giovedì 31 marzo 2011

Faccia da Emmental

Arrivo a mensa che ho più fame del solito ma il menu mi propina la solita schifezza: pasta scotta, fagiolini coltivati in qualche terreno contaminato, salsiccia unta e fritta due volte nello stesso olio, banana.
Con il mio bel vassoio carico di delizie mi siedo di fronte ad un ragazzo con gli occhiali che ho visto centinaia di volte in biblioteca. È timido come un coniglio e ha il viso butterato dall’acne,sembra una forma di Emmental su due gambe e con gli occhiali, avrei voglia di prendere il coltello, tagliarne un pezzo, schiaffarmelo su una fetta di pane , farlo sciogliere nel forno a 180 °C e gridare cotto e mangiato!!!
Lo guardo dritto in faccia e mentre ingoio una forchettata di fagiolini radioattivi gli chiedo senza troppa voglia «come va?».
L’emmental gigante ripone nel piatto la fetta di pizza e con una voce da scorreggia trattenuta mi dice «bbeene,mi hanno dato una ffeetta di ppizza frredda».
Ho pensato che mi trovavo davanti ad un altro fallito del cazzo come me; il mondo è pieno di falliti del cazzo e io sono bravo a trovarli, basta che faccio un giro all’università, nei bar,in biblioteca,nei cinema,sulle panchine del lungomare,nei pub. Li riconosco subito perché hanno tanta voglia di fare, tanti sogni ma poi non concludono mai niente e si ritrovano  a mangiare una fetta di pizza fredda in perfetta solitudine mentre il resto del mondo se la gode anche se il 2012 è alle porte.
I fagiolini e la salsiccia mi sono rimasti sullo stomaco, faccia da Emmental mi guarda sorridente «la pizza era ffredda ma il bbudino al ccioccolatto èè bbuono».
Mi rimetto il giubbino e regalo la mia banana a faccia da Emmental che mi ringrazia educatamente.
Esco dalla mensa che ho voglia di gridare e picchiare qualcuno ma poi mi calmo quando guardo  faccia da Emmental mangiare la banana a piccoli morsi,come un criceto,incurante di tutti e di nessuno,un monaco zen in mezzo a tutti gli scalmanati del mondo di oggi troppo presi dallo studio,dal lavoro,dai soldi o dal sesso.
Nonostante tutto,avevo compiuto una buona azione;il paradiso è lontano, ho ancora un lungo inferno da affrontare.

martedì 29 marzo 2011

Le assurde ragioni di una guerra


Oggi mia sorella mi ha fatto una domanda. Una di quelle domande che ti crocifiggono sulla sedia, e ti costringono a riflettere: "perchè l'Italia è entrata in guerra?".
E' orribile pensare che il linguaggio di una ragazzina debba nutrirsi anche così.
Tutto questo parlare di guerra, questa insopprimibile e tetra voglia di vedere morti ammazzati cadere sotto il fragore di bombe inique e malsane, questi atteggiamenti smargiassi e spacconi dimostrano che all'Italia la sua storia non basta più.
Solo così si può spiegare l'intervento italiano in Libia.
Come può una Nazione governata da uomini che non sanno neppure un grammo della Sua immortale storia pensare di influenzare in qualche modo, lo svolgimento convulso e estenuante di una guerra?
L'unica risposta che mi so dare è questa:l'Italia subisce troppo il suo passato per concentrarsi bene sul suo futuro.
Siamo stati una Nazione culturamente generosa. Poi per pigrizia e mancanza d'idee ci siamo appiattiti e raggomitolati su noi stessi come solo i lombrichi sanno fare e abbiamo smesso di crescere. Per cui viviamo costantemente con gli occhi nel passato e quando abbiamo occasione di rinverdirlo, non ci facciamo pregare.
Questo comportamento ha dei risvolti negativi non solo sui popoli, ma anche e soprattutto sugli individui.
La guerra infatti, non è solo dei governi che la fanno e la promuovuono, e anche della gente.
Quella che si alza al mattino presto col solo obbiettivo di tornare a casa la sera, quella che accende i termosifoni per riscaldare le pareti di una casa costantemente umida, quella che lavora in qualsiasi condizione atmosferica, quella che non si ferma mai, quella che non getta via le molliche, quella sempre in bilico tra un sì o un no.
A loro non può bastare un ciclo di trasmissioni di Matrix e Porta a Porta.
Nessun incidente probatorio potrà spiegare le ragioni di una guerra assurda.
Due ore non bastano a fare la pace. Figuriamoci a raccontare una guerra.
Per cui si potrà (lo stanno gia facendo per la verità), solo ragionare per idee precostituite, astrazioni preconfezionate, per ragioni che devono necessariamente e senza alcun dubbio trionfare.
Tutto bellissimo, straordinario, eccezionale. Magari Gheddafi si ricorda che un tempo eravamo amici e con uno stuolo di passere nostrane ci fa vincere. Magari poi l'Europa che conta ci fa un regalino importante e ci aiuta a ristrutturare qualche antico palazzo in decomposizione. Magari ci comportiamo bene e riguadagnamo qualche posizione nella classifica di gradimento del resto d'Europa.
Tutto regolare ma l'uomo dov'è? Cos'è? Cosa diventerà?
Non lo so.
Quello che so e che gli sbarchi d'immigrati libici a Lampedusa aumentano ogni giorno di più, e quando ogni metro quadrato di questa splendida città sarà occupato la situazione diventerà insostenibile e sarà inevitabilmente guerra civile.
Torneremo così senza volerlo, per induzione governativa e mancanza di dialogo, al tempo in cui nel nome di una superiorità solo presunta, si commetteva ogni sorta di crimine. e la vita altrui diventerà il più criminoso dei delitti e il più sacrilego dei peccati.
Sarà dunque questa una nuova guerra religiosa.
Con una differenza tuttavia ; in Italia non siamo affatto religiosi.
(Iene docet).

