In questo mare di sangue strepitante d’orrore, persino
il cielo è l’argilla delle nostre infinite crepe.
Nulla accomoda lamenti e gridi raspanti la gola dei
rimorsi.
Sentire che possono accadere le cose e che certe cose
non deb
bono avvenire più assolve le carni da quest’abisso di sole in agguato.
Fuori da queste feste sfinite al midollo, però, v’è
una luce che mai e poi mai la luce potrà darci;
dove muore la carne d’un bacio, lo spacco del silenzio
cuce le labbra nell’istante del dire la voglia d’una rosa che si slabbra sulla
pelle scassinando ogni cicatrice che s’inghiotte per amore d’uno scialo infante
ch’assidua ventotto uomini a correr dietro una palla.
In mezzo il sangue scorre ancora e nessuno straccio di
normativa potrà permettere d’arrestarlo;
Daniele aveva 35 anni e due figli ch’anno perso il
padre sulla rena d’una ruggine senza morso che è il balocco di tutti in fondo,
pur senza canditi;
ha molti nomi in compenso: come s’addice alle cose che
una volta, erano importanti;
Lo chiamano malcostume,
mondo, società.
È una laguna ch’inghiotte raggi invece:
pare una bocca e mai si sfama: le vene aggrovigliate
nel lenzuolo livido d’una chiazza di carne occultante il seme dell’innocenza
crepato di strepiti.
Sbocci su tutto l’orlo della pena invece di ragli
Salvini al coraggio assente.