giovedì 30 giugno 2011

In un bacio


Cosa cercano gli esseri umani in un bacio?
La vita? La morte?
Cercano di narcotizzare il presente rincorrendo le frivolezze del passato, decidendo per una volta di vivere davvero ?
Oppure cercano in quell'attimo tutti gli attimi che hanno dato forma e colore ai loro pensieri e alle loro parole tramutandoli in epifanie fresche di rugiada?
O forse cercano in quel sublime incontro di labbra e desiderio la realizzazione di un sogno rimasto in sospeso?
Oblio o attimo che fugge?
Questo è il problema.
Voi comunque se potete, non statemi a sentire e baciatevi.
Baciamoci.

lunedì 27 giugno 2011

Come cena a Cerasella

Arrivammo sulla spiaggia alle nove che era già un formicaio di gente, un indiano cerca disperatamente di vendermi delle cianfrusaglie -  bracciali, orecchini e anelli – ma lo caccio via malamente, dovevo rilassarmi e farmi un bagno nell’acqua sporca di Calabria, era quello di cui avevo bisogno. Wladimiro cominciava a rompermi le palle, aveva dimenticato a casa il pallone e ora non sapeva cosa fare, rubai paletta e secchiello da un ombrellone e glieli diedi. Cerasella era splendida nel suo costume azzurro cielo, la chiamavo così perché le sue labbra rosse mi ricordavano due ciliegie  affogate nei cioccolatini di Natale. La prima volta che mi baciò ero come ubriaco, non avevo mai provato tanta ebbrezza in tutta la mia vita. Si alzò per prendere la crema solare:
«Non mi guardare troppo il culetto!» mi disse tutta stizzita.
«Non sto guardando, osservo come si fa con un’opera d’arte»
«Sei un porco» mi fece tutta arrabbiata.
Cercai di afferrarla ma scappò a tuffarsi nell’acqua fredda. Le donne arrabbiate sono difficili da gestire,  come una pentola a pressione devi aspettare che la temperatura raggiunga il massimo e il vapore  esca dal beccuccio. Guardai Cerasella nuotare felice e mi avvicinai a Wladimiro.  Stava scavando una buca nella sabbia e la sua pelle cominciava a diventare rossa.
«Vieni sotto l’ombrellone» gli dissi
«No! Voglio arrivare in Sicilia entro le tre»
«Sei un pazzo. Almeno usa un po’ di crema solare»
«No!»
«E allora vaffanculo»
«Vaffanculo tu»
Wladimiro era pazzo, il padre l’aveva affidato a noi e lui si divertiva a stare in mezzo a persone normali che non ascoltavano musica neomelodica e guardavano soap opera brasiliane degli anni ’80.
Faceva davvero caldo e i chili di troppo si facevano sentire; con le tette e  la pancia pelosa sembravo un Botero in carne lardo e ossa. Ero  Il peggio del peggio in mezzo a tutta quella razza umana riunita per godere un po’ del sole di giugno, corpi lucidi e palestrati in bella mostra sulla battigia, venuti da paesi lontani solo per dar vita ad uno spettacolo osceno e ripetitivo. Andare a mare è una delle cose più brutte del mondo, mi sento spogliato della mia dignità, mi ritrovo nudo in mezzo a centinaia di persone che non conosco.
Il caldo e la sabbia mi danno i nervi, mi butto in acqua e raggiungo Cerasella.
«Devi dimagrire» mi dice guardandomi in malo modo.
«Oggi è domenica. Da domani»
«Sempre da domani. Vedi di muoverti invece!»
Feci di si con la testa e ritornammo sotto l’ombrellone, quel coglione di Wladimiro aveva smesso di scavare ed era sdraiato a terra con la lingua di fuori e rosso come un’aragosta. La sua pelle emanava un calore terribile, era pieno di bolle e pus giallognolo. Lo trasportammo di corsa all’ospedale più vicino.
Il medico del pronto soccorso era uno stronzetto con gli occhiali, magro e con il muso di lepre. Invece di curare il povero Wladimiro ci provò subito con Cerasella. I medici sono tutti così, soffrono della sindrome da camice bianco, quel pezzo di stoffa che li copre dalle spalle alle gambe è simbolo di virilità e di potenza, un po’ come la mazza di Rocco Siffredi. Se poi al camice ci aggiungete un  bisturi, il gioco è fatto. E se  vi diranno che hanno scelto di studiare medicina per salvare povere persone malate, non credeteci: questo è un discorso che si può fare solo dopo la pensione.
Muso di lepre esaminò il nostro amico:
«E’ stato sotto il sole senza protezione.» dice tutto spavaldo.
«Grazie al cazzo!» gli rispondo io.
«Ahhhhhhhhh….» gridava Wladimiro per il dolore.
Mi dispiaceva per quel coglione ma un po’ se lo meritava. Era stato sotto il sole ad abbrustolirsi come una bruschetta. Se lo spalmavo di extravergine e qualche cubetto di pomodoro potevo servirlo come cena a Cerasella.
«Mettetegli questa pomata e in una settimana ritornerà come prima» concluse muso di lepre sfoggiando tutto il suo sapere e le sue notti passate sui libri di patologia.
Uscimmo dall’ospedale a comprare una pomata inutile e dall’odore nauseabondo. Wladimiro peggiorò nei giorni a seguire e fu ricoverato d’urgenza. Incrociai nei corridoi muso di lepre ma quello abbassò lo sguardo impaurito, sapeva di aver fallito. Cerasella era preoccupata, io pure anche se non lo davo a vedere.
«Dici che si salverà?» mi chiese timorosa.
«Certamente, Wladimiro ha un fisico robusto.»
«E se dovesse morire?»
«I pazzi non muoiono mai, hanno sette vite come i gatti» le dico per darle coraggio.
Un medico dai baffi bianchi e dall’aria rassicurante si fece avanti e ci disse che Wladimiro aveva avuto una brutta faringite ma che il peggio era passato. Abbracciai Cerasella e uscii fuori a fumare. Il grecale aveva attutito l’afa dei giorni scorsi. Il peggio sembrava passato.

