sabato 31 dicembre 2016
venerdì 30 dicembre 2016
L'abbaglio dell'illuso
Uno stormire d’ali sulla punta della lingua.
Con impertinenza impone sfizio.
Quanti anni, più svagati d’una foglia,ratti e smarriti. Di là dalla cinta difforme, dove mi saldo, filano ristrette, sprezzanti insidie. Sul fondo un ‘ombra s’affanna a sottrarsi:
ma non diserta, dente dal ciglio edile – è un rodimento di schizzi, l’abbaglio dell’ illuso che nello sgabuzzino linea acuto, e scaltro, situando tremiti anni .
Con impertinenza impone sfizio.
Quanti anni, più svagati d’una foglia,ratti e smarriti. Di là dalla cinta difforme, dove mi saldo, filano ristrette, sprezzanti insidie. Sul fondo un ‘ombra s’affanna a sottrarsi:
ma non diserta, dente dal ciglio edile – è un rodimento di schizzi, l’abbaglio dell’ illuso che nello sgabuzzino linea acuto, e scaltro, situando tremiti anni .
domenica 25 dicembre 2016
venerdì 23 dicembre 2016
L'atmosfera natalizia ? Una merda
Buonasera.
Il mio nome è Gaetano. Ariete ascendente Cancro. Ho appena pestato una
cacca ma fa niente.
Perché esprime necessario sinonimo, la mia
opinione sul Natale e l’atmosfera natalizia ad essa purtroppo congiunta.
L’atmosfera natalizia è una merda, almeno
per me, in particolare a due giorni dal Natale. Sarà che devo fare ancora tutti
i regali. Ma non avendone mai ricevuto uno non sapendo bene cosa sono mi
rifugio nel solito pacco e ci faccio un fiocco che a ben pensarci a Natale una
croce non conviene .
Come non conviene niente. Nulla che
davvero ti appartenga perché a Natale tutti bisogna, esser buoni e tutto è
degli altri. Anche di chi non hai mai visto e rapido s’infratta dalla
parte giusta del fritto. Te stesso . Distrutto,
incazzato e triste scivolato sotto il
tavolo come un pesce lesso dall’occhio smorto .
Perché l’atmosfera natalizia è una
titanica trincea di brindisi e ipocrisia. Con le forbici del parentado a radere al suolo qualsiasi buon auspicio.
E tu zitto che è meglio a incarognir
rotule e gambaletti estranei perché è così e basta.
L’atmosfera natalizia è quella cosa che se
anche sei imbestialito non lo puoi far vedere, perché altrimenti non sei
sintonizzato con “l’atmosfera natalizia” e la gente pensa e i parenti grufolano
“ma che stronzo deve essere questo che non ride neanche a Natale?”. Il
risultato è che implodi sazio, se possibile, stai peggio del solito, ma col
sorriso.
L’atmosfera natalizia è quella cosa per
cui tu hai sempre le solite 996624 cose da fare come nei giorni inutili tipo il
28 agosto, ma le devi sommare a quelle del Natale (“organizzare la Vigilia”,
"organizzare la tombolata", "organizzare la bicchierata"),
il ché rende la tua vita impossibile.
Ci sarebbe anche la scopata ma alla fine
di tutto questo organizzare ti senti sfasato come un cubo di Rubik tutto da
incubare e magari accudire come da bambino quando avevi la febbre, ma al posto
del brodino ricostituente e il Mangia e
bevi alla pera rincuorante c’è all’angolo del camino una ramazza befana e arcigna che il pene si
flagella automatico, masochista e silenzioso.
Perché la castità fa buona famiglia ma se a trentaquattro anni non sei sposato
o non hai una separazione in corso, non sei in pace con la vita e adombri
sinistro ragnatele in salone.
Che per l’occasione mutano in centritavola
ottocenteschi e vanitosi. Ma nessuno se ne accorge di solito.
Tutto fa tovaglia quando l’importante è arrivare
vivi al capitone. Apparte le tradizioni.