domenica 27 marzo 2011

Splendessero lanterne

Splendessero lanterne, il sacro volto,
Preso in un ottagono d’insolita luce,
Avvizzirebbe, e il giovane amoroso
Esiterebbe, prima di perdere la grazia.
I lineamenti, nel loro buio segreto,
Sono di carne, ma fate entrare il falso giorno
E dalle labbra le cadrà stinto pigmento,
La tela della mummia mostrerà un antico seno.

Mi fu detto: ragiona con il cuore;
Ma il cuore, come la testa, è un’inutile guida.
Mi fu detto: ragiona con il polso;
Ma, quando affretta, àltero il passo delle azioni
Finché il tetto ed i campi si livellano, uguali,
Così rapido fuggo, sfidando il tempo, calmo gentiluomo
Che dimena la barba al vento egiziano.

Ho udito molti anni di parole, e molti anni
Dovrebbero portare un mutamento.

La palla che lanciai giocando nel parco
Non è ancora scesa al suolo.

(Dylan Thomas )

Odio il pranzo della domenica


Odio la domenica. Quasi quanto detesto il sabato.
Se il sabato è il giorno degli innamorati che si rivedono e delle loro patetiche dimostrazioni d’amore, la domenica è il giorno dei parenti che si rincontrano e siccome non hanno nulla da dirsi chinano il capo e pranzano.
Quanto mi fanno schifo i pranzi domenicali.
La vita di un uomo non può finire dentro un piatto di maccheroni e una fiorentina alla brace. Ma quando provo ad oppormi a questa vita così monotona, quando provo a spiegare che oltre il ragù c’è di più, ecco che mi arriva un rutto bestiale in faccia. Avrei preferito di gran lunga una fucilata credetemi.
Quando sono così depresso, provo a concentrarmi sui miei sogni. O meglio sulle cose per cui nonostante tutto, sono ancora qui. O meglio ancora sulle cose che vorrei fare prima di andarmene da qui
Sono tre essenzialmente.
1) Scrivere un libro decente.
2) Fare almeno sei figli (andrebbe bene anche il contrario però)…
3) Trovare almeno una persona (rigorosamente donna) che sia disponibile ad aiutarmi in tutto questo.