domenica 26 giugno 2011

Le ultime ciambelle sono sempre le migliori


Quella per Antonio era proprio una bella giornata. Anche se non riusciva a capire bene il perchè.
Forse perché era arrivata l’estate, forse perché era venerdì e sarebbe potuto tornare a casa presto a scrivere il libro della sua vita, e ad aggiustare il trenino elettrico che per tutta la settimana aveva fatto i capricci sta di fatto che quel giorno si sentiva bene e pieno di allegria.
In quei momenti veniva letteralmente assalito dal desiderio di mangiare qualcosa di goloso.
In quei casi, le scelte erano molteplici. Variavano dal succo di frutta alla mela verde con la classica aragosta con su la solita pallina rossa o verde, al cappuccino con cornetto sormontato dall’immancabile spolverata di cacao, passando per un pezzo di pizza al taglio tonno e cipolla fatta a regola d’arte o le ciambelle fritte.
Quel giorno decise, sarebbe stata la volta delle ciambelle fritte.
Le ciambelle fritte gli piacevano da morire. Anche se non sapeva bene perché. O forse sì. Gli ricordavano la sua infanzia, poiché erano la sua merenda preferita ai tempi delle medie acquistata nei pressi di una piccola panetteria vicino casa da Marianna, una fornaia generosa e compiacente che emanava sempre uno strano odore di latte di mandorla che misto al profumo delle ciambelle, dava il là ad un mix sensuale, promiscuo, ed eccitante.
Proprio quello che ci voleva per lui ragazzo giovane, piccolo, sornione ed intraprendente.
Per cui fu felice quando il capo comunicò a tutti che al posto del solito distributore automatico, a portare la colazione dal lunedì successivo sarebbe stata una ragazza che lavorava alla rosticceria all'angolo.
Per migliorare l'efficenza produttiva e arrivare meglio al cuore della gente diceva.
A sentire quelle parole Antonio fu invaso dalla felicità.
Era stanco di quel lavoro così meccanico, subliminale ed estraniante.
Ogni tanto ci voleva qualcuno con cui scambiare una parola, uno sguardo, un sorriso.
E Clara gliene elargiva ogni giorno in quantita industriale.
Si chiamava così la sua spacciatrice di zucchero quotidiano.
Aveva più o meno la sua eta, lui aveva da poco ricominciato a scrivere il suo libro, e lei divenne presto una sua accanita lettrice.
Anche lei infatti, si sentiva una scrittrice. Non sapeva se avesse davvero talento, ma aver trovato qualcuno con cui condividere la sua passione la incoraggiava a provarci.
Così finirono per fare amicizia e cominciarono a frequentarsi anche al di fuori dell'ambiente di lavoro.
O meglio: era lei che cercava ogni pretesto per stargli vicino, parlare, confrontarsi. Diceva che la faceva stare bene e le portava fortuna.
Lui la guardava e annuiva e non poteva non pensare che quanto gli diceva corrispondesse alla verità.
La sensazione d'inferiorità è connaturata alle donne, e quando queste, trovano qualcuno che le mette a posto e le aiuta a credere di più nei propri mezzi, esse, quasi come fosse una sorta di ricompensa, non possono fare a meno di innamorarsi.
E Clara si era innamorata. Non c'erano dubbi.
Antonio lo sentiva da come lo guardava; lei era innamorata di lui e per lui avrebbe fatto qualunque cosa.
Dal canto suo, Clara era simpatica, autoironica e creativa ma accidenti a lei aveva un sedere così grosso che se fosse atterrato sulla Luna a quest'ora tutti i figli del mondo non sarebbero nati e nessun provetto casanova avrebbe potuto blandire la sua giovane preda notturna paragonandola alla volta celeste.
Ma ovviamente tutto questo a lei non lo poteva dire. Svicolava anzi. Dissimulava sempre distillando in mille carinerie tutto l'affetto che sentiva di non poterle dare.
Ma questo a Clara non bastava. Non poteva bastare. Lei era una donna in gamba, corteggiata da molti e desiderata da tutti con delle gambe bellissime e un seno da urlo perchè lui non la voleva perchè?.
La povera Clara non riusciva proprio a capacitarsi.
Nella vita però ci vuole anche sedere e lei quello non c'è l'aveva. Portava tutti i giorni le ciambelle però e Antonio quelle non voleva proprio perderle anche perchè le faceva davvero bene.
