelle del Natale (“organizzare la Vigilia”, "organizzare la tombolata", "organizzare la bicchierata"), il ché rende la tua vita impossibile.
Ci sarebbe anche la scopata ma alla fine di tutto questo organizzare ti senti sfasato come un cubo di Rubik tutto da incubare e magari accudire come da bambino quando avevi la febbre, ma al posto del brodino ricostituente e il Mangia e bevi alla pera rincuorante c’è all’angolo del camino  una ramazza befana e arcigna che il pene si flagella automatico, masochista e  silenzioso. Perché la castità fa buona famiglia ma se a trentaquattro anni non sei sposato o non hai una separazione in corso, non sei in pace con la vita e adombri sinistro ragnatele in salone.
Che per l’occasione mutano in centritavola ottocenteschi e vanitosi. Ma nessuno se ne accorge di solito.
Tutto fa tovaglia quando l’importante è arrivare vivi al capitone. Apparte le tradizioni.
Loro, si rispettano e basta. Senza esclusioni di portate.  Nel caso le portate sian di meno, perché sei a dieta da quasi due anni e tutto non puoi mangiare, devi comunque contribuire.
Contribuire alle tradizioni. Ancora solo e sempre loro a Natale . La più importante è quella dei regali, nata 2016 anni fa grazie ad alcuni astuti negozianti di Gerusalemme che avevano rogne con i fondi di magazzino (“Sfruttiamo la nascita del Bambinello per far girare l’economia, altrimenti sono cazzi ed Erode spiana pure noi”).
 Divagazioni bibliche a parte, fare i regali è una delle cose più difficili in natura. Lo pensano tutti, anche quelli che ti dicono “che bello fare i regali” o quelli ancora più infami del “io preferisco farli che riceverli”. Questi ultimi di solito sono anche quelli che ti dicono “non voglio nessun regalo, mi basta il tuo sorriso”, ma se poi gli regali un panettone riciclato non ti parlano più fino alla pentecoste e vanno in giro a dire che sei un barbone. Ché se hai la barba come nel mio caso, alla fine, ci sta pure, ma quando discendono al pezzente non sta bene e allora anche se non ti va vai a comprare regali. Ché io non ne ho mai ricevuto uno ma dice che a Natale si usa.
Quando vai a comprare i regali vorresti incazzarti molto perché i prezzi sono altissimi e i negozi sono pieni di gente furibonda come te che però fa finta di niente perché “è Natale”. Il risultato è che paghi tutto più del dovuto e ti girano molto, ma non puoi farci nulla. Alcune commesse lo sanno e provocano: “Se trova il prezzo eccessivo torni pure a gennaio che ci sono i saldi”. E tu: “Eh ma io ho bisogno un regalo per il 25 dicembre, funziona così di solito”. E lei: “Il 25? Ma pensa. E allora sono cazzi suoi”.
La tradizione dei regali dopo i trenta anni diventa ancora più una merda. Prima dei trenta fare i regali è sempre un rogna, ma almeno li fai quasi spontaneamente. Dopo i trenta, invece, la gran parte dei regali sono vergognosi “atti dovuti” a gente che non te ne frega una minchia: la cravatta da dare al padrone di casa, la confettura comprata al mercatino da dare alla nonna , il pandoro mandorlato da spedire all’amministratore di condominio per boicottare la votazione sull’installazione del climatizzatore centralizzato, la bottiglia di prosecco “da portare alla cena”.
Tra tutti i ricicli peggiori, quello del prosecco o finto champagne da portare alla cena è nettamente il peggiore. Seguitemi: vai alla cena dell’ingegner Rutti, porti in omaggio la bottiglia di prosecco che ti ha portato tuo cugino alla cena del giorno prima, Rutti ti dice “graaaaazieee, buona questaaaa!”. E mentre la porta in cucina pensa “col mazzo beviamo la tua brodaglia, ho comprato le mie e beviamo quelle”. Il giorno dopo l’ingegner Rutti va a un’altra cena e mentre pensa “cosa porto a casa di quello stronzo di Scognamiglio?”, vede il tuo prosecco abbandonato e così via. Il risultato è che alcune bottiglie girano indisturbate per le case degli italiani anche da venticinque o trenta anni. Anche con i panettoni funziona bene, ma questi ultimi non superano mai i cinque o sei anni per questioni di muffe sospette che bloccano alcuni ospiti con ancora barlumi di coscienza (“Che facciamo, portiamo il panettone dai  Tafani anche se ha la macchia di muffa?”. “No dai, la signora Tafani ha l’occhio clinico e se ne accorge, rischiamo la figura di merda…”. “E allora che gli portiamo a quello stron…”. E lì di solito appare il prosecco.) Uno e trino. Come Dio ma con meno illusione.