Ma quando sei costretto a vivere con una madre cardiopatica e isterica e una ciurma di fratelli e sorelle ormonalmente instabili, ogni sogno passa in secondo piano e io me ne scendo al terzo.
Lì si trova il mio sgabuzzino. Un posto magico dove per qualche ora ritorno il ragazzo che sogna tutto questo.
Ma oggi non ci sono potuto andare. Mia madre ha invitato a pranzo una persona. Dannazione. Se oggi ci fossero state le partite sono certo mi sarei potuto sottrarre a tutto questo. Ma le partite oggi non ci sono e la faccia da topo di Klaus Davi e la voce assurdamente infantile di Federica Panicucci non costituiscono affatto una valida alternativa.
Decido quindi di bloccare il mio istinto fuggitivo e resto lì in attesa. Del resto non sono Harrison Ford.
Sono solo un ragazzo come tanti magro ma pieno di sogni che non sa ancora bene dove andrà a finire.
Una cosa però la so:il libro un giorno lo scriverò (ne ho già molti nel cassetto), la ragazza in qualche modo la intuirò,(ne sono capace), ma un pranzo con tanto di invitati chissà quando mi ricapita.
Ne facevo molti quando ero piccolo dai miei nonni ed erano esperienze al limite del soprannaturale credetemi. Non ho mai conosciuto persone dallo stomaco così forte. Capaci di mangiare ininterrottamente per sei /sette ore di fila. Incredibile. Roba da Guinness dei primati.
Ma un tempo mangiare insieme era una festa alla portata di tutti. Oggi un passaggio obbligato di una faticosa giornata. Una cosa di cui molti di voi (lo so: vi vedo annuire da qui), farebbero volentieri a meno. La sosta ai box di una famiglia che non vede l’ora di disgregarsi di nuovo.
Il pranzo domenicale non è un vezzo delle classi alte o un rito mondano. È, dovrebbe essere, una piacevole occasione di confronto individuale e divertimento collettivo. L’unita d’Italia è passata anche attraverso questo forse. Ma oggi, 150 anni dopo, qualcosa sta cambiando. Alcune convenzioni e il rispetto di esse, stanno trasformando la cortesia dell’invito in un atto rischioso e ad alto tasso di pericolosità. Come gettarsi da una montagna a 300 metri d'altezza, senza paracadute. Uno sport estremo che non tutti vogliono praticare.
Neppure mia madre. L’ho capito osservando la cura maniacale con cui puliva oggi il soggiorno. Allucinante. Poi ho capito l’inghippo e mi sono rasserenato.
Cos’era successo? Diverse cose. La prima: il pranzo l’aveva organizzato per sdebitarsi. Mai cosa più inconcepibile. Quando i pranzi vengono organizzati per questo motivo diventano delle occasioni drammatiche. Il senso del dovere, misto al senso di colpa, rimane costantemente impresso sul volto del padrone di casa che ha invitato troppa gente in uno spazio troppo piccolo. Perché è vero, i pranzi domenicali non vanno più di moda ma nessuno se ne vuole rendere conto. Neanche l’ospite di oggi che fregandosene all’ennesima potenza delle ridotte dimensioni di casa ha avuto la brillante idea di invitare altre sette persone. Perfetto. Alla fine oggi siamo stati in dodici. Come gli apostoli. Io estraneo a tutto questo come un Ufo al luna park, oggi avrei avuto bisogno almeno di un Cristo al quale raccomandarmi. Tutto inutile. Non c’era nessuno per me. Come al solito del resto. Tante invece le cosce in tavola. Se fossero state quelle di Anna Falchi, avrei potuto anche rifletterci sopra. Erano di pollo e non mi interessavano affatto.
Non quanto il resto del pranzo che si è trasformato in una sorta di caccia al tesoro o meglio di caccia allo spazio. Uno solo anche minuscolo dove infilarsi e sedersi. O almeno provare a farlo. In pochissimi ci sono riusciti.
Secondo problema: i pranzi domenicali oggi, soprattutto quelli che si organizzano all’ultimo minuto, provocano nell’organizzatrice o comunque nel padrone di casa, una specie di ansia da prestazione non dissimile da quella che assale i maschi in circostanze più intime. Ma come in quelle circostanze anche in questa situazione ogni ansia è assolutamente ingiustificata. Come in quelle circostanze è bene non trascurare i particolari e fare attenzione ai preliminari, anche qui quel che conta è l’atmosfera e la magia che ognuno porta dentro di sé.
Gli invitati infatti, a meno che non siano agenti segreti in incognito, poliziotti in borghese o semplicemente dei pettegoli a caccia di notizie non vengono per mangiare ma per stare in compagnia. Buona,ristoratrice, delicata se piccola e raccolta tutta attorno al tavolo. Ma oggi non è stato così. Decisamente.
Torniamo quindi al punto di partenza.
Perché odio il pranzo della domenica? Perché può diventare stressante senza essere impegnativo, eccessivo senza eccitare, superfluo senza soddisfare, finto senza convincere e poi perché non si riesce mai ad imparare in fretta tutti i nomi degli invitati e anche nel caso si imparino non si riesce mai a chiamarli tutti per nome così da conoscere davvero la faccia che hanno; perche non permette di conversare senza dover urlare; perché nessuno potrà mai comportarsi bene in una situazione simile e tutte le raccomandazioni alla sobrietà e al buon gusto andranno a farsi benedire.
E’ probabile quindi costoro, si comportino in maniera incomprensibile; in qualche caso, addirittura sgradevole, (Non allarmatevi. Ho scritto in qualche caso).

