mercoledì 27 aprile 2011

Alta fedeltà


Contare fino a cinque. Quasi per sezionare la vita e controllarla. Una passione selvaggia per aggredirla. Tanta buona musica per colorarla e una donna per viverla.
Sembrano regole di vita.
Sono le armi di Rob Fleming protagonista del libro "Alta fedeltà" di Nick Hornby.
Ho finito di leggerlo l'altra notte ma la sua magia non mi ha ancora abbandonato. Ne sono contento perchè c'è sempre tempo per dimenticarsi.
Rob il protagonista della storia, ricorda invece. Ricorda per non dimenticare e per non essere dimenticato. Sceglie di occupare piccoli spazi perchè non ha scarpe sufficientemente grandi per percorrere i grandi viali alberati che circondano la vita delle persone che contano.
Leggendo alcune recensioni, ne era venuto fuori un ritratto a dir poco abominevole. Un bamboccio che non ha nessuna voglia di crescere, nessuna ambizione, zero prospettive.
Non sono d'accordo. Per me è un eroe. Alla stregua di Superman.
Un uomo di 35 anni che ad un certo punto della sua vita, decide di impadronirsi di sè e raccontarsi senza pudori nè meschinità è un uomo con del fegato. Narra per resistere Rob. Per continuare a essere strettamente personale in una società assolutamente impersonale.
Decisivi in questo senso, i suoi amici Barry e Dick. Due persone dolcemente mediocri che sembrano raccogliere entrambi pregi e difetti del protagonista, e che senza volerlo, costituiscono la molla che spinge Rob ad evolversi.
La vita si svuota quando si resta a guardarla per troppo tempo. E nemmeno una passione pazzesca può salvarti a quel punto.
Bisogna fare qualcosa. Rob chiama allora. Chiama le sue ex per capire se ne è valsa la pena. Perchè il passato è importante. Riscoprirlo alla luce di una nuova consapevolezza ancora di più.
Si trova di fronte a donne frivole che in fondo, non hanno bisogno di lui e forse non lo avevano neanche capito.
Bisogna aver fegato per comprendere un tipo come Rob. Bisogna comprendere di aver dei limiti per provare a superarli o commettere l'azzardo di conviverci. Bisogna esser onesti con se stessi per farlo. Un mestiere che in pochi nel corso della propria esistenza praticano. Anche perchè se lo si fa con la dovuta convinzione, spesso si è costretti ad ammettere d'aver sbagliato e ci si accorge che quello che magari un giorno si riteneva giusto poche settimane dopo non lo è più e allora si è presi da una irrefrenabile voglia di tornare indietro e ricominciare tutto da capo come se nulla fosse accaduto.
Non è facile tornare indietro.
Solo una se ne accorge, solo una sembra riuscire a farlo.
E'Laura la sua ragazza che all'inizio del romanzo lo aveva lasciato per Ian una macchina del sesso umana e poi, addirittura ad un certo punto gli compra il locale dove lui faceva il dj da ragazzo.
E d'improvviso il tempo sembra essersi fermato ed ecco che lui e di nuovo lì alla consolle a mettere i dischi e lei là poco distante ad osservarlo con occhi materni. Tutto come all'inizio della loro storia d'amore.
Perchè a volte regredire non è peccato.
Ritornare sui propri passi nemmeno.
La cosa importante è essere pronti ad avvolgere e a riavvolgere costantemente il nastro della propria vita aspettando di capire bene cosa metterci.

martedì 26 aprile 2011

Le gite fuori porta







Non so bene perche, ma a me le gite fuori porta mi hanno sempre dato l'idea di famiglia unita. Più del Natale dove a volte si è costretti a star vicino anche a chi così vicino non si vorrebbe. Non solo per questioni d'alito. Fingere a Natale dopotutto è facile. Basta star seduti sulla sedia come Willy il Coyote sulla bomba e giunta mezzanotte tutto passa.
Ma fuori, all'aperto puoi andare solo se sei felice.
Spero che oggi siate felici. Felici con le vostre famiglie che in questi casi, secondo me, dimostrano davvero quanto valgono e quanto si vogliono bene.
Ci sono quelle organizzate e quelle disorganizzate. Quelle che sanno tutto e quelle che non sanno niente. Ma restano comunque unite.
Ognuno porta qualcosa. Quello che può e lo mette in mezzo. In gioco.
Non è forse questo che fanno ogni giorno gli innamorati?
Penso di sì, per cui oggi vi auguro una giornata piena d'amore.
E se ve ne resta un pò, speditemelo. Mi ricorderò com'è. E sarò felice pure io oggi. Un pò di più. Solo un pò,mica tanto.
Il troppo stroppia dopotutto e fa male.