Vorrei proseguire parlando dei presepi che al posto delle statuine originali hanno le sorprese dell’ovetto Kinder o quelle dell’IPERSTANDA (ho visto degli “Happy Hippo” al posto del bue e dell’asinello, ma anche truppe di Dart Fener al posto dei Re Magi), vorrei parlarvi della crudeltà di certi centri commerciali che obbligano fior di padri separati alla caccia di alimenti a vestirsi da Babbo Natale per 7 euro all’ora, vorrei parlarvi di quanto sono stronzi i bambini che non si sa come, ma a Natale attivano la modalità “rottura di coglioni costante”, ma purtroppo abbiamo già perso troppo tempo. Sappiate solo che per andare a comprare “un giochino per il nipote dei Fiaschi Non puoi andare a casa loro senza un giochino per il piccino…”, oggi ho pestato una cacca. Con una mossa da contorsionista ho frugato nel cappotto un fazzoletto di carta. Niente.  Alzando gli occhi ho sperato nella mano benevola di un passante. Il passante è passato impassibile. Sacramento non cacato ho evacuato un ulteriore: “Mi scusi, ma è Natale…”. E lui: “E a me che cazzo frega?”. Duro ma sincero. Almeno lui perché il resto, Natale, Stefano e Silvestro è tutta una truffa. Anzi no… Una merda come quella attaccata forte alla suola delle mie scarpe… piuttosto: siccome dovrei tornare a casa e non vorrei sporcare lo zerbino c’avete mica un fazzolettino di carta?

domenica 11 dicembre 2016

Bim Bum Bam: un manifesto politico più che un programma d'intrattenimento

Spesso la Tv dei ragazzi è stata catalogata, sul fronte della potenza creativa, come un fratello minore della Tv.
«Buona eh, anzi brava a congegnare prodotti d’intrattenimento catodico», era ed è il ritornello in circolo, «ma non sempre in grado d’'interpretare i sismi dell'Italia tardo novecentesca».
Parole con un fondamento reale, nel senso che alla distanza ha vinto l’asprezza quotidiana scaltra a fornire depressione e crudezza.
E questo è banale, comune, frequente.
Però poi c'è l’altra faccia della medaglia da considerare, cioè  la capacità di alcuni programmi nel prevedere - e incarnare, pure, con esattezza feroce - la decadenza della dignità italiana.
Un'operazione tanto  eclatante nella sua video-essenza, quanto verificabile oggi a partire dalle dieci e trenta grazie a Mediaset Extra, che a trentacinque anni dalla nascita di "Bim Bum Bam " ne ripropone le imprese.
Non materiale sbiadito dall'archivio, ma la conferma della sintonia tra quel programma e l'epica berlusconide.
Altro che la malinconia attuale in vendita a cinesi dilazionati;
altro che la costante accusa rivolta a  Mediaset di alimentare una tv del nulla, tra canzoncine madri di gran diritti d'autore e impianti scenici che inumidiscono  gli occhi.
No.
" Bim Bum Bam”  era molto di più, a partire dal titolo che in automatico si discostava da un universo intero (quello del servizio pubblico, appunto) per rimarcare il liberismo di una terra sgombra da morali e vincoli disposta a scommettere sui più piccoli.
Un ipermarket del disimpegno destinato  ad accompagnare miriadi di bambini canticchianti dalle quattro del pomeriggio hit su hit come analgesico collettivo contro le inquietudini, le paure e la tentazione di ribellarsi al demone della superficialità.
Un manifesto politico, più che uno spazio d'intrattenimento.
Un avamposto dove l'ipocrisia trovava ampia accoglienza alternando il virus di consumismi infanti e di piagnistei adulti a surreali slogan contro la dittatura dell'effimero (vedi Bonolis ripudiante pietoso.la nauseabonda Caciotta Fetecchia)
Lo stesso mix di vero (poco, pochissimo) e falso (tanto, tantissimo) adottato dopo Tangentopoli dai leader post ideologici.
Lo stesso spirito creativo e (auto) distruttivo che ha reso Bim Bum Bam unico:
passando dal trasformismo cigliato di Cristina D’Avena – vero nume tutelare della trasmissione  - ai dischi venduti dai Bee – Hive fino alla manipolazione della già blanda volontà popolare .
Arresa quest’ultima a Uan pupazzo animato di peluche rosa con il ciuffetto fucsia dalle sembianze di un cane pestifero e irridente a iosa ma serbante fiero e intero dell’essenza stessa dell’infanzia quella dolcezza fragile che induce a una carezza, a un tono di voce morbido e comprensivo delle ingenuità implicite in quella condizione anagrafica.
E poco importa e nulla vale lagnarsi severi se s’ingozzava di cremini.
Dietro quell’involucro zuccherino c’era la rivendicazione di un donarsi autentico invalidato dalle altezze adulte.
Una domanda aperta che chiede ancora riscontro nonostante i tentativi di Maria De Filippi di  anestetizzarla  in sabati fragili e lagnosi.