Antonio era molto combattuto.
Non voleva illuderla regalandole stralci d'amore, nè voleva rabbonirla con la scusa del troppo bene.
Il bene è l'anestetico dell'amore.
Qualcosa che nessuno conosce, ma che tutti tirano fuori quando non sanno cos'altro dirsi nel timore di scoprirsi troppo e ferirsi di più con un sentimento più forte di loro.
Avrebbe potuto far finta di nulla, e fare lo gnorri tutto il tempo in attesa la cotta le passasse del tutto, o immolarsi per le ciambelle in un grande gesto d'amore.
Ma il solo pensiero di confrontarsi con quel pachidermico sedere lo terrorizzava facendogli subito escludere l'insano gesto.
Non sapeva proprio che fare. Lei intanto, trepidava tutta diventando ogni giorno più audace. Ormai Antono sentiva che il momento della collisione con quel didietro gigantesco era vicino.
Avrebbe avuto bisogno di aiuto per respingere quella portaerei di grasso e ciccia.
Un'aiuto dall'alto.
Arrivò dal mare invece.
Lei infatti, partì per le vacanze a Fregene.
Aveva bisogno di riflettere. Doveva capire se quell'inseguimento avesse ancora senso. Disse che sarebbe tornata appena avesse avuto le idee più chiare sul loro rapporto.
Non la vide più. Non riprese neanche il posto di lavoro. Ma il ricordo di quelle ciambelle così buone non l'aveva ancora abbandonato.
Pensava a quelle quando sei mesi dopo se la trovò fuori dal suo ufficio che lo aspettava.
Gli prese tenera le mani, e baciandolo dolcemente sulle labbra, con voce triste e rammaricata gli disse: "Antonio,non ci vedremo mai più. La prossima settimana mi sposo. Va, sei libero".
Poi, con gli occhi lucidi, e pien di lacrime, e senza che Antonio avesse il tempo di abbozzare una pur minima reazione, Clara se ne andò liberandolo per sempre dall'angosciante peso di quel sedere lardelloso e senza speranza.
O almeno così credeva.
La ritrovò un mese dopo sbattuta sulle prime pagine di tutti i giornali morta fatta a pezzi da Claudio il marito.
Claudio era un idraulico che Clara aveva conosciuto al mare durante un corso per diventare bagnino.
A quanto pare il bagnino che aveva proprio la faccia di David Hasselhoff, dopo averla sposata, aveva maturato oscure tendenze omosessuali che Clara aveva scoperto e che quella sera lei, esasperata dalla situazione e stanca delle bugie del marito, avesse tentato di evirarlo.
L'atroce delitto che ne seguì, era quindi avvenuto per legittima difesa.
Claudio infatti avventatosi contro la giovane moglie non contento d'averla disarmata, l'accoltellò con ben 93 fendenti.
Non ancora soddisfatto, Claudio in preda a un furore senza fine, la macellò poi la mise in forno e stava per accenderlo se non fosse intervenuto in lui un barlume di lucidità sufficiente a chiamare la polizia e ad interrompere l'orrido spettacolo.
Col cuore sconvolto e lo stomaco sottosopra, Antonio uscì di casa, entrò in un bar e ordinò un vassoio di ciambelle fritte con tanto di zucchero a velo sopra.
Al bancone non c’era più Clara ma una stangona ucraina di nome Alexsandra la cui unica occupazione sembrava quella di fulminare con lo sguardo tutti quelli che tentavano di stabilire un contatto con lei.
Era scocciata.
Porgendo il ricco vassoio, non elemosinò neanche un sorriso. Andò via come se niente fosse.
Le ciambelle stavano lì in mezzo al tavolo. Parevano quasi fissarlo in attesa del morso fatale. Ne diede uno. Provò un altro. Poi smise. E capì. Non sì può chiedere dolcezza ad un cadavere. Nè riportarlo in vita. Ormai Clara se n’era andata e l'urna in cui stava quello che restava di lei, s’era portata via tutta la dolcezza del mondo.
Decise in quel momento che quelle sarebbero state le ultime ciambelle della sua vita.
Guardò il cielo. Era blu come non l’aveva mai visto. Fece per uscire, ma tornò indietro. Prese le ciambelle e se le infilò tutte nella tasca del soprabito. Ne mangiò qualcuna. Erano davvero buone. A quel punto non ebbe più dubbi.
Le ultime ciambelle sono sempre le migliori.