lunedì 25 aprile 2011

Il falò delle festività


Oggi 25 aprile è il giorno della liberazione italiana dalla barbarie tedesca.
Quando ero piccolo questo giorno, era celebrato con tutti gli onori: banda paesana, fiocchi cittadini, cappelli d’alto bordo e trucchi ambigui.
Oggi non ci sono più crucci teutonici tra i piedi. In compenso abbiamo altro per la testa. E’ il lunedì di Pasqua, infatti. Qualcuno di voi starà già pensando alla gita fuori porta di domani. Bene. Avete scelto la località, imbottito i panini, chiuso gli zaini, scaldato la macchina, ma non avete ancora pensato a cosa farne. Di cosa?
Ma dei biglietti d’auguri è chiaro. Molti ve li hanno taggati su Facebook (lo so: l’hanno fatto a me).
Ma qualcuno si è preso la briga di spedirveli anche.
Il mio amico Holden si chiedeva dove andassero a finire le anatre del Central Park. Io mi chiedo (vi domando), dove vanno i biglietti d’auguri quando non c’è più nulla d’augurare?
I biglietti d’auguri non hanno la mefistofelica capacità di fuggire da noi e ricomparire all'improvviso come le penne. S’ammonticchiano pigri sul ripiano destro della credenza anno dopo anno costituendo una minaccia stucchevole di cui è difficile liberarsi.
Un tempo c’era il focolare che garantiva una fine veloce e indolore. Ma oggi non tutti hanno il focolare. Ci sono i termosifoni i quali però non assicurano gli stessi celeri effetti.
A meno che non si sia dotati di una pazienza conventuale e vi piaccia alla follia il color bronzeo di una moltitudine di cartoncini filigranati lasciati ad abbrustolire per un’annata intera su un termosifone dolente.
Cosa farne quindi? Se non potete gettarli nella spazzatura oppure differenziarli negli appositi bidoni prendeteli e osservateli. Parlateci anche e ascoltateli bene. Vi racconteranno storie portentose.
Badate bene: la mia personale ripulsa va a quelli che non cercano l’augurio nel cuore, ma lo trovano in cartoleria. Al massimo i mittenti badano a marchiare l’infamia con un caratteristico segno di riconoscimento. Chi invia, infatti, non rinuncia mai a se stesso. Ognuno crede d’esser fantasioso e originale, e non perde occasione di ricordarlo a tutti.
Dieci anni d’esperienza augurale e affettazione festiva, mi hanno consentito di farmi una robusta cultura sul tema. Bene, mi sembra giunto il tempo di metterla in pratica.
In testa alla mia personale classifica di disgusto ci sono gli Sgorbiatori.
Tipi curiosi, questi ultimi.
Sono di solito uomini realizzati e a modo talmente soddisfatti di loro stessi da non curarsi affatto della salute psichica del destinatario che è costretto ad effettuare una perizia calligrafica per decifrare lo sgorbio del mittente.
Al secondo posto ci sono gli Apprendisti Fotografi.
Uomini anche loro, hanno superato i quarant’anni e hanno un problema: non sanno come passare il tempo. Hanno vinto chissà come una macchina fotografica e ora non possono non usarla costringendo la propria famiglia ad una vita sempre sotto l’obiettivo . Ma la sua vita è incerta e la felicità lo premia solo a momenti. Per costatarlo vi prego di osservare i capelli grigi di lui e la faccia stravolta di lei.
Al terzo posto vi sono i MVI. Non fanno parte di un comitato di difesa del latino nelle scuole. Giammai.
Sto parlando di quelli che dipendono dalle Marche Veramente Importanti.
Donne soprattutto che non vogliono rovinare il cartoncino firmato e fanno di tutto perché si noti senza accorgersi che le loro amiche hanno fatto altrettanto.
Al quarto posto ci sono gli Enigmisti che spediscono biglietti criptici e sinistri.
Al quinto posto ci sono i Risparmiatori così avari di calore e sentimenti da far stampare sul cartoncino persino la propria firma.
Al sesto posto ci sono i Raddoppiatori. Essi non si limitano ad un solo onesto biglietto d’auguri. Allegano anche un microscopico bigliettino da visita che poi finisce irrimediabilmente per smarrirsi nella busta.
Al settimo posto della mia personale classifica di disgusto, al primo di quella dell’ipocrisia, sono i Commossi Temporali quelli che v’ignorano tutto l’anno poi, scoprono improvvisamente di non poter vivere senza di voi.
Suoneranno un tardo pomeriggio di Pasqua alla vostra porta dopo vent'anni chiedendovi il permesso di entrare nelle vostre case, e rientrare nelle vostre vite. Voi sfondatevi di colomba e non aprite mi raccomando. Poi fate un bel falò se credete.
Non sarà un metodo del tutto pacifico, ma contribuirà ad addolcirvi lo stomaco e a incenerire la falsità umana.

Tu non sai le colline

Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l'arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.

9 novembre '45


(Cesare Pavese )

domenica 24 aprile 2011

Resurrezione

E' risorto: il capo santo
più non posa nel sudario
è risorto: dall'un canto
dell' avello solitario
sta il coperchio rovesciato:
come un forte inebriato ,
il Signor si risvegliò


Era l'alba; e molli il viso
Maddalena e l'altre donne
fean lamento in su l'Ucciso;
ecco tutta di Sionne
si commosse la pendice
e la scolta insultatrice
di spavento tramortì
Un estranio giovinetto
si posò sul monumento:
era folgore l'aspetto
era neve il vestimento:
alla mesta che 'l richiese
dié risposta quel cortese:
è risorto; non è qui.

Alessandro Manzoni

venerdì 22 aprile 2011

Un tonno per amico


Non ricordo di preciso dove la vidi per la prima volta, forse in una sanitaria dove stava comprando dei tampax; non usava mai assorbenti per fermare il ciclo, voleva sempre sentire qualcosa dentro di sé.
Frequentava uno stupido corso di cucina con la certezza che un giorno sarebbe diventata uno chef di fama mondiale e che il suo nome sarebbe comparso sulla guida Michelin; la convinzione, però, è una brutta bestia, ti fa stravolgere la realtà delle cose e lei era così, convinta di essere la migliore in un mondi di mediocri.
La verità era invece un’altra: sapeva di essere una puttana e che da quando frequentava quel gruppo di persone che le parlavano in francese anche per chiederle di affettare delle verdure ( fammi le carote a la julienne ), aveva sviluppato una specie di senso critico che la portava a blaterare delle cose più varie e inusuali, senza capire nulla di ciò che diceva.
La sera poi - mentre se lo faceva schiaffare dietro da uno più grande di lei - poteva intrattenere una discussione sul cinema neorealista polacco o sull’ermeneutica di Gadamer con la stessa tranquillità con cui grattugiava  il formaggio sulla pasta.
Era fatta in questo modo,passava dal cazzo ai libri e dai libri al cazzo in un minuto, senza quell’estenuante battaglia del corteggiamento, del romanticismo disseminato di fiori e cioccolatini che dichiara vincitore uno solo fra i due contendenti.
Quando l’ho incontrata ieri pomeriggio al supermercato, era indecisa tra centinaia di bottiglie di vino rosso:
«potevi venire al corso di cucina» mi dice con una voce da gatta in calore, «adesso so cucinare i soufflé e il tofu.»
«Preferisco la mia pasta col tonno», le rispondo con un tono fra il rassegnato e l’orgoglioso.
Una scatoletta di latta mi aveva salvato di nuovo il culo, come faceva sempre, da dieci anni a questa parte.

Alla pioggia non si arrende

Alla pioggia non si arrende,
al vento non si arrende,
alla neve e al caldo estivo non si arrende,
ha un fisico robusto.
mai adirato,
non ha smanie,
sempre sereno e sorridente.
ogni giorno mangia settanta grammi di riso integrale,
il miso e un po’ di verdura.
In tutti i casi
non bada a se stesso
per conoscere, capire
e non dimenticare.
vive in una piccola capanna di paglia
all’ombra di un bosco di pini.
se ad est c’è un bambino ammalato
va ad assisterlo,
se ad ovest c’è una madre stanca
va per portarle quei fasci di riso,
se a sud c’è un moribondo
va per dirgli di non avere paura,
se a nord c’è un litigio o un contenzioso
va a dire di lasciar perdere le cose insignificanti.
quando è periodo di siccità piange,
quando è estate fredda cammina preoccupato.
da tutti viene detto un sempliciotto,
non è mai lodato,
però non è nemmeno causa di sofferenza.
io voglio diventare
una persona così.

 (Kenji Miyazawa)

giovedì 21 aprile 2011

Elegia Pasquale


Pasqua ventosa che sali ai crocifissi
con tutto il tuo pallore disperato,
dov'è il crudo preludio del sole?
e la rosa la vaga profezia?
Dagli orti di marmo
ecco l'agnello flagellato
a brucare scarsa primavera
e illumina i mali dei morti
pasqua ventosa che i mali fa più acuti

E se è vero che oppresso mi composero
a questo tempo vuoto
per l'esaltazione del domani,
ho tanto desiderato
questa ghirlanda di vento e di sale
queste pendici che lenirono
il mio corpo ferita di cristallo;
ho consumato purissimo pane

Discrete febbri screpolano la luce
di tutte le pendici della pasqua,
svenano il vino gelido dell'odio;
è mia questa inquieta
gerusalemme di residue nevi,
il belletto s'accumula nelle
stanze nelle gabbie spalancate
dove grandi uccelli covarono
colori d'uova e di rosei regali,
e il cielo e il mondo è l'indegno sacrario
dei propri lievi silenzi.