Loro, si rispettano e basta. Senza
esclusioni di portate. Nel caso le
portate sian di meno, perché sei a dieta da quasi due anni e tutto non puoi
mangiare, devi comunque contribuire.
Contribuire alle tradizioni. Ancora solo e
sempre loro a Natale . La più importante è quella dei regali, nata 2016 anni fa
grazie ad alcuni astuti negozianti di Gerusalemme che avevano rogne con i fondi
di magazzino (“Sfruttiamo la nascita del Bambinello per far girare l’economia,
altrimenti sono cazzi ed Erode spiana pure noi”).
Divagazioni bibliche a parte, fare i regali è
una delle cose più difficili in natura. Lo pensano tutti, anche quelli che ti
dicono “che bello fare i regali” o quelli ancora più infami del “io preferisco
farli che riceverli”. Questi ultimi di solito sono anche quelli che ti dicono
“non voglio nessun regalo, mi basta il tuo sorriso”, ma se poi gli regali un
panettone riciclato non ti parlano più fino alla pentecoste e vanno in giro a
dire che sei un barbone. Ché se hai la barba come nel mio caso, alla fine, ci
sta pure, ma quando discendono al pezzente non sta bene e allora anche se non
ti va vai a comprare regali. Ché io non ne ho mai ricevuto uno ma dice che a
Natale si usa.
Quando vai a comprare i regali vorresti
incazzarti molto perché i prezzi sono altissimi e i negozi sono pieni di gente
furibonda come te che però fa finta di niente perché “è Natale”. Il risultato è
che paghi tutto più del dovuto e ti girano molto, ma non puoi farci nulla.
Alcune commesse lo sanno e provocano: “Se trova il prezzo eccessivo torni pure
a gennaio che ci sono i saldi”. E tu: “Eh ma io ho bisogno un regalo per il 25
dicembre, funziona così di solito”. E lei: “Il 25? Ma pensa. E allora sono
cazzi suoi”.
La tradizione dei regali dopo i trenta
anni diventa ancora più una merda. Prima dei trenta fare i regali è sempre un
rogna, ma almeno li fai quasi spontaneamente. Dopo i trenta, invece, la gran
parte dei regali sono vergognosi “atti dovuti” a gente che non te ne frega una
minchia: la cravatta da dare al padrone di casa, la confettura comprata al
mercatino da dare alla nonna , il pandoro mandorlato da spedire
all’amministratore di condominio per boicottare la votazione sull’installazione
del climatizzatore centralizzato, la bottiglia di prosecco “da portare alla
cena”.
Tra tutti i ricicli peggiori, quello del
prosecco o finto champagne da portare alla cena è nettamente il peggiore.
Seguitemi: vai alla cena dell’ingegner Rutti, porti in omaggio la bottiglia di
prosecco che ti ha portato tuo cugino alla cena del giorno prima, Rutti ti dice
“graaaaazieee, buona questaaaa!”. E mentre la porta in cucina pensa “col mazzo beviamo
la tua brodaglia, ho comprato le mie e beviamo quelle”. Il giorno dopo l’ingegner
Rutti va a un’altra cena e mentre pensa “cosa porto a casa di quello stronzo di
Scognamiglio?”, vede il tuo prosecco abbandonato e così via. Il risultato è che
alcune bottiglie girano indisturbate per le case degli italiani anche da venticinque
o trenta anni. Anche con i panettoni funziona bene, ma questi ultimi non
superano mai i cinque o sei anni per questioni di muffe sospette che bloccano
alcuni ospiti con ancora barlumi di coscienza (“Che facciamo, portiamo il
panettone dai Tafani anche se ha la
macchia di muffa?”. “No dai, la signora Tafani ha l’occhio clinico e se ne
accorge, rischiamo la figura di merda…”. “E allora che gli portiamo a quello
stron…”. E lì di solito appare il prosecco.) Uno e trino. Come Dio ma con meno illusione.