 Bim Bum Bam è arrivato prima. Tutti i pomeriggi per vent’anni a proporre lo scontro tra adolescenti e adulti. Uan e poi Ambrogio son stati questo.  Bambini prima, adolescenti poi, con il privilegio di poter sfidare - nonostante il loro fisico villoso - le autorità ostili dell'era contemporanea.
Quanto basta perché i piccoli spettatori, a casa, potessero immedesimarsi nelle loro gesta e assorbire il primo insegnamento della loro vita:
quello che tutto, un giorno, sarebbe potuto diventare possibile, e rinunciare a sognare le più mirabolanti imprese un delitto.

Sempre.

sabato 3 dicembre 2016

Domopak C'Urso

Non m’interessa il referendum.
Il fatto non serva raggiungere il canonico cinquanta per cento per renderlo effettivo, determina già un alone di resa e sfiducia sulla questione.
Affrontata inoltre dai contendenti in modo  non soltanto consunto, ma anche profondamente vecchio.
Logico, in questo  senile contesto, correre ai ripari e servirsi di una badante.
Barbara D'Urso.
Non una guardia qualunque, ma l’adunata somma della tv corrente:
Quella in cui la brutalità equanime del mezzo non trova opposizioni nella carcassa di chi la accoglie, fluendo anzi paciosa negli intelletti meno informati.
Una furfanteria d’insigne livello.
Ma anche l' espediente bramato dai prepotenti della politica, che attraverso poppute ospitalità giungono a grandi platee, larghi seguiti, e ovviamente ampie lusinghe di affermazione finale.
Ecco dunque che a dominare, a poche ore dal voto, è la nuvola di  fumo
in cui Renzi e Berlusconi e i loro rispettivi seguaci si sono inabissati, lasciando che a scandire i tempi e i modi della loro contesa sia il riso ciarlatano di un’ex attrice, garrulo, contrappunto tra la confusione in testa di molti e il tacco rialzato ai piedi di qualcuno che a far caos e funambolismi, vari e meschini si diverte tantissimo.
Matteo Renzi e Silvio Berlusconi appunto.
Patriarchi  dell'ultra-pop, in fin dei conti.
Con Barbara D’Urso in mezzo.
Domopak dentro cui le solite parole, e le altrettanto consuete frottole promozionali, acquisiscono l’effluvio di quegli  elisir in palio al tiro a segno dei luna Park:
stucchevoli , mediocri, ma accattivanti in quel sfavillio di gradazioni e boati.
Tantissimi in questo 2016.
Il voto non potrà accendere la viola, nella crepa di un muro inaridito. Il verbo della politica è spoglio di senso. Il paese è spaccato e non  sarà l’ennesima croce ad aggiustarlo
E resta sola la malinconia popolare.
In attesa del prossimo raccolto abbaglio:
Dove?

Sul sofà della D’Urso, ovvio.