Crocifissa ai raggi ultimi è l'ombra
le bocche non sono che sangue
i cuori non sono che neve
le mani sono immagini
inferme della sera
che miti vittime cela nel seno.

Andrea Zanzotto

mercoledì 20 aprile 2011

Profezia

                     



 Era nel mondo un figlio
e un giorno andò in Calabria:
era estate, ed erano
vuote le casupole,
nuove, a pan di zucchero,
da fiabe di fate color
delle feci. Vuote.
Come porcili senza porci, nel centro di orti senza insalata, di campi
senza terra, di greti senza acqua. Coltivate dalla luna, le campagne.
Le spighe cresciute per bocche di scheletri. Il vento dallo Jonio
scuoteva paglia nera
come nei sogni profetici:
e la luna color delle feci
coltivava terreni
che mai l’estate amò.
Ed era nei tempi del figlio
che questo amore poteva
cominciare, e non cominciò.
Il figlio aveva degli occhi
di paglia bruciata, occhi
senza paura, e vide tutto
ciò che era male: nulla
sapeva dell’agricoltura,
delle riforme, della lotta
sindacale, degli Enti Benefattori,
lui. Ma aveva quegli occhi.
La tragica luna del pieno
sole, era là, a coltivare
quei cinquemila, quei ventimila
ettari sparsi di case di fate
del tempo della televisione,
porcili a pandizucchero, per
dignità imitata dal mondo padrone.
Ma si può vivere là! Ah, per quanto ancora, l’operaio di Milano lotterà
con tanta grandezza per il suo salario? Gli occhi bruciati del figlio, nella
luna, tra gli ettari tragici, vedono ciò che non sa il lontano fratello
settentrionale. Era il tempo
quando una nuova cristianità
riduceva a penombra il mondo
del capitale: una storia finiva
in un crepuscolo in cui accadevano
i fatti, nel finire e nel nascere,
noti ed ignoti. Ma il figlio
tremava d’ira nel giorno
della sua storia: nel tempo
quando il contadino calabrese
sapeva tutto, dei concimi chimici,
della lotta sindacale, degli scherzi,
degli Enti Benefattori, della
Demagogia dello Stato
e del Partito Comunista..
…e così aveva abbandonato
le sue casupole nuove
come porcili senza porci,
su radure color delle feci,
sotto montagnole rotonde
in vista dello Jonio profetico.
Tre millenni svanirono
non tre secoli, non tre anni e si sentiva dinuovo nell’aria malarica
l’attesa dei coloni greci. Ah, per quanto tempo ancora, operaio di Milano,
lotterai solo per il salario? Non lo vedi come questi qui ti venerano?
Quasi come un padrone.
Ti porterebbero su
dalla loro antica regione,
frutti e animali, i loro
feticci oscuri, a deporli
con l’orgoglio del rito
nelle tue stanzette novecento,
tra frigorifero e televisione,
attratti dalla tua divinità,
Tu, delle Commissioni Interne,
tu della CGIL, Divinità alleata,
nel meraviglioso sole del Nord.
Nella loro Terra di razze
diverse, la luna coltiva
una campagna che tu
gli hai procurata inutilmente.
Nella loro Terra di Bestie
Famigliari, la luna
è maestra d’anime che tu
hai modernizzato inutilmente. Ah, ma il figlio sa: la grazia del sapere
è un vento che cambia corso, nel cielo. Soffia ora forse dall’Africa
e tu ascolta ciò che per grazia il flglio sa. (Se egli non sorride
è perché la speranza per lui
non fu luce ma razionalità.
E la luce del sentimento
dell’Africa, che d’improvviso
spazza le Calabrie, sia un segno
senza significato, valevole
per i tempi futuri!) Ecco:
tu smetterai di lottare
per il salario e armerai
la mano dei Calabresi.
Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci
asiatici, e di camice americane.
Subito i Calabresi diranno,
come malandrini a malandrini:
"Ecco i vecchi fratelli,
coi figli e il pane e formaggio!"
Da Crotone o Palmi saliranno
a Napoli, e da lì a Barcellona,
a Salonicco e a Marsiglia,
nelle Città della Malavita.
Anime e angeli, topi e pidocchi,
col germe della Storia Antica,
voleranno davanti alle willaye.
Essi sempre umili
essi sempre deboli
essi sempre timidi
essi sempre infimi
essi sempre colpevoli
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare,
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,
essi che si costruirono
leggi fuori dalla legge,
essi che si adattarono
a un mondo sotto il mondo
essi che credettero
in un Dio servo di Dio,
essi che cantarono
ai massacri dei re,
essi che ballarono
alle guerre borghesi,
essi che pregarono
alle lotte operaie…
…deponendo l’onestà
delle religioni contadine,
dimenticando l’onore
della malavita,
tradendo il candore
dei popoli barbari,
dietro ai loro Alì
dagli Occhi Azzurri – usciranno da sotto la terra per rapinare –
saliranno dal fondo del mare per uccidere, – scenderanno dall’alto del cielo
per espropriare – e per insegnare ai compagni operai la gioia della vita –
per insegnare ai borghesi
la gioia della libertà –
per insegnare ai cristiani
la gioia della morte
– distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe
della Storia Antica.
Poi col Papa e ogni sacramento
andranno come zingari
su verso l’Ovest e il Nord
con le bandiere rosse
di Trotzky al vento…
 

(Pier Paolo Pasolini ) 

Il polipo di periferia

 In via del tutto eccezionale, riceviamo e pubblichiamo il post di un caro amico,Vicky Scarface.