sabato 26 marzo 2011

Succo d'arancia

Stasera proprio non ce la faccio, nemmeno il mio Andrés Segovia riesce a calmarmi, a darmi quel po’ di pace che cerco; mi affaccio alla finestra e guardo il mare ma mi viene quasi da rimettere,è più forte di me.
Scatarro forte e il muco giallo-verde si deposita sulla macchina del mio vicino,se quel rottinculo vuole litigare è la giornata adatta;mi accendo una sigaretta e aspiro forte trattenendo il fumo il più a lungo possibile nei polmoni, poi lo caccio e guardo la nuvoletta bianca dissolversi nell’aria fredda della sera.
Mia madre grida con mia sorella, mia sorella grida col fidanzato che mi guarda come un agnello prima di essere macellato, prendo le chiavi della macchina ed esco.
Giro tra le strade buie e deserte di questo paese di falliti dove il massimo della felicità è avere una BMW e pagarne le rate fino alla morte, dove uno spazzino diventa filosofo e la politica diventa unica ragione di vita.
Mi fermo  davanti ad un pub, un misero ritrovo di brufolosi e puttane mestruate e mi accendo un’altra sigaretta.
Ordino un succo d’arancia e il coglione al bancone mi guarda divertito,era abituato a spillare birre non a stappare succhi di frutta.
Bevo e do un’occhiata in giro,i ragazzi il sabato sera sono strani,sono tutti belli nei loro vestiti firmati,nelle loro chiacchiere inutili,nei loro movimenti ritmici; poi li rivedi il giorno dopo, conosci le loro famiglie,il loro conto in banca e ti accorgi che i soldi non ti danno la felicità ma ti fanno passare per quello che non sei.
Ritorno a casa che sono le dieci, mia madre era sul divano a guardare uno stupido programma televisivo,vado in camera e mi infilo sotto le coperte mentre la radio suonava la terza sinfonia di Beethoven e il succo d’arancia mi lasciava in bocca un sapore amaro che non avrei mai più dimenticato.