mercoledì 22 giugno 2011

Specialmente a colazione (Parte 2)

La vedova di Antonio, specialmente a colazione, aveva sempre voglia di fare l’amore. Voleva farlo dappertutto, sul divano, sul letto, sul tavolo del soggiorno, davanti al televisore acceso; raggiungeva l’orgasmo solo quando sentiva la voce di Mastrota gridare agli italiani che le sue pentole  erano spesse cinque centimetri. Una vera goduria per entrambi. Ci ritrovavamo abbracciati in un bagno di sudore a guardare telefilm americani e a mangiare pan carrè spalmato di marmellata alla fragola. Non so fino a quanto avrei retto quel ritmo, ma per il momento andavo bene così. Quel coglione del marito era morto subito dopo il matrimonio, forse una settimana o due, giusto il tempo di intestarle tutti i beni. Era stato un funerale noioso, uno dei più brutti che abbia mai visto, il prete se la cavò in appena  20 minuti. Al momento della sepoltura mi scappava da ridere, pensavo ad Antonio disteso nella bara, un corpo senza braccia né gambe mangiato dai vermi. Che fine del cazzo. Fu in quel momento che lei si avvicinò, sfiorandomi il volto con uno chiffon nero:
«Conoscevi da molto tempo Antonio?» mi disse con  voce bassa.
«Si, da tanto» risposi cercando di essere il più serio possibile.
Non me ne fregava un cazzo del marito, tutti moriamo e in quella bara potevo esserci io; stavolta era toccato a lui.
«Sai, Antonio mi parlava sempre di te» mi sussurrò in un orecchio.  Provai un brivido freddo dai piedi alla punta dei capelli.
«Anche di te. Era molto innamorato» le dico fingendo emozione.
Antonio se le sceglieva tutte  puttane; quelle belle ed eleganti erano uno scoglio insormontabile. Il mio amico della vita non aveva capito nulla, si innamorava di chi lo sfruttava fino a morire, come in questo caso. Samantha era diventata padrona di ville, auto e conti bancari; poi un bel giorno si alza la gonna e fa vedere un pezzo di figa al maritino che non regge alla vista e muore con la lingua di fuori. Il suo cuore debole da paralitico non ce l’aveva fatta.
«Senti, ho paura di rimanere da sola in casa stanotte. Posso dormire da te?»  
«Certo che puoi» le faccio afferrandole la mano.
Gettammo una manciata di terra sulla bara  prima che chiudessero la tomba. Chiesi al becchino di cementarla per bene, avevo visto troppi film di Romero per poter dormire tranquillo.
Comunque sia, io e Antonio non ci saremmo rivisti prima del giudizio universale.