Passeggiando per le vie di una sonnacchiosa cittadina, camminando nei vicoli stretti di un paese, o nei viali alberati di una grande città si possono fare incontri singolari, ci si può imbattere in personaggi strani degni di un romanzo noir, o di un film erotico di terzo ordine. A me è successo, credo anche a voi. Tra questi soggetti che potrebbero stare tranquillamente in un libro di Freud, uno dei più fastidiosi è il polipo di periferia. Apparentemente inoffensivo, ti scruta con occhi da trota salmonata, con un sorrisetto stampato sul volto detestabile, al punto che se lo incontri dopo aver pranzato, rigurgiti il cibo. Appena apre bocca, si lascia andare a un fiume di parole annunciatrici di grandi progetti, di grandi cose. Lui stando a quanto dice, potrebbe risolvere qualsiasi problema. Potrebbe buttare giù la cattedrale di San Pietro e ricostruirla in due giorni più splendida di prima. Puntualmente di questi grandiosi progetti resta solo il fumo di vane parole perse nel vento, perché finiscono per non essere realizzati. Se si cerca di discutere di argomenti diversi da quelli da lui proposti, o meglio imposti, ci si rende immediatamente conto che il soggetto in questione, ha un tasso intellettivo pari a quello di un gallina lobotomizzata. Questo incrocio tra il gallo cedrone del film di Verdone e un manager fallito di un grande ditta, muta di pelle non appena appare all'orizzonte una fanciulla. Non importa se sia graziosa, alta, bassa, mora o bionda, magra o robusta, ciò che conta è che sia di sesso femminile e che respiri. Alla vista della ragazza i suoi occhi di trota si tramutano in attendi scandagli. In due secondi squadra la malcapitata dalla testa ai piedi cercando di individuarne i punti sensibili. Successivamente le sue mani cominciano ad ondeggiare nell'aria come mulinelli impazziti, il suo sorriso si apre sulla sua bocca da cinghiale e le narici si gonfiano come quelle di un bue muschiato nella stagione degli amori. Con passo veloce, repentino si avventa sulla preda, non lasciandole neppure il tempo di reagire, di protestare o di proferire parola alcuna. Le sue dita diventano tentacoli che si appiccano sul corpo della donna, Ventose difficili da fermare che si incollano in ogni punto possibile del corpo femminile. Marca il territorio con spruzzi di frasi pescate da chissà quale libro. La sua bocca si apre e si chiude vomitando stronzate a ripetizione, e inesorabilmente le sue labbra da mandrillo infoiato si poggiano sulla guancia della donna di turno, si stampano rumorosamente lasciando sbigottiti i presenti. Se è seduto il polipo, ondeggia come al torre di Pisa avvicinandosi alla donna e atteggiandosi a latin lover. Il polipo, nella sua mente bacata è convinto di essere un rubacuori, un Don Giovanni, in realtà è solo un esemplare tentacolare di periferia che cerca qualcuna disposta a prenderlo in considerazione. Di questi soggetti ce ne sono molti in circolazione se li vedete all'opera non esitate a difendere la ragazza che rimane impigliata nella sua rete e sputate in faccia al polipo o spernacchiatelo. Difatti non c'è peggior offesa per questi esemplari trogloditi che quella di metterli di fronte alla loro stupidità facendoli scadere nel ridicolo.

P.C.P.


Siete stanchi, avete dormito poco la notte, e sognate come un miraggio nel deserto quelle due ore pomeridiane nel vostro sgabuzzino.
A completare l'idilliaco arazzo qualcosa da scrivere, tanto da leggere, la mail da controllare, osservare la nebbiolina che dolce, si deposita sul vetro della finestra che dopo settimane di reclami vi hanno finalmente aggiustato.
Tutto è finalmente a posto e per la prima volta nella vostra vita vi sentite eccitati e pieni di voglia d'avventura come un personaggio di un romanzo di Joseph Conrad.
Avete fatto i bagagli, chiuso il gas, siete pronti a partire quando all’improvviso sulla nave dei vostri sogni incontrate lui: PCP.
Non vi vedete da anni, e ha tante cose da raccontarvi dice.
Non si limita a dirlo però: fa sul serio. Roba che se Berlusconi lo vedesse arrossirebbe di brutto. Comincia a parlare dall’uscio di casa e smette solo all’alba del giorno dopo.
La bellezza di questo fenomeno paraprovinciale, consiste negli argomenti utilizzati dal soggetto per intavolare un confronto con voi: i più strambi e meno interessanti dello scibile umano e come se tutto ciò non bastasse non vi ascolta: quando provate una timida reazione, vi guarda torvo, sorpreso voi osiate interrompere la sua orazione e vi fissa iroso in attesa di poter ripartire. Ogni vostro segnale è ignorato.
Accennate al caso di cronaca del mese, borbottate del disco della settimana, vi ripassate mentalmente l’oroscopo giornaliero ma niente da fare: PCP fila dritto come Zambrotta ai bei tempi verso le vostre parti basse con un solo deciso intento: rompervele.
A un certo punto una magnifica idea v’illumina il viso: pensate di simulare un attacco di cacarella. Poi rinunciate: vi segurebbe anche in bagno.
Chi è PCP? Non è un superstite dei CCCP alle prese con una nuova band. Né il fondatore di un nuovo partito politico E’ il Pirla Che Parla. È l’uomo (o la donna), che nessuno al mondo vorrebbe come amico (amica). E’ il /la Messì della comunicazione interpersonale: quando parte non lo /la ferma nessuno. È una piaga della società ma non lo sa: crede che nessuno lo/la consideri abbastanza (quando tutti lo /la vorrebbero sedare rapidamente).
Il Pirla Che Parla usa chi gli capita a tiro, come un giocatore di pelota basca adopera il muro durante una partita: basta che la palla torni indietro.
V’infastidisce per strada, v’irrita durante una riunione, ha sempre qualcosa da chiarire con voi che voi non abbiate già abbondantemente discusso con gli altri. E’ capace di insediarsi a tempo indeterminato a casa vostra sodomizzandovi sadicamente con il suo vaniloquio impedendovi ogni via d’uscita. Se Felipe Melo pressava così, la Juventus quest’anno avrebbe vinto lo scudetto.
Quando vi vede il Pirla Che Parla diventa un fuoco d’artificio e voi vi spegnete completamente e cominciate una partita a tresette con l’omino del cervello personale che è di sicuro più simpatico del Pirla Che Parla che intanto parla, parla, parla,e non la smette più.
I mesi più caldi sono quelli in cui questa singolare specie umana raggiunge il suo massimo splendore: può attaccarsi alle calcagna di chiunque, e succhiarne con le sue mirabolanti storie ogni energia vitale. Questo non significa che i Pirla Che Parlano nel resto dell’anno vadano in letargo. Giammai. C’è sempre, infatti, qualcosa che loro vogliono raccontarvi e voi non volete sentire.
Sento che ognuno di voi almeno una volta nella vita ha incontrato un/una tipo/ tipa del genere. Sento che adesso morite dalla voglia di stampare questa pagina e recapitarla in posta prioritaria al vostro loquace aguzzino. Sento che morite dalla voglia di farlo ma non ne avete il coraggio, timorosi di una sua verbosa replica. Vi dico: fatelo. Fatelo comunque. Perché quel giorno avete biascicato solo qualche sillaba di vile resa; avreste dovuto ribellarvi invece. Lo farete adesso.
Perché chi blatera al cubo, avvelena tutti voi. Ditegli di smettere (se non potete rifugiarvi in uno sgabuzzino).

martedì 19 aprile 2011

Morire da protagonista

C’è una marea di fighe impressionanti nel bar dove sono seduto a prendere un caffè: ragazze che fanno finta di studiare, che parlano sdraiate su divani, che baciano i propri partner.
L’odore dei panini è forte, la gente mangia convulsamente come maiali nella stalla, si ingozza di cibo da quando nasce a quando tira le cuoia, mangia e caca senza sosta e ogni tanto si ferma per scopare, per creare altri maiali.
A pochi metri da me, un ragazzo è morto per una canna di troppo ma gli amici diranno che era pulito, ricorderanno le sue battaglie per gli studenti e l’università.
Ne faranno un martire della lotta pacifista; a sua madre asciugheranno le lacrime dicendole che  era un eroe, morto per una disgrazia che poteva capitare a chiunque.
“Panda” è morto come ha vissuto, creando scompiglio e disordine, stravolgendo quel sistema che aveva sempre contestato.
Al suo funerale i pugni si solleveranno al cielo, per un ultimo grande saluto; al mio, Samuel Barber suonerà il suo adagio.
Morire da protagonista, ha tutto un altro sapore.