Donna

Prega.
L'altare che ti lascio
è la pietra
la goccia
il verso
la bestemmia
il sudore di chi fatica
il sudore di chi muore
Prega
le ginocchia
siano il cielo
e le mani
mani congiunte
ora tremanti
ora distese
ora rabbia
fatta carne.
Prega
ch'io ti veda
nel nulla
e che tu mi sia
testimone e santa
dea e follia.
La parola fine non esiste.
Io non esisto
tutto non esiste
ma nell'invenzione
procurati
uno specchio
che non sia di dolore e guarda
la tua immagine
come se fossi io.
Io
tuo figlio
una tua creatura
un profumo
un vetro spezzato
un'arsura
una notte d'amore
una campana a festa
una luce viola
una fucsia
una mano nei capelli
una canzone.
Prega
e risorgi
ogni qualvolta
ride un bimbo
e un gesto umile
ti sbarra la strada.
Prega,
prega,
prega
ch'io ti ami ancora
oltre l'impossibile
perchè io sono l'impossibile
e tu lo sai
lo sa la terra
e l'energia eterna
e l'immutabile
e la voragine di buio.
Tu mi hai generato
nella miscela 
delle mie arterie
scorre l'aria
del tuo respiro
dei tuoi dubbi
dei tuoi entusiasmi
del tuo terrore
del tuo ansare.
Prega
prega Dio
gli Dei
il tuo vicino
l'uomo dello spazio
la folla
il cieco
e il satellite
lo zero assoluto
il calore di un bacio
d'amore
o di morte.
Prega
la medicina la magia
il possibile
e l'assurdo
la cellula
e la montagna
il calice
e la mano.
Prega,
prega
ch'io possa dirti
per l'ultima volta
e per mille volte
che pagine bianche
valgono più
di un mio rigo
e che la paura
è come una sporcizia
che l'ora X
esiste per i pavidi
che è vero
e che falso
che io sono un pazzo
o un duro
che io sono saggio
o malato
eterno o merda.
Prega
perchè pregare
è vivere
è chiedere
è amare
Prega
la mia ossessione
la mia sete di vita
la mia antica ombra
la mia rovina
il mio futuro gioire.
Poi
vattene 
fuggi
allontanati
sparisci
dissolviti
annullati.
Porterò di te
madre e matrigna
poesia e lamento
la traccia finale.
Non tre
ma tremila 
furono i chiodi
nelle mie carni
e Lui aveva donne
ai suoi piedi
io camici bianchi
Lui soldati gretti
io assassini colti
Lui lo sputo
io il farmaco.
Io
che amavo
ed amo tutto ciò
che è  ed era
al femminile:
anche la Morte.
Prega
che questo mio ultimo
canto ti sia amico,
amante in sogno,
fratello in discorso,
compagno in lotta
come fui io per te
e soltanto per te
che sei donna
una
e tante.
Prega
te ne supplico.
Cosa lo sai
come anche
perchè pure
a qual fine
lo pensano tutti.
Prega
che sia un urlo
o un silenzio greve.
Non 
ti chiedo altro
e ti chiedo troppo.
Io che malgrado tutto
ero vivo
il giorno
che iniziarono
ad uccidermi
spezzando il salvadanaio
che avevo sul collo
e poi il resto.
Ciao
e mi dimenticavo di rammentarti:
prega.
E' la vendetta
o l'atto d'amore
che ti chiedo
per chi mi ha
torturato
per chi mi
amerà
nel ricordo
di qualche giorno
o forse di qualche ora
o forse di un mese.
Non di più.
Prega
prega
prega
Io 
non posso
non voglio
non credo.

Io
io
anzi:
ex io.

(Riccardo Mannerini )

venerdì 25 marzo 2011

Tutti i miei sbagli

Stamattina il sole è caldo e forte, i venti gradi si sentono tutti nell’aria di marzo; nonostante questo ho bisogno della sciarpa per riscaldarmi,per sentire addosso un po’ di calore.
Il tizio al bar mi guarda e sorride mentre mi prepara il caffè, è sempre così gentile,forse è il suo modo di vendersi o forse no ma comunque funziona perché per dieci secondi dimentico i miei problemi, cerco di non pensare a tutti i miei sbagli.
Sbagliare è il mio sport preferito,  mi appartiene, è nel mio dna;forse ho sbagliato a nascere ma ormai – lasciatemelo dire -  è troppo tardi.
Non ho sbagliato però ad amare una ragazza dal cuore di pietra ma fragile come il vetro di murano,enigmatica come la sfinge ,bella come la Dama con l’ermellino leonardiana.
Esco dal bar che il sole batte davvero forte e sono costretto a togliermi la sciarpa; una ragazza mi chiede se ho l’accendino e inavvertitamente mi sfiora la mano causandomi un brivido che non provavo da tanto tempo.
Guardo in alto verso il cielo azzurro e sento di nuovo freddo; mi rimetto la sciarpa avviandomi a passi lenti verso la biblioteca.
Avevo una tesi da scrivere. 

martedì 22 marzo 2011

Un legame indissolubile


Cara V.
La vita ci diede appuntamento su un aautobus diretto a Matera.
Pioveva forte e il fango di Metaponto ci aveva paralizzati impedendoci quasi di camminare.
Ti incontrai così e quella situazione apocalittica causò una delle mie risate cicloniche. Una di quelle che fanno girare tutti appena la sentono.
Ti girasti anche tu che stavi seduta sulla sponda destra dell'autobus insieme alla tua inseparabile amica M.
Fu uno sguardo. Mi bastò per capire che eravamo abbastanza incompatibili per essere naturalmente affini. Tanto da essere fratelli. Separati alla nascita. Comunque ritrovati nella vita.
Non so quanto potrò starti accanto. Chi nasce con un difetto di sistema non ha tempi. So che è stato bello incontrarti. Vedere la tua anima affrontare le difficolta della vita, superarle e raggiungere traguardi importanti.
Nuovi sono alle porte. Altri ne raggiungerai. Ne sono certo.
Sono felice d'averti incontrato.
Individuai la tua anima vedendola concedersi senza riserve all'anonimato di chi osserva senza far troppo chiasso le anomalie della vita. Pregio non da poco,circostanza che caratterizza i veri fuoriclasse, quelli che la partita con la vita se la giocano per davvero e poi la vincono.
La scrittura è stato il nostro collante. Scrivendoti nel corso di questi mesi, ho alimentato il tuo cuore del suo alimento essenziale: la Scrittura.
Il nostro incontro definì la fine della mia carriera da viaggiatore solitario nelle lande selvagge della vita e la consacrazione di un'amicizia eccelsa.