martedì 21 giugno 2011

Un amore estivo


Una sera di otto anni fa, incontrai una rosa e subito desiderai farne la mia sposa.
Ma l'illusione durò lo spazio di un solstizio, e ratto sbarcai nella sensazione di sentirmi un cretino.
Ma certi viaggi son lunghi da fare per chi non ha un navigatore nella testa e ha dentro di sè il coraggio delle proprie emozioni.
Il solstizio d'estate mi regalò il suo sguardo, palloncini nel cuore, e stelle filanti nel telefono, poi un dedalo d'arabeschi sgargianti composti da mani che s'allacciano, bocche che si sfiorano.
La fine fu un lembo di un fazzoletto sgualcito e sfatto come i suoi capelli al vento di primavera e parole scritte sui muri di una stanza.
Ma non c'è perdita nell'acquisizione di una doppia consapevolezza: gli esseri umani sono pianeti che girano intorno e la mutanda bianca è il salvagente di un'anima a rischio.

domenica 19 giugno 2011

La donna del Capitano


Non ricordava più chi glielo avesse detto per primo.
Sta di fatto che ogni volta che andava da qualche parte se ne schiaffava in faccia un paio di gocce e il gioco era fatto. Le donne cadevano tutte ai suoi piedi.
Sarebbe andata così anche quella volta ne era sicuro. Eppure non avrebbe voluto.
La donna che lo aspettava all'incrocio della strada provinciale non era una donna qualunque. Era la donna del capo. Anzi no:era la donna del Capitano della nave come amava definirsi lui stesso dopo tre mojiti e quaranta ore di un corso sulle nuove strategie di marketing.
Ora, Antonio non aveva mai capito cosa centrasse il marketing con il suo squallido lavoro d'archivista, ma il corso era obbligatorio e le gratifiche giornaliere sono importanti quando ogni sera trovi ad accoglierti solo una bottiglia di Jack Daniels.
Moana l'aveva conosciuta una sera al termine di una di quelle sovraeccitate lezioni.
Era sempre stordito alla fine di quelle jamsession di numeri e statistiche ma il velo di malinconia che c'era dentro quella donna con gli occhi neri e i completini bianchi a pallini rossi l'aveva proprio colpito se non altro perchè sembrava imprigionata in un ruolo non suo dal quale se non fosse stata follemente innamorata del Capitano sarebbe fuggita volentieri.
Anche lui si sentiva un fuggiasco. Per cui fu facile fare amicizia con lei.
Gli alieni della vita si riconoscono subito fra loro e finiscono presto per sviluppare belle sintonie corroborate da grandi passioni che li rendono praticamente inseparabili. Come se si conoscessero da sempre ma si fossero incontrati solo in quel momento.
Fu così con lei.
Era una grande appassionata di cinema sudamericano.
A lui invece non piaceva affatto.
Il Sudamerica per lui iniziava col calcio e finiva con le telenovelas con cui la madre si rintronava quand'era più giovane passando per i fondoschiena di modelle argentine e brasiliane che abbellivano i depliant dei centri vacanze che riempivano la sala d'aspetto del suo dentista.
Il desiderio di scoprire il motivo di quella malinconia che viveva all'interno di quella procace trentenne, lo incuriosiva da morire.
Si mettevano sempre nelle ultime file così che lei potesse dare da mangiare al suo canarino e soddisfare la sua voglia d'essere amata davvero.
In quelle ore d'amore e libertà, Antonio scopriva un mondo diverso.
Moana era davvero infelice. Si sentiva usata dal Capitano che poi comunque nelle occasioni in cui la tempesta ormonale infuriava degradava a mozzo e nonostante tutto la spremeva come un limone costretta com'era a ripassare tutte le posizioni del kamasutra nel tentativo di risvegliare quella tigre addormentata .
Troppo forte in lui la convinzione che lei lo amasse e comunque gliela avrebbe sempre data.
Troppo forte la compassione di lei che comunque ora poteva contare su magnifiche sessioni di recupero.
Ormai la cosa andava avanti da mesi. Tre volte a settimana dopo aver cavalcato il Capitano toccava a lui subentrare per secondi tempi da urlo.
Il campo da battaglia era ogni settimana diverso. Lo schema invece sempre uguale: proiezione , film, ultime fila di un cinema qualunque, luci che si abbassano e via verso paradisi incontaminati e viaggi da favola.
Era proprio una donna degna di un Capitano.
Erano anche ottimi amici e quando alla fine della giornata si salutavano per l'indomani, non poteva non trattenere un sorriso.
Una di quelle sere, alla fine del corso, doveva aver esagerato perchè il Capitano gli chiese di fermarsi un pò dopo la fine della lezione. Doveva chiedergli una cosa.
Un'ondata di terrore lo travolse all'improvviso lasciandolo madido di sudore e tremante di paura. Che quel fucile a canna corta avesse scoperto tutto?
Pensava a questo quella sera in cui il Capitano gli aveva chiesto di fermarsi un pò dopo la lezione per parlare e ora che gli si avvicinava risoluto.
" Posso chiederti una cosa?"
"Dimmi" fece Antonio cercando di esibire la faccia più disinvolta possibile .
"Che razza di profumo usi"? Sai, mi piace e vorrei comprarlo anch'io".
"Jean Paul Gautier.... n1. Muschio bianco. Un paio di gocce e le donne cadranno tutte ai tuoi piedi". Disse queste parole rapidamente in modo da togliersi d'impaccio prima possibile.
Lo salutò in fretta. Poi sicuro di non esser visto, tirò un sospiro di sollievo.
La luna era alta in cielo a testimone di quella sua nuova vittoria sulla vita. Sorrise.
Il muschio bianco aveva colpito ancora.