domenica 17 aprile 2011

Billy Ballo

Mi serve un computer e le opzioni sono due:

-          - Salgo all’università;
-         -  Mi infilo in un internet point dove con 50 centesimi posso essere il padrone della rete.
Opto per la seconda scelta e arrivo davanti al negozio evitando il culo di una balenottera bionda con gli stivali e i leggins  stremati per lo sforzo nel sostenere tanta carne tremula in una sola persona.
Entro dentro, c’è solo un ragazzo seduto davanti ad un pc, le chiappe fasciate strette nei jeans  e  mi sembra di conoscerlo.
Devo ancora capire da che parte sta,se è un culattone nostalgico degli anni’80 o è un culattone che cerca di fare colpo sulle donne toccandole in vari punti del corpo, causando in loro e in me il più totale disgusto.
Si gira di colpo e le sue labbra a forma di cuoricino cominciano a muoversi con un sussulto: «buongiorno».
Rispondo con un grugnito simile ad un rutto ma che serve a bloccare ogni altro approccio da parte del coglione che riprende a gesticolare davanti allo schermo del PC ascoltando della stupida musica dance: una roba da vomito proprio come i suoi occhiali a mosca che sembrano gridare «ciao, il nostro proprietario è un truzzo».
Billy Ballo è questo e molto altro, esperto studente fuoricorso che trova la sua realizzazione solo sul web dove adesca le sue vittime con link stupidi e tag asfissianti; anima solitaria e isolata,un angelo custode che protegge la mia vita cibernetica riempiendola di faccine e risate lunghissime.
Personaggio straordinario dalla voglia di fare in ogni settore ( parola chiave se volete fare colpo su di lui )dall’associazionismo alla comunicazione al giornalismo, Billy Ballo ha la straordinaria capacità di promuovere e immaginare  tutti gli eventi culturali e sportivi immaginabili ma di non portarne a compimento neanche uno: un nientologo del tutto e un tuttologo del niente in carne in ossa.
Devo trovare un cesso e pisciare,chiedo alla proprietaria ma parla talmente veloce che non capisco un cazzo di ciò che dice. I calabresi  fanno già schifo al rallentatore, figuriamoci a velocità triplicata.
Billy Ballo mi ha stimolato la vescica a tal punto che scappo fuori e dietro una quercia mi godo la pisciata più bella della mia vita. Mi sentivo felice e a contatto con la natura, un po’ come san Francesco che parla  agli uccelli.
Ritorno dentro e Billy Ballo  sta per andarsene, la vista delle sue chiappe strette nei jeans mi dà il voltastomaco.
Mi stringe la mano e mi dice « ci vediamo eh…»
«non ti preoccupare» gli dico.
Se ne va a passi svelti ma già sapevo che l’immagine del suo culo  e dei suoi jeans mi sarebbero rimasti nella testa per molto tempo.

sabato 16 aprile 2011

I sacri misteri dell'aperitivo


Se la domenica è il giorno delle famiglie che si riuniscono, il sabato è la festa delle comitive che si ritrovano e per guardarsi meglio, siedono attorno a un tavolo e sorseggiano un aperitivo.
Quand’ero bambino associavo all’aperitivo atmosfere malinconiche e prospettive intimiste abitate da uomini stressati dal lavoro quotidiano e ragazzi benestanti col maglione stretto sulle spalle ansiosi di raccontare a donne annoiate e soporifere le loro mirabolanti conquiste giornaliere.
In fondo, stavano gli anziani a rimuginare sulle loro occasioni perdute e a tracannare l’ultimo bicchierino alla faccia della fatica dei primi, e la ridicolaggine dei secondi.
Il tutto corredato da una miscela di ninnoli salati coi punti neri, bisognosi di un lifting e prossimi alla pensione, e una scarica di pallottole oleose, caricate a salve da una mano noncurante e inesperta.
Una vera tristezza.
Sempre meglio una pizza tonno e cipolle annaffiata da una bella birra scura, sorseggiata insieme a una ragazza mora, in un locale ampio e ben illuminato.
Ci si vede di più e ci si chiarisce meglio. Che cosa non si è avuto il tempo di stabilirlo perché intanto le cose sono cambiate.
L’aperitivo oggi è un rito collettivo, democratico e popolare. Con delle ore e regole precise. Con buona pace del traffico cittadino che nelle ore che vanno dalle sei alle nove di sera, è ingolfato da automobilisti ansiosi di parcheggiare in seconda fila l’auto nuova.
Ormai non c’è bar che non offra di queste abbuffate ragionevoli e salatissime.
Non c’è nessuno al mondo che per pigrizia culinaria e bieche esigenze d’acchiappanza, non si sia inoltrato almeno una volta nella vita, nei sacri misteri dell’happy hour.
Ligabue ne ha parlato in una sua canzone, ma non sono convinto abbia detto tutto quello che c’era da dire sul tema.
L’happy hour non paralizza solo il traffico cittadino. Condiziona anche l’equilibrio nutrizionale e comportamentale di ognuno.
L’aperitivo, infatti, non ha più le miserande fattezze di un tempo.
Si è rafforzato all’inverosimile e giunge insieme a cibi e pietanze in apparente contrasto e palese conflitto d’interessi. Da far arrossire persino i gestori dei bar cui non par vero che ragazzotti allampanati e altissimi, possano riuscire a ingollarsi senza retrivi imbarazzi, focaccine smunte e frittatine anemiche.
Ma i ragazzotti non sono sciocchini. Sono cresciuti con la calcolatrice nel telefono e sanno fare bene i loro conti.
Il prezzo fisso e le quantità abbondanti hanno fatto il miracolo. Alla faccia della dieta cui penseranno forse, fra trent’anni.
Il dubbio è giustificato da una domanda: quanti neuroni sani resteranno a questi ragazzi? Quanti non diventeranno degli alcolizzati?
Certo la situazione non è preoccupante come in altri paesi del Nordeuropa, dove la sbronza nel finesettimana è un obbligo quasi istituzionale, ma la situazione (le continue stragi del sabato sera lo dimostrano), sta diventando brutta anche qui.
Begli stronzi quelli che dicono stop agli alcolici a una certa ora, e poi vendono robaccia sottobanco ai minorenni.
L’Italia è una Nazione piena di giovani che bevono qualunque cosa.
Dopo mezz’ora sono loquaci, dopo un’ora felici, dopo due gridano che va tutto bene.
Non c’è nessuno di così allegro in Italia di questi tempi.
Se si ricandida Berlusconi, sono certo li userà nella prossima campagna elettorale.

venerdì 15 aprile 2011

Sala d'autopsia


Allora ero giovane e avevo la forza di dieci.
Per ogni cosa, pensavo. Benché parte del mio lavoro
la notte fosse di pulire la sala dell’autopsia,
una volta che il lavoro del medico legale era finito. Ma di tanto
in tanto staccavano prima, o troppo tardi.
E lasciavano ahimè fuori delle cose,
sul loro tavolo speciale. Un bambino piccolo,
immobile come pietra e freddo come neve. Un’altra volta
un nero enorme dai capelli bianchi a cui avevano squarciato
il petto. Tutti i suoi organi vitali
buttati in una casseruola accanto alla testa. L’acqua usciva
dalla pompa, le luci fiammeggiavano.
E una volta c’era una gamba, una gamba di donna,
sul tavolo. Una gamba pallida e ben fatta.
Sapevo di che si trattava. Ne avevo già viste.
Questa però mi fece restare senza fiato.