Non voglio darti consigli; non ne sono capace. Ma qualcosa te la dico comunque. Tieni sempre aperto il cuore e non aver paura ogni tanto di prenderti dei momenti per te stessa. Solo per te.
Quando avrai dei figli non riempirli di cose materiali: insegna loro il rispetto per gli altri e l'amore per la letteratura.
Per quanto mi riguarda sono contento d'averti conosciuto.
Per arrivare a te e trovare la forza di parlarti di me e della mia vita sono partito da un'isola che c'è che non c'è.
Mi troverai lì se vuoi.
Su quella terra dove i gabbiani rincorrono gli aquiloni, i sogni danzano leggeri sulle albe ancorate al centro del cuore. Non ho dovuto ricoprire distanze per trovare quell'isola: era dentro di te.
Grazie per questi due anni.
Grazie per aver concimato con i tuoi semi la mia anima dove il raccolto è diventato Sole.
Con rinnovato affetto
Io.

lunedì 21 marzo 2011

La primavera è Topanga Lawrence






La primavera mi ricorda Topanga Lawrence. Vi chiederete chi sia. Semplice:il sogno erotico della mia adolescenza.
Con quel suo volto paradisiaco incorniciato in quei capelli da hyppy pareva la Primavera di Botticelli.
Ogni volta che la vedevo in tv il mio cuore battuto da un precoce inverno, si risvegliava a nuova vita e prendeva a correre all'impazzata.
Sì: l'avrei inseguita tra fiumi impetuosi, pampini selvaggi, viti contorte e sbattuta come un uovo ubriacato di marsala.

Sono sempre stato una schiappa in disegno ma ogni qualvolta compariva sullo schermo prendevo le matite e cominciavo a disegnarla. Ovviamente non ci riuscivo mai.
Ma come un amante respinto, cocciuto e testardo, ricominciavo daccapo. Mi illudevo così di catturare il segreto della sua bellezza.
Ogni pomeriggio mi agghindavo tutto come un damerino dell'ottocento per fare di quella silhouette la mia sposa. Ma i suoi sguardi così chiari e profondi non erano per me per cui sbarcai presto nell'illusione di sentirmi un cretino.
Era chiaro che quel tumulto a colori nascondeva ben altre tempeste, ma allora non me ne rendevo conto per cui approfittai dell'occasione per piangere tutte le lacrime del mondo soddisfacendo tutta la mia fame di tristezza.
Molte primavere son trascorse da quei momenti, eppure ogni solstizio di primavera, mi ricordo quella bellezza virginea e ineffabile che succhiava come un parassita ogni mia energia alleviando la fatica della mia vita.
Topanga Lawrewnce.
Il mio sogno proibito, uno schizzo involontario, una guerra nei pantaloni. Una bandiera bianca issata sulla mia giovinezza.
Amen e così sia.
Buona primavera a tutti!!!

Oroscopo

Il mio oroscopo per questa settimana
non promette nulla di buono,
amore soldi e lavoro
vanno a puttane
e i pianeti del cielo
sono tutti contro di me:
saturno ce l’ha con me
mercurio ce l’ha con me
giove ce l’ha con me
venere ce l’ha con me.
non so che cosa fare
se non stare a casa
e aspettare che tutto passi,
come sempre
ancora una volta.