Tre pugnette al giorno

L’ufficio postale stamattina era stranamente deserto, davanti a me c’era solo una vecchietta che doveva ritirare la sua magra pensione e un ragazzo con gli occhiali rotti che cercava in tutti i modi di attaccare discorso. Faceva un caldo della madonna, i dipendenti se la spassavano con l’aria condizionata e noi poveri cristi sudati e bistrattati come tante bestie da soma aspettavamo il nostro turno solo per pagare le bollette a Mamma Italia. La vecchietta cominciava a darmi i nervi, aveva dimenticato a casa i documenti e la sua puzza mi si era attaccata addosso, un misto di piscio rancido e borotalco di pessima qualità, il tutto legato all’odore stantio della campagna e del letame che da queste parti non manca mai. Leggo il giornale per perdere un po’ di tempo : a Milano si è formata una fila di due km per vedere il nuovo modello di Dolce e Gabbana. Mi viene da ridere ed esco fuori. Stavo cominciando a credere che la crisi di questi anni sia solo una fandonia inventata da certa gente di sinistra, le persone vere erano quelle in coda a chiedere l’autografo e la foto ad un ragazzo di trent'anni ultramilionario, le persone vere sono quelle che si divertono la sera nei locali e si ubriacano sulla spiaggia vomitando in mare.  Noi siamo solo dei poveri stronzi. La crisi non esiste. È come sparare a  dei maiali in volo.
Rientro dentro, la vecchietta mi fa cenno di avvicinarmi.
«Mi puoi firmare tu che non so scrivere?» mi chiede impaurita.
Conosco parecchie persone che non sanno né leggere e né scrivere ma non li biasimo. L’ignoranza alle volte ti salva da una vita troppo caotica, dai telegiornali catastrofici, dai libri che non vuoi finire, dai professori noiosi e dai dottorini che hanno studiato a Cambridge.
La puzza di piscio era tremenda ma giusto il tempo di uno scarabocchio sul libretto postale e ritorno a sedere al mio posto. Il ragazzo con gli occhiali rotti si avvicina e mi chiede :
«Posso  vedere il giornale?»
« Se ti va» gli rispondo annoiato.
«Tu sei di qui?» mi chiede con un misto di stupore.
«Si, ma è come se non lo fossi»
Poi avvicinandosi ancora di più e toccandomi il braccio con la mano sudata mi fa:
« La gente dice che sono stupido»
«Anche di me lo dice ma  non ci faccio più caso»
« Lo sai che posso infilarmi tre dita nel naso?» mi fa in tono di sfida.
« Non ci credo!»
Si infila  tre dita nel naso allargando la narice all’inverosimile e poi rivolto a me dice:
« Hai visto?»
« Cazzo, sei bravo»
«Tu lo sai fare?»
« Veramente no…»
«Allora sei più stupido di me!!!»
«A volte si» ammetto con dispiacere.
Era il mio turno allo sportello. L'operatrice era giovane e per nulla gentile, non è facile gestire tante persone in una sola mattinata. Mi avvicino al vetro:
«Buongiorno, devo pagare il gas»
«Dammi il bollettino» mi risponde acida, riuscivo a sentire l’odore del chewin - gum alla fragola misto ad una leggera alitosi frutto di una lavata di denti superficiale.
«Prego…» le dico  porgendo il conto corrente.
«Sono 100 euro e 50 cent.»
«Cazzo, questi sanno come arricchirsi sulle nostre spalle!»
«Non sono fatti miei»
Poi  mentre prendevo il resto dei miei soldi le chiedo « Come mai voi avete l’aria condizionata e noi no?»
«Devi fare richiesta alle Poste Italiane non a me».
Mi allontano arrabbiato e chiedo al ragazzo con gli occhiali rotti :
« Come ti chiami»
«Francesco, come mio nonno» mi fa orgoglioso.
«E' sempre la stessa storia, non cambierà mai niente in questo paese» gli dico amareggiato. 
Parlavo ai muri, perché Francesco si era messo a strappare il mio giornale e mangiava strisce di carta.
« Tu li sai fare i rutti mentre parli?» mi chiede incantato.
«Una volta si».
«E ora che fai?»
«Scrivo racconti al computer»
« Sono belli?»
«No, non tanto»
«Io al computer guardo i film porno e mi faccio  tre pugnette al giorno»
«Attento che diventi cieco» gli dico divertito.
«Non fa niente, mi cambio gli occhiali»
A Francesco piaceva la figa, perché sapeva che era l’unica cosa che ci avrebbe salvati e  redenti da questa vita misera. 
Esco dalla posta e mi avvio alla macchina, il sedile è talmente caldo che rischio di farmi uscire delle emorroidi grosse come un fungo. Mi fermo sul lungomare a guardare il riflesso del sole sulle onde. Non avevo mai visto uno spettacolo così bello.