La notte, tornato a casa, mia moglie mi avrebbe detto
«Tesoro, le cose si stanno aggiustando. Daremo questa vita
in permuta, in cambio di un’altra». Ma non era
così facile. Mi avrebbe preso la mano
tra le sue e me l’avrebbe tenuta stretta, mentre io sprofondavo
sul divano e chiudevo gli occhi. Pensando… a qualcosa.
Non so a che cosa. Ma le avrei lasciato portare
la mia mano al seno. A quel punto
avrei aperto gli occhi e fissato il soffitto, oppure
il pavimento. Allora le mie dita deviavano
verso la sua gamba. Che era calda e ben fatta, pronta a fremere
e sollevarsi leggermente, al tocco più leggero.
Ma la mia mente era confusa e agitata. Nulla
stava accadendo. O tutto. La vita
era una pietra, che stritolava e aguzzava.
(Raymond Carver)

Un coglione per ogni stagione

Scendo le scale della biblioteca e il calore dei termosifoni  mi assale colpendomi al volto e alla testa in maniera così forte che ho bisogno di reggermi al corrimano.
La sala lettura è affollata ma trovo comunque un buco dove posare i miei libri e il PC, apro la finestra  e un minuscolo spicchio d’aria fresca  mi risolleva il corpo e lo spirito quando un coglione, uno studentello di ingegneria che era lì solo per esaminare le passere  di Lettere, mi dice con la voce gonfiata dall’ormone e dai litri di red bull scolata durante le nottate passate sui libri e sui siti porno «potresti chiuderla per favore?».
Ho chiuso di colpo la finestra perché ho riconosciuto in lui un mio simile.
Per chi non lo sapesse sono anch’io un coglione, il sospetto l’ho sempre avuto ma la conferma è arrivata ieri mattina,per telefono, che è un po’ come ricevere il messaggio di avvenuta ricarica della Vodafone.
Noi coglioni siamo gente strana; a Natale mentre gli altri sono allegri e fanno shopping per le vie del centro, ci rinchiudiamo in una tristezza senza fine, a Capodanno siamo malinconici perché un altro anno è passato, in estate non andiamo al mare ma lavoriamo come asini, a Ferragosto non facciamo nessun falò sulla spiaggia, il primo maggio non partiamo, a pasquetta idem, il compleanno è un giorno come un altro,l’onomastico a malapena lo ricordiamo.
Ogni stagione ha il suo coglione oppure, come nel mio caso, c’è un coglione per ogni stagione.
Prendo i miei libri e cerco un altro tavolo dove studiare; fa ancora caldo, una goccia di sudore mi è scesa lungo la schiena e comincio a sentirmi nervoso.
L’unico posto libero  è accanto ad un ragazzo indiano che puzza di patatine alla paprika; spalanco la finestra e l’indiano mi sorride soddisfatto e felice come un bambino.
Mi stavo godendo la brezza dolce di aprile sulla pelle bagnata di sudore.
La puzza della paprika era solo un lontano ricordo.


martedì 12 aprile 2011

L'amore: quell'intero secondo che ti cambia la vita


Alberigo ha ragione cazzo: non ci s’improvvisa scrittori.
Per come la vedo io, chi scrive è un naufrago. Un sopravvissuto. Non c’è bisogno di andare all’Isola dei Famosi per diventarlo.
Basta ascoltare per un millesimo di secondo le urla dei vostri vicini di casa, ed ecco uno sciame di mosquitos in assetto di guerra che sparlano di voi e vi colpiscono alle spalle.
Tutte le persone sono isole. Abitarle danneggiandole il meno possibile è la nostra sfida. Basta provare a vivere quanto basta, e saper piangere quando serve. Non perdete occasione di soffrire. Vi farà bene e vi aiuterà a scoprire risorse che non pensavate di avere.
Come l’amore. Come il primo amore. Come l’amore, la scrittura, esige molta fantasia, una passione disperata, e un po’ di cuore.
Arrivati a quel punto, il cuore potrebbe addirittura mancarvi. Ma non vi preoccupate: e solo perche vi chiederà di morire o darle tutto.
La scrittura è nemica dell’apparire. Saper scrivere non significa pubblicare un articolo ogni tanto, ma sentire e ascoltare sempre. Se stessi e gli altri. Se si fa solo per ottenere un pollice alzato su Facebook, vi prego: non fatelo. Leggete piuttosto. L’unica cosa che è bene vi si rizzi è sempre qualcos’altro.
Per il resto penso che solo chi è innamorato possa scrivere. Solo chi si è confrontato almeno una volta con quella lussuriosa bestiaccia dell’amore, possa provare a farlo. Se non altro perché ha qualcosa da raccontare.
Ricordo ancora il mio primo vero amore, Quando la vidi prima la inventai. Poi la mia anima capellona amò anche la sua ombra. Ma non lo sapevo e quando lo seppi era già troppo tardi.
Avevo sedici anni. Lei era più grande di me. Era bionda, occhi azzurri e una leggera gobbetta sul naso. Ma non me ne importava nulla. Quel contrafforte nasale non mi sembrava proibitivo. Quegli occhi avrebbero potuto portarmi da tutte le parti. Andammo a vedere un Fiorentina – Lecce e fu bellissimo. Aveva un naso duro ma due occhi morbidissimi. Li seppe usar bene. Sapeva vedere cose che io non mi ero mai visto.
Fu lei a consigliarmi di prendere la penna in mano la prima volta. Diceva che avrei fatto felice la gente. Allora non ero un ragazzo facile, (non lo sono tuttora) e penso che se non ne fossi stato inconsapevolmente innamorato, non l’avrei mai ascoltata.
Perché l’amore è un autotreno in corsa e quando t’investe, non ci sono santi.
A me ha trovato il 6 novembre 1997. A febbraio dell’anno seguente, pubblicai il mio primo racconto. Perché l’amore è questo: una coperta troppo corta che ti scopre tutto e ti costringe a cambiare posizione continuamente. E’ un kamasutra spirituale pieno di pose assurde.
Ognuno di voi può vivere una giornata moscia come un supplì venuto male poi in un intero secondo prima che tramonti il sole, l’amore ti taglia la strada e con un solo sguardo ti travolge. Questo è l’amore; questa è la scrittura. Questa è stata la molla che mi ha spinto a scrivere.
Poi ho continuato. Perche i doni sono importanti. Non solo a Natale. Perciò se c’è l’hai, devi continuare. E se hai abbastanza amore dentro da non sapere che farne, devi buttarlo in ciò che scrivi e in quello che fai. Ma solo se c’è l’hai altrimenti le parole non vengono a trovarti.
A me, a quanto pare, mi trovano sempre. Almeno loro non hanno paura. Credo sia per quel miracolo d’amore che porto ancora addosso. Mi ci sono imbattuto senza saperlo, poi, dopo avermi spogliato di ogni altro orgoglio, si è chinato, e mi ha raccolto.
Prima di allora, ero un ectoplasma rigonfio di presunzione. Non sentivo nulla. E il cuore, affetto da un’eterna emorragia, aveva smesso di battere.
Ora quella persona non c’è più e sebbene sappia che nella mia vita non ci saranno altri miracoli di questo tipo, nei miei occhi c’è una luce, e nel cuore una musica che permette alla mia anima di danzare senza catene.
L’amore cauterizzandomi le ferite mi ha regalato la capacità di sentire, allargandomi il cuore a dismisura costituendo uno stato libero governato solo da me. Sembrava impossibile ma tra tante stupide eccezioni mi ha riconosciuto.
Ora pensando al futuro non so cosa mi aspetta, ma la musica continua a suonare e benché non sappia quanto mi resta da vivere, trafitto nell’incanto anche un solo giorno potrà ancora servire.