domenica 20 marzo 2011

L'invasione dei Motoristi



Marzo è pazzo. Lo dice la saggezza popolare lo conferma la vita quotidiana.
Se una rondine non fa primavera, uno sciame di uomini rotanti indicano una tendenza e raccontano una passione
Tra le tipologie umane più interessanti è degne di nota, vi è il Motorista. Tipo curioso quest’ultimo, l’unico sportivo che sente odore di benzina in televisione. Il Motorista ama silenziosamente gli sport che fanno rumore: Formula 1 e moto, kart e acrobazie aeree. I pistoni lo affascinano più dei muscoli; davanti alla velocità di un centometrista, pensa a quella della McLaren. Il Motorista è uno sportivo informato.
A differenza d’altri appassionati, ragiona per numeri e statistiche, record e classifiche. Quando i dati si abbinano a una forte personalità (un Valentino Rossi, un Michelino Schumacher), il Motorista va in estasi. Ma è un’estasi irritabile. Quando il Motorista è vicino all’orgasmo, ecco che spuntano come le viole a primavera, le bande dei profani, gente che scopre uno sport quando c’è di mezzo un campione e lo abbandona appena non c’è più. Il Motorista questo, non lo sopporta. Lo so, l’ho provato a mie spese. A nome di tutti i profani- gente che fatica a trovare poesia nel rumore- chiedo comprensione. Appassionarsi a un campione (o a una rivalità) è un tentativo di penetrare un mondo complicato. Non so se Motorista si nasce o si diventa. Non posso saperlo non ho la macchina. Ma, se si diventa, si diventa molto presto. Ricordo che, da bambino, avevo amici che compravano piste e autostrade varie, e amici che giocavano con le figurine. Io stavo con questi ultimi. Le macchinine che correvano in tondo mi sembravano vagamente noiose, ma ero certo che da grande avrei cambiato idea. Appena compiuti i fatidici 18 anni avrei comprato una 112 bianca con capottina rossa e sarei stato un uomo felice. Non è accaduto. Sono diventato grande, la 112 bianca con capottina rossa non l’ho comprata e le automobili che girano in tondo continuano a sembrarmi un po’ noiose. Forse per questo i Motoristi mi affascinano: osservandoli, vorrei carpire il segreto della loro passione.
Prendiamo le motociclette. Mi piacciono quelli che coperti di cuoio dalla testa ai piedi sfrecciano felici verso il tramonto( l’ho fatto anch’io da bambino col triciclo accumulando romantiche escoriazioni. Poi per la felicità di mia madre ho smesso). M’interessano quelli che guardano una Ducati come se fosse una ragazza bionda, e poi strapazzano una ragazza bionda mettendola su una Ducati (rigorosamente sotto la pioggia please ). M’incuriosiscono quelli che durante i Gran Premi in tv recitano i parziali dei tempi sul giro come fossero sonetti del Petrarca. Ammiro quelli che sistemano le vecchie moto, con paste e affetto speciali. Ma non c’è dubbio: non sono dei loro. E i Motoristi miei amici lo sanno. Quando parlano con me, assumono un tono didattico. Anzi evangelico. Ragazzi, che fastidio! Devono convincermi della poesia di un percorso misto, della canzone di un motore, del fascino di un pneumatico.
E quando io dico di vedere solo curve, rumore e gomma, sospirano affranti.
Nel paesino, dove abito, conosco un Motorista, che chiamerò Mister O. Classe 1965 e nessuna voglia di scendere dalla sua amata motocicletta. Ha sempre guidato auto veloci, si alza all’alba per vedere le corse, e appena sente un rumore equiparabile al rombo di un motore, le sue orecchie si rizzano all’inverosimile ansiose di identificarlo. Mister O. è competente. Una volta, era domenica, di ritorno da una faticosa trasferta in un posto imprecisato della costa tirrenica, mi fece vedere un pezzo da lui scritto anni prima su un mensile allora molto “tirato” in città. Provai a leggerlo. Smisi quasi subito. Ragazzi che linguaggio. Era tecnicissimo! Fin troppo. Non mi sono mai piaciute le cose troppo tecniche figuriamoci il linguaggio poi .Puah! Ma non mi sono perso d’animo. Con lui ho provato a ragionare di sport che non fanno baccano: niente da fare. Il calcio, se ho capito bene, però potrebbe interessargli. Ma i calciatori dovrebbero andare a gasolio.
Parlando con Mister O.- anzi ascoltandolo: perché non è facile interromperlo mentre spiega le virtù di un nuovo carburante- ho capito una cosa. Non riuscirò mai a diventare un appassionato degli sport a motore: della Ferrari mi piace soprattutto il colore (e Massa invece con quel suo cronico rifiuto per la vittoria non mi piace proprio e basta).
Mi piacciono, però, i Motoristi.
Mi appassionano quando si surriscaldano, m’intrigano quando cambiano marcia mentale, mi divertono se vanno fuori giri. Basta! Ho deciso. Farò così: mentre guardano le macchine, io guarderò loro.
Magari risparmio sul canone, ma mi diverto da matti lo stesso.