sabato 18 giugno 2011

Cos'è la felicità?


Dicono che la felicità non esista. Che sia solo un indice matematico nascosto dentro una ricerca di mercato. Come se bastasse contribuire all'innalzamento del debito pubblico, per eliminare le prove di miliardi d'acquisti sbagliati e poi riciclati al primo fesso che passa per strada.
Dicono che quanto affermano sia comprovato da barbosi studi clinici effettuati nei migliori laboratori.
Hanno il camice bianco, la chioma folta da divi e un sorriso che non lascia dubbi questi novelli Freud d'accatto.
Almeno a chi non ne ha bisogno.
Per me la felicità è una luce che squarcia un cielo pieno di nubi.
L'ho vista anche stamattina eppure il cucciolo che vive dentro di me non era ancora soddisfatto quindi me ne sono andato in cucina a mangiare uno yoghurt ai 5 cereali.
Eppure non ero tranquillo. Quella domanda continuava a rimbombarmi nella testa attendendo una risposta: cos'è la felicità?
Non la conosco.
Sono stato infelice troppo a lungo per sapere bene cosa sia.
Ma so perfettamente cosa non è.
La felicità non è un sorriso perfetto, una camicia stirata, una tovaglia intonata, un abito giusto.
La felicità non è un appuntamento centrato, una scadenza rispettata, un tempo levigato come un coltello appuntito utile ad eliminare possibili avversari su una strada in salita.
La felicità non è un filo teso tra sofferenza noia e disinganno.
Se pensate questo lasciate stare.
Fermatevi piuttosto. Fermatevi subito. Prima che il tarlo della competitività vi divori da dentro.
Accarezzatevi, tenetevi stretti, lasciate che l'energia della natura s'irrori in voi completamente, non badate alle sciocchezze della società, ai pruriti della gente, alle opportune circostanze.
La felicità è il tutto strappato al nulla.

venerdì 17 giugno 2011

Curva minore



Perdimi, Signore, che non oda






gli anni sommersi taciti spogliarmi,





si che cangi la pene in moto aperto:





curva minore





del vivere m'avanza.





 





E fammi vento che naviga felice,





o seme d'orzo o lebbra




che sé esprima in pieno divenire.





 





E sta facile amarti





in erba che accima alla luce,





in piaga che buca la carne.





 





Io tento una vita:





ognuno si scalza e vacilla





in ricerca.





 





Ancora mi lasci: son solo





nell'ombra che in sera si spande,





né valico s'apre al dolce





sfociare del sangue.




 




( Salvatore Quasimodo )



giovedì 16 giugno 2011

Non è cambiato niente

 
Era il novembre 2002, sono passati nove anni ma non è cambiato niente. E' meglio farci due risate.

L'Italia si droga per difesa psichica

Iggy Pop mi guarda dritto in faccia e canta: ‘L’America si droga per difesa psichica’; solo che invece dell’America lui dice l'Italia, e basta quella sua frase del cazzo, pura e semplice, a chiarire quel che sono, molto meglio di qualunque altra cosa. Interrompo il mio ballo di San Vito e resto lì impalato a guardarlo, sbalordito. Ma i suoi occhi adesso sono passati a guardare qualcun'altro...