lunedì 11 aprile 2011

E così vorresti fare lo scrittore

Se non ti esplode dentro
a dispetto di tutto,
non farlo
a meno che non ti venga dritto
dal cuore e dalla mente e dalla bocca
e dalle viscere,
non farlo.

se devi startene seduto per ore
a fissare lo schermo del computer
o curvo sulla macchina da scrivere
alla ricerca delle parole,
non farlo.

se lo fai solo per soldi o per fama,
non farlo
se lo fai perché vuoi
delle donne nel letto,
non farlo.

Se devi startene lì a
scrivere e riscrivere,
non farlo.
se è già una fatica il solo pensiero di farlo,
non farlo.
se stai cercando di scrivere come qualcun altro,
lascia perdere.

se devi aspettare che ti esca come un ruggito,
allora aspetta pazientemente.
se non ti esce mai come un ruggito,
fai qualcos'altro
se prima devi leggerlo a tua moglie
o alla tua ragazza o al tuo ragazzo
o ai tuoi genitori o comunque a qualcuno,
non sei pronto.

non essere come tanti scrittori,
non essere come tutte quelle migliaia di
persone che si definiscono scrittori,
non essere monotono o noioso e
pretenzioso, non farti consumare dall'autocompiacimento

le biblioteche del mondo
hanno sbadigliato
fino ad addormentarsi per tipi come te
non aggiungerti a loro
non farlo
a meno che non ti esca
dall'anima come un razzo,
a meno che lo star fermo
non ti porti alla follia o
al suicidio o all'omicidio,
non farlo
a meno che il sole dentro di te stia
bruciandoti le viscere,
non farlo.
quando sarà veramente il momento,
e se sei predestinato,
si farà da sè e continuerà finchè tu morirai o morirà in te.

non c'è altro modo
e non c'è mai stato.

(Charles Bukowski)

domenica 10 aprile 2011

Non mi resta che accazzare





Se il Lonfo esiste io di sicuro lo conosco.

Me lo sento fin nelle ossa questo vento di inquietudine, precarietà e confusione.
Oggi avevo scritto un bel post sul tempo che non ritorna. E se questo è vero è altrettanto vero che quando cerco di andare avanti succede sempre qualcosa che mi arresta.
Oggi è stato un "elimina post" comparso da chissa dove e chissà come ad impedirmi di essere felice.
E ora di fronte all'ennesima sbernecchiatura del destino non mi resta che accazzare.
Di nuovo.
Non dovrei prendermela lo so, è la storia della mia vita.
Ma oggi, almeno oggi,avrei preferito fosse quella di qualcun altro.

Amica mia penso a te


Amica mia penso a te
Al tuo color di sole alla tua grazia
La casa è vuota da quando il mio raggio di sole
È andato a tuffarsi in mare
Se vedi i sommergibili
Di' loro che t'amo
Se le nubi s'addensano
Di' loro che t'adoro
Se la mareggiata infuria sugli scogli della riva
Di' agli scogli che sei la mia pietra preziosa
Se qualche granello di sabbia brilla tra i mille granelli
di sabbia della spiaggia
Digli che sei la sola gemma che amo
Quando vedrai il postino
Digli con quanta impazienza aspetto le tue lettere
Ti mando mille baci mille carezze
Che ti raggiungeranno come le parole raggiungono
l'antenna del telegrafo senza fili
Se vedi dei feriti
Digli che la mia sola ferita è quella che hai inferto
al mio cuore
Se a volte pensi pensa che il mio pensiero è sempre
con te
E che t'adoro.


(Guillaume Apolinaire)

sabato 9 aprile 2011

Un sabato strano

Strano sabato,
non c’è che dire; è solo il nove aprile ma il caldo ricorda quello di una giornata estiva.
I bambini gridano come matti rincorrendo la palla mentre i loro genitori siedono sulle panchine a consumare il sole come tante lucertole.
Dovrebbero legarli alle poltrone i loro figli, riempirli di patatine e playstation, farli diventare delle mongolfiere e poi mandarli sulla strada della morte prematura per diabete e colesterolo.
Invece no, perché nonostante il caldo fuori stagione, la puzza di sudore di alcune persone, i bambini continuano a giocare, a rincorrere quella palla, a farla sbattere ovunque: sui muri, sui vetri delle finestre, sulla mia auto.
La casa trema per le pallonate, cerco di chiudere gli occhi e rilassarmi ma il rumore del pallone sulla portiera della mia auto è più forte di qualunque tecnica di meditazione.
«BOOOM, BOOOOOM»
Non resisto più e mi affaccio al balcone cercando di essere il più cattivo e convincente possibile
« ma insomma bambini un po’ di rispetto per la mia macchina!».
Il più bastardo  e malefico di questo gruppetto di scalmanati, un figlio del demonio di nome Matteo, mi guarda con una faccia da culo e dopo cinque secondi esclama « valla a parcheggiare fuori,ciccione ».
Aveva ragione.
Agli occhi di quel ragazzino apparivo come un grassone quattrocchi buono a nulla, capace solo a mangiare, stravaccarmi sul divano, bere, ruttare, pisciare, cacare,scaccolarmi,bestemmiare.
Aveva davvero ragione.
Mi guardai la pancia pelosa e la trovai repellente,dovevo mettermi a dieta;avrei cominciato -però- da lunedì.
Non potevo rinunciare alle due porzioni di lasagne della domenica; peccare e pentirsi il giorno dopo sarebbe stata la scelta migliore,per tutti i cattolici e anche per chi come me, non crede o almeno ci prova.

giovedì 7 aprile 2011

Arazzi e Scazzi un anno dopo ( parte 2 )

