Odio la domenica. Quasi quanto detesto il sabato.
Se il sabato è il giorno degli innamorati che si rivedono e delle loro patetiche dimostrazioni d’amore, la domenica è il giorno dei parenti che si rincontrano e siccome non hanno nulla da dirsi chinano il capo e pranzano.
Quanto mi fanno schifo i pranzi domenicali.
La vita di un uomo non può finire dentro un piatto di maccheroni e una fiorentina alla brace. Ma quando provo ad oppormi a questa vita così monotona, quando provo a spiegare che oltre il ragù c’è di più, ecco che mi arriva un rutto bestiale in faccia. Avrei preferito di gran lunga una fucilata credetemi.
Quando sono così depresso, provo a concentrarmi sui miei sogni. O meglio sulle cose per cui nonostante tutto, sono ancora qui. O meglio ancora sulle cose che vorrei fare prima di andarmene da qui
Sono tre essenzialmente.
1) Scrivere un libro decente.
2) Fare almeno sei figli (andrebbe bene anche il contrario però)…
3) Trovare almeno una persona (rigorosamente donna) che sia disponibile ad aiutarmi in tutto questo.
Ma quando sei costretto a vivere con una madre cardiopatica e isterica e una ciurma di fratelli e sorelle ormonalmente instabili, ogni sogno passa in secondo piano e io me ne scendo al terzo.
Lì si trova il mio sgabuzzino. Un posto magico dove per qualche ora ritorno il ragazzo che sogna tutto questo.
Ma oggi non ci sono potuto andare. Mia madre ha invitato a pranzo una persona. Dannazione. Se oggi ci fossero state le partite sono certo mi sarei potuto sottrarre a tutto questo. Ma le partite oggi non ci sono e la faccia da topo di Klaus Davi e la voce assurdamente infantile di Federica Panicucci non costituiscono affatto una valida alternativa.
Decido quindi di bloccare il mio istinto fuggitivo e resto lì in attesa. Del resto non sono Harrison Ford.
Sono solo un ragazzo come tanti magro ma pieno di sogni che non sa ancora bene dove andrà a finire.
Una cosa però la so:il libro un giorno lo scriverò (ne ho già molti nel cassetto), la ragazza in qualche modo la intuirò,(ne sono capace), ma un pranzo con tanto di invitati chissà quando mi ricapita.
Ne facevo molti quando ero piccolo dai miei nonni ed erano esperienze al limite del soprannaturale credetemi. Non ho mai conosciuto persone dallo stomaco così forte. Capaci di mangiare ininterrottamente per sei /sette ore di fila. Incredibile. Roba da Guinness dei primati.
Ma un tempo mangiare insieme era una festa alla portata di tutti. Oggi un passaggio obbligato di una faticosa giornata. Una cosa di cui molti di voi (lo so: vi vedo annuire da qui), farebbero volentieri a meno. La sosta ai box di una famiglia che non vede l’ora di disgregarsi di nuovo.
Il pranzo domenicale non è un vezzo delle classi alte o un rito mondano. È, dovrebbe essere, una piacevole occasione di confronto individuale e divertimento collettivo. L’unita d’Italia è passata anche attraverso questo forse. Ma oggi, 150 anni dopo, qualcosa sta cambiando. Alcune convenzioni e il rispetto di esse, stanno trasformando la cortesia dell’invito in un atto rischioso e ad alto tasso di pericolosità. Come gettarsi da una montagna a 300 metri d'altezza, senza paracadute. Uno sport estremo che non tutti vogliono praticare.
Neppure mia madre. L’ho capito osservando la cura maniacale con cui puliva oggi il soggiorno. Allucinante. Poi ho capito l’inghippo e mi sono rasserenato.
Cos’era successo? Diverse cose. La prima: il pranzo l’aveva organizzato per sdebitarsi. Mai cosa più inconcepibile. Quando i pranzi vengono organizzati per questo motivo diventano delle occasioni drammatiche. Il senso del dovere, misto al senso di colpa, rimane costantemente impresso sul volto del padrone di casa che ha invitato troppa gente in uno spazio troppo piccolo. Perché è vero, i pranzi domenicali non vanno più di moda ma nessuno se ne vuole rendere conto. Neanche l’ospite di oggi che fregandosene all’ennesima potenza delle ridotte dimensioni di casa ha avuto la brillante idea di invitare altre sette persone. Perfetto. Alla fine oggi siamo stati in dodici. Come gli apostoli. Io estraneo a tutto questo come un Ufo al luna park, oggi avrei avuto bisogno almeno di un Cristo al quale raccomandarmi. Tutto inutile. Non c’era nessuno per me. Come al solito del resto. Tante invece le cosce in tavola. Se fossero state quelle di Anna Falchi, avrei potuto anche rifletterci sopra. Erano di pollo e non mi interessavano affatto.
Non quanto il resto del pranzo che si è trasformato in una sorta di caccia al tesoro o meglio di caccia allo spazio. Uno solo anche minuscolo dove infilarsi e sedersi. O almeno provare a farlo. In pochissimi ci sono riusciti.
Secondo problema: i pranzi domenicali oggi, soprattutto quelli che si organizzano all’ultimo minuto, provocano nell’organizzatrice o comunque nel padrone di casa, una specie di ansia da prestazione non dissimile da quella che assale i maschi in circostanze più intime. Ma come in quelle circostanze anche in questa situazione ogni ansia è assolutamente ingiustificata. Come in quelle circostanze è bene non trascurare i particolari e fare attenzione ai preliminari, anche qui quel che conta è l’atmosfera e la magia che ognuno porta dentro di sé.
Gli invitati infatti, a meno che non siano agenti segreti in incognito, poliziotti in borghese o semplicemente dei pettegoli a caccia di notizie non vengono per mangiare ma per stare in compagnia. Buona,ristoratrice, delicata se piccola e raccolta tutta attorno al tavolo. Ma oggi non è stato così. Decisamente.
Torniamo quindi al punto di partenza.
Perché odio il pranzo della domenica? Perché può diventare stressante senza essere impegnativo, eccessivo senza eccitare, superfluo senza soddisfare, finto senza convincere e poi perché non si riesce mai ad imparare in fretta tutti i nomi degli invitati e anche nel caso si imparino non si riesce mai a chiamarli tutti per nome così da conoscere davvero la faccia che hanno; perche non permette di conversare senza dover urlare; perché nessuno potrà mai comportarsi bene in una situazione simile e tutte le raccomandazioni alla sobrietà e al buon gusto andranno a farsi benedire.
E’ probabile quindi costoro, si comportino in maniera incomprensibile; in qualche caso, addirittura sgradevole, (Non allarmatevi. Ho scritto in qualche caso).