(Irvine Welsh, Trainspotting )

martedì 14 giugno 2011

Specialmente a colazione ( Parte 1 )

Silvio Berlusconi parlava in tv, la batosta elettorale era visibile sul suo volto ma avrebbe trovato comunque il modo di incularci. Ad ogni costo, sempre e per sempre.
Mi arriva un sms di Antonio, Roberta lo aveva lasciato per mettersi con il suo professore di zoologia; si divertivano a scopare tra vasetti pieni di vermi e serpenti imbalsamati.
Decido di  chiamarlo, almeno so come tenermi occupato per le prossime tre ore.
« Antonio, Volevo solo sapere come stai.» dissi cercando di rimanere il più vago possibile.
« Sono stato meglio.» mi rispose scocciato.
« Lo sai che Roberta non ti ha mai voluto bene, vero?»  decisi di affondare subito il coltello nella piaga.
« Ma se mi scriveva lunghe lettere d’amore.»
« Lo faceva solo per lavarsi la coscienza.»  gli dissi dispiaciuto.
« Mi diceva che le mancavo!»
« Puttanate!»
« Che ero la cosa più importante della sua vita!»
« Stronzate , le ragazze non vogliono passare il loro tempo a pulire il culo e a cambiare pannoloni agli storpi.»
Era la verità. Antonio aveva combattuto in Iraq  dove aveva perso le gambe e le braccia per colpa di una mina antiuomo; poteva considerarsi fortunato, i suoi amici ora ingrassavano i cavoli sotto terra. Di lui era rimasto solo il tronco e la testa, una grande testa di cazzo che camminava su una sedia a rotelle. Gli ero molto legato ma mi faceva incazzare sempre, come in questo caso.
« Antò! »  gridai al telefono.
« Dimmi pure » sembrava più calmo.
« Ti eri innamorato di una ragazzina.»
« L’avevo sempre sospettato. » mi disse con un filo di voce.
« Vedrai, il mondo è pieno di donne.»  cercai di tirarlo su.
« Ne ho già conosciuta una, Samantha, ha 50 anni»
« Cazzo, hai fatto presto!»
« E non vedo l’ora di affondare il muso tra le sue chiappe morbide!» mi disse tutto eccitato.
« Se decidi di sposarti, voglio essere il tuo testimone.»
« Cristo, si !»
« E per regalo ti faccio un tosta banane portatile »
«E' sempre utile, a Samantha piacciono tanto le banane, specialmente a colazione.»
« Non lo metto in dubbio.» gli dissi mentre cercavo di immaginarmi questa Samantha che stava per fotterlo, in tutti i sensi. Già me la vedevo alta, capelli rossi e un culone che strabordava dai jeans a vita bassa. Ma ad Antonio piaceva e io dovevo assecondarlo, come è giusto che sia.
« Sai, penso che sia la donna giusta per me.» ammise felice.
« E da cosa lo vedi.» gli chiesi incuriosito.
«Mi ha detto che ho una bella voce.»
« E per il resto, come la mettiamo?»
« Vivremo felici, puoi stare tranquillo.» 
Chiuse in quel modo la chiamata. Mi sarei giocato le palle che tra due settimane al massimo un mese mi avrebbe telefonato perché anche Samantha come Roberta e prima ancora Valentina lo aveva lasciato; è una storia vecchia. Avevo fame ma il frigo era vuoto. Scesi per andare a fare la spesa ma la macchina non partiva,  la solita iella che mi accompagnava dalla nascita questa mattina si accaniva con più veemenza sulla mia testa. Decisi di fare quattro passi fino al supermarket più vicino; comprai un kilo di pane, un etto di mortadella e tornai a casa. Il telefono cominciò a vibrare come impazzito sul divano, Antonio mi stava chiamando.
 «Ha detto che mi ama e che mi sposa!» gridava come un esaltato.
«Allora devo comprarti davvero il tosta banane.» gli dissi emozionato.
«Voglio solo tanta felicità.»
« È quello che ti meriti.»
« È quello che ci meritiamo.» mi disse con un velo di malinconia.
Posai il telefono e cominciai a mangiare pane e mortadella mentre la tv non raccontava niente di nuovo. Quella fu l’ultima volta che sentii Antonio. Da fonti certe, seppi che è morto mentre affondava il muso nelle chiappone della sua Samantha. Purtroppo per lui, soffriva di asma.