Quando  Raffaello (Tasso ) un anno fa mi propose di aprire un blog ero alquanto scettico.Dopo la venuta sulla Terra del Dio feisbuk, non credevo più nella funzione informativa dello scrivere, del raccontare fatti quotidiani, del narrare episodi di vita vissuta: feisbuk aveva stravolto la mia vita come un terremoto, con il suo carico di link, foto, video e citazioni famose. Nonostante tutto però, seduti davanti ad un PC sgangherato offerto da quella che sembrava essere una associazione studentesca gestita da tamarri e mafiosi di terzo livello – quelli, per intenderci, della peggiore specie -  decidemmo di dare forma alle nostre paure,alle speranze,  ai sogni interrotti e a quei pochi che avevamo realizzato. Era nato il nostro diario personale dal nome insolito,Arazzi e scazzi; due modi diversi di vedere la vita e di descriverla, l’alfa e l’omega che si riunivano in un blog dove qualunque argomento è trattato in maniera doverosa ma non seriosa, un arazzo di Bayeux il mio amico e fratello Raffaello ( e scusate la rima), uno scazzo, un quadro di Pollock tutto macchie e pittura buttata alla rinfusa io.
Siamo cresciuti e maturati, non facciamo più gli errori di prima e da zero a quattromila contatti il passo è breve;in un anno molte cose cambiano, i miei capelli diventano sempre più bianchi, ho conosciuto la mia croce e delizia, ho stretto amicizie importanti, ho scoperto che l’inferno non è poi così lontano.
Non sono però un cercatore d’oro e non posso offrirvi  pepite ma solo sassi che sapranno colpirvi al cuore e alla testa.
E attenzione perché fanno male.

Arazzi e Scazzi un anno dopo (parte 1)



I compleanni sono come i prologhi teatrali: utili per confessioni pubbliche di peccati privati. Un anno fa ne ho commesso uno grandissimo. Ma che rifarei milioni di volte. E per esserne convinto e sentirmi un pò più figlio di Maria, ho deciso di peccare in compagnia. Con Alberigo (Timioni), e con tutti voi cari lettori / lettrici.
Oggi quel peccato è cresciuto.
Alle 12 e 00 infatti, ARAZZI E SCAZZI compie un anno di vita.
Voi direte: a chi importa? Beh a me. A noi. Me e il mio insostituibile pard, amico e fratello Alberigo Timioni. E, spero, a qualcuno di voi. M’illudo, infatti, che questi scarabocchi siano piaciuti a chi li ha letti. E possano piacere a chi ancora non li conosce.
Non sono, infatti, articoli di un quotidiano, legati all’attualità.
Sono brandelli di vita. Avanzi di tutto. Eiaculazioni mentali di due masochisti illetterati innamorati alla follia del grande romanzo della vita. Un romanzo a puntate che noi abbiamo deciso di farvi trangugiare in post.
Arazzi e Scazzi che due simpatiche canaglie diverse per costituzione fisica, ma uguali per vita vissuta, hanno composto e commesso (a volte patito), in questi ultimi dodici mesi.
Non tutti bellissimi (può essere), ma ognuno meritevole di uno sguardo (sono convinto).
Sono gli sguardi spesso a far la differenza. I nostri si sono fissati sulla vita, che a volte è complicata come un Cubo di Rubik e in altre circostanze è cosi bizzarra da sorprenderti. E’ la volete sapere una cosa? Io mi sono sorpreso.
Sorpreso di quanto questo blog sia diventato giorno dopo giorno, post dopo post, riflessione dopo riflessione, importante. Sorpreso di quanto abbiamo scritto. Sorpreso della facilità con cui una considerazione lasciava il posto ad un’altra, e tutte insieme raccontassero una storia e illustrassero un argomento. Sbalordito di quanto questo piccolo spazio ci abbia consentito di allargare il nostro cuore all’infinito permettendoci di individuare sempre qualche dettaglio o sfumatura degna di essere raccontata. Meravigliato che qualcuno di questi scarabocchi abbia potuto stimolare in voi qualche riflessione.
Ma forse non è il caso di sorprenderci. Dopotutto non esiste al mondo miglior sceneggiatore della VITA stessa. Noi abbiamo solo provato a raccontarla nella sua trama notoriamente geniale e perversa.
Forse non è del tutto strano che da un blog esca un ritratto del’Italia quotidiana. Se 158 post confezionano un librone enorme, 365 giorni fanno un anno e in quest’anno sono successe molte cose.
La nostra vita ha subìto una brusca accelerazione e uno scarto d’umore. In quest’anno sono cambiate le abitudini e le ossessioni, le curiosità e gli acquisti, gli umori e gli odori, i timori e l’autoindulgenza (entrambi in aumento), i conflitti d’interesse e i nomi dei partiti politici.
Il mondo è mutato, e l’Italia, con la sua complicata provincia, anche se ogni tanto se ne dimentica, fa parte del mondo.
Eppure non troverete in questo blog, riferimenti ai grandi avvenimenti di quest’ultimo anno. Per quello compratevi il Corriere della Sera o la Repubblica o il Sole 24 Ore.
Avete trovato (troverete), invece le conseguenze di quegli avvenimenti. Il fall – out personale, familiare, sociale e sentimentale di questi fatti (scusate l’espressione anglofona forse è fuori luogo, ma se non usassi un’espressione inglese di tanto in tanto che razza di italiano sarei?).
In questo blog, come in tutte le cose che scrivo ho scelto di concentrarmi sulla vita quotidiana, e analizzarla nei dettagli.
Non sono nato col compasso in mano. Ma nella mia testa e nel mio cuore c’è tutto il disordine umano.
Io ho solo provato a mettervi ordine.
Del resto bisogna sempre mettersi nei panni dei lettori.
Beh, io vi ho sempre immaginato (v’immagino), la sera tardi, stanchi morti, accoccolati sotto le coperte con il PC portatile sul letto e una tazza di tè in mano, oppure la mattina presto prima di correre a barricarvi in qualche ufficio o prima di zuccherarvi la vita in un bar. Non è facile. Lo zucchero è come l’amore: non c’è né mai abbastanza. E’ quello che c’è non basta a riempire il cuore di una persona sola figuriamoci di una popolazione intera.
In tutta questa penuria di saccarosio e sentimenti, ho cercato di offrirvi la solidità di un cibo speciale.
Cibo per i pensieri. Sono quelli che allargano il cuore e illuminano la vita. Cibo divertente, naturalmente: si digerisce meglio.
Le considerazioni che avrete letto, o leggerete, immagino le avrete fatte, le farete anche voi: io vorrei solo aiutarvi a fissarle.
Offrirvi materiale per una riflessione, occasioni per un sorriso, pretesti per un esame di coscienza, possibilità di una risata, munizioni per prendere in giro, mariti, fidanzate, amici/amiche, colleghi (che sono sempre complici, se non altro perche ci sopportano). E pure la vita se fosse necessario.
Ecco mi sono confessato. Ora l’assoluzione tocca a voi. Mi auguro che questo blog e gli altri post che seguiranno, vi divertano e vi facciano pensare al mondo, e al modo in cui viviamo. La vita, infatti, si nasconde nei dettagli, alcuni formidabili e preziosi.
Come i cercatori d’oro, noi li raccogliamo e ve li sottoponiamo. Mi raccomando aficionados di Arazzi e Scazzi: Fateci sapere se sono sassi o pepite.