Vorrei proseguire parlando dei presepi che
al posto delle statuine originali hanno le sorprese dell’ovetto Kinder o quelle
dell’IPERSTANDA (ho visto degli “Happy Hippo” al posto del bue e dell’asinello,
ma anche truppe di Dart Fener al posto dei Re Magi), vorrei parlarvi della
crudeltà di certi centri commerciali che obbligano fior di padri separati alla
caccia di alimenti a vestirsi da Babbo Natale per 7 euro all’ora, vorrei
parlarvi di quanto sono stronzi i bambini che non si sa come, ma a Natale
attivano la modalità “rottura di coglioni costante”, ma purtroppo abbiamo già
perso troppo tempo. Sappiate solo che per andare a comprare “un giochino per il
nipote dei Fiaschi Non puoi andare a casa loro senza un giochino per il
piccino…”, oggi ho pestato una cacca. Con una mossa da contorsionista ho
frugato nel cappotto un fazzoletto di carta. Niente. Alzando gli occhi ho sperato nella mano
benevola di un passante. Il passante è passato impassibile. Sacramento non
cacato ho evacuato un ulteriore: “Mi scusi, ma è Natale…”. E lui: “E a me che
cazzo frega?”. Duro ma sincero. Almeno lui perché il resto, Natale, Stefano e
Silvestro è tutta una truffa. Anzi no… Una merda come quella attaccata forte
alla suola delle mie scarpe… piuttosto: siccome dovrei tornare a casa e non
vorrei sporcare lo zerbino c’avete mica un fazzolettino di carta?
domenica 11 dicembre 2016
Bim Bum Bam: un manifesto politico più che un programma d'intrattenimento
Spesso la Tv dei ragazzi è stata catalogata,
sul fronte della potenza creativa, come un fratello minore della Tv.
«Buona eh, anzi brava a congegnare
prodotti d’intrattenimento catodico», era ed è il ritornello in circolo, «ma
non sempre in grado d’'interpretare i sismi dell'Italia tardo novecentesca».
Parole con un fondamento reale, nel
senso che alla distanza ha vinto l’asprezza quotidiana scaltra a fornire
depressione e crudezza.
E questo è banale, comune, frequente.
Però poi c'è l’altra faccia della
medaglia da considerare, cioè la capacità
di alcuni programmi nel prevedere - e incarnare, pure, con esattezza feroce -
la decadenza della dignità italiana.
Un'operazione tanto eclatante nella sua video-essenza, quanto
verificabile oggi a partire dalle dieci e trenta grazie a Mediaset Extra, che a
trentacinque anni dalla nascita di "Bim Bum Bam " ne ripropone le
imprese.
Non materiale sbiadito dall'archivio, ma
la conferma della sintonia tra quel programma e l'epica berlusconide.
Altro che la malinconia attuale in
vendita a cinesi dilazionati;
altro che la costante accusa rivolta a Mediaset di alimentare una tv del nulla, tra
canzoncine madri di gran diritti d'autore e impianti scenici che inumidiscono gli occhi.
No.
" Bim Bum Bam” era molto di più, a partire dal titolo che in
automatico si discostava da un universo intero (quello del servizio pubblico,
appunto) per rimarcare il liberismo di una terra sgombra da morali e vincoli
disposta a scommettere sui più piccoli.
Un ipermarket del disimpegno destinato ad accompagnare miriadi di bambini canticchianti
dalle quattro del pomeriggio hit su hit come analgesico collettivo contro le
inquietudini, le paure e la tentazione di ribellarsi al demone della
superficialità.
Un manifesto politico, più che uno
spazio d'intrattenimento.
Un avamposto dove l'ipocrisia trovava
ampia accoglienza alternando il virus di consumismi infanti e di piagnistei
adulti a surreali slogan contro la dittatura dell'effimero (vedi Bonolis
ripudiante pietoso.la nauseabonda Caciotta Fetecchia)
Lo stesso mix di vero (poco, pochissimo)
e falso (tanto, tantissimo) adottato dopo Tangentopoli dai leader post
ideologici.
Lo stesso spirito creativo e (auto) distruttivo
che ha reso Bim Bum Bam unico:
passando dal trasformismo cigliato di
Cristina D’Avena – vero nume tutelare della trasmissione - ai dischi venduti dai Bee – Hive fino alla
manipolazione della già blanda volontà popolare .
Arresa quest’ultima a Uan pupazzo animato di
peluche rosa con il ciuffetto fucsia dalle
sembianze di un cane pestifero e irridente a
iosa ma serbante fiero e intero dell’essenza stessa dell’infanzia quella dolcezza fragile che induce a una carezza, a
un tono di voce morbido e comprensivo delle ingenuità implicite in quella
condizione anagrafica.
E poco importa e nulla
vale lagnarsi severi se s’ingozzava di cremini.
Dietro quell’involucro zuccherino
c’era la rivendicazione di un donarsi autentico invalidato dalle altezze
adulte.
Una domanda aperta che
chiede ancora riscontro
nonostante i tentativi di Maria De Filippi di anestetizzarla
in sabati fragili e lagnosi.
Bim Bum Bam
è arrivato prima. Tutti i pomeriggi per vent’anni a proporre lo scontro tra
adolescenti e adulti. Uan e poi Ambrogio son stati questo. Bambini prima, adolescenti poi, con il
privilegio di poter sfidare - nonostante il loro fisico villoso - le autorità ostili
dell'era contemporanea.
Quanto basta perché i piccoli spettatori, a casa, potessero
immedesimarsi nelle loro gesta e assorbire il primo insegnamento della loro
vita:
quello che tutto, un giorno, sarebbe potuto diventare
possibile, e rinunciare a sognare le più mirabolanti imprese un delitto.
Sempre.
sabato 3 dicembre 2016
Domopak C'Urso
Non m’interessa
il referendum.
Il fatto non
serva raggiungere il canonico cinquanta per cento per renderlo effettivo,
determina già un alone di resa e sfiducia sulla questione.
Affrontata
inoltre dai contendenti in modo non
soltanto consunto, ma anche profondamente vecchio.
Logico, in
questo senile contesto, correre ai
ripari e servirsi di una badante.
Barbara D'Urso.
Non una guardia qualunque,
ma l’adunata somma della tv corrente:
Quella in cui la
brutalità equanime del mezzo non trova opposizioni nella carcassa di chi la accoglie,
fluendo anzi paciosa negli intelletti meno informati.
Una furfanteria d’insigne
livello.
Ma anche l' espediente
bramato dai prepotenti della politica, che attraverso poppute ospitalità giungono
a grandi platee, larghi seguiti, e ovviamente ampie lusinghe di affermazione finale.
Ecco dunque che
a dominare, a poche ore dal voto, è la nuvola di fumo
in cui Renzi e
Berlusconi e i loro rispettivi seguaci si sono inabissati, lasciando che a
scandire i tempi e i modi della loro contesa sia il riso ciarlatano di un’ex
attrice, garrulo, contrappunto tra la confusione in testa di molti e il tacco
rialzato ai piedi di qualcuno che a far caos e funambolismi, vari e meschini si
diverte tantissimo.
Matteo Renzi e
Silvio Berlusconi appunto.
Patriarchi dell'ultra-pop, in fin dei conti.
Con Barbara
D’Urso in mezzo.
Domopak dentro cui
le solite parole, e le altrettanto consuete frottole promozionali, acquisiscono
l’effluvio di quegli elisir in palio al
tiro a segno dei luna Park:
stucchevoli , mediocri,
ma accattivanti in quel sfavillio di gradazioni e boati.
Tantissimi in
questo 2016.
Il voto non
potrà accendere la viola, nella crepa di un muro inaridito. Il verbo della
politica è spoglio di senso. Il paese è spaccato e non sarà l’ennesima croce ad aggiustarlo
E resta sola la
malinconia popolare.
In attesa del
prossimo raccolto abbaglio:
Dove?
Sul sofà della
D’Urso, ovvio.
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