sabato 19 marzo 2011

I tanti papà dentro un papà




Oggi i papà sono una categoria a rischio. Schiacciati dalla parità sessuale e da donne sempre più ingombranti, reclamano spazio. Se dedicargli un giorno è riduttivo figuriamoci un post.
Ci provo lo stesso però affidandomi a poche ma importanti certezze.
La scarsa avvenenza garantisce invisibilità e consente scoperte interessanti. Le scoperte più interessanti io le ho fatte allo stadio, dove sono tornato dopo un po’ di tempo d’assenza. No. Non sono un procuratore sportivo. Non sto cercando di sbolognarvi un presunto campione. Quelli poi, non sono sempre in campo. Le vere star della domenica si trovano sulle tribune. Qui risiede una fauna di personaggi interessantissimi. Non sono sempre sostenitori anzi; spesso non sono nemmeno tifosi. Sono fan certo ma non di tutta la squadra bensì di un solo preciso elemento: il figlio. Potrei parlarvi di tutti loro senza distinzione d’età, di sesso ed estrazione sociale ma poiché oggi è la festa del papà (auguri a tutti voi), parlerò dei papà e le loro incredibili e inaspettate mutazioni.Tranquilli:’uranio impoverito e compagnia bella non c’entrano nulla Basta un pallone, una partita di calcio tra bambini e un allenatore più o meno compiacente nei riguardi dell’amato figliolo, è il gioco è fatto. Dalla combinazione di questi fattori emergono uomini nuovi che per comodità e facilità d’identificazione, accosterò a personaggi riconosciuti e riconoscibili.
Papà raulbovano. È semplicemente bellissimo. Le giovani mamme dei compagni di gioco del figlio, al suo arrivo, appaiono ringalluzzite. Ma il papà raulbovano non se ne accorge. Lui si occupa della partita del figlio cui cerca di offrire suggerimenti attraverso impercettibili movimenti delle sopracciglia. Ogni tanto fuma, anche se controvoglia. Nell’intervallo, si avvicina al piccolo, e gli sussurra qualcosa. Prima della partita lo si vede spesso confabulare con un delfino. I due parlano a lungo. Nessuno sa cosa si dicano.
Genitore Mulino Bianco. Il Genitore Mulino Bianco è il vero capofamiglia. La sua specialità è organizzare merende per la squadra, il suo divertimento è offrire Saccottini per tutti. Mette sempre l’auto a disposizione per le trasferte, e nel viaggio racconta simpatiche barzellette. Il suo problema qual è? La simpatia riduce l’autorità. Spesso i bambini più grandi vogliono fare di testa propria è lui non riesce a impedirlo. Se protesta quelli urlano “Lasciaci in pace! Anche i Lego fanno quello che vogliono!
Genitore Oronzocaniano: lui non si vede tantissimo in casa. In compenso, si sacrifica tanto e lavora moltissimo. E allo stadio si trasforma. Qui il genitore Oronzocaniano indefesso operaio e rispettoso marito nella vita, s’incavola, grida, sbuffa, ulula come un coyote e salta come un canguro. Il Genitore Oronzocaniano è il mito dello stadio. La sua passione è pari alla sua competenza. Quando il figlio sbaglia un gol fatto, tira accidenti alla sua mamma (dimenticando che è sua moglie). Qualcuno pensa che il pubblico venga per vedere la squadra che gioca. In effetti, viene per ascoltare l’Oronzocaniano che urla.
Padre Frankenstein. Bravo padre di famiglia segue le partite con aria accigliata, quasi cupa. Nessuno sa cos’abbia nella testa. Ma è evidente che ha ragionato a lungo sulla posizione del figlio. Nei suoi occhi vuoti passano veloci come shuttle pensieri misteriosi. Non parla, sibila e fa cenni con la testa. Tre in avanti vogliono dire “Bella partita figlio mio”. Tre indietro. Non ci siamo. Doppio allenamento questa settimana”.
Babbo Odifreddi. E’ un teorico. Schiacciato contro la rete, osserva spiritato la squadra del figlio e disegna schemi tattici che tenta di rivendere nell’intervallo all’allenatore il quale li ignora regolarmente. Nella vita il Babbo Odifreddi è un matematico o un rinomato libero professionista con una spiccata inclinazione scentifica. Gasato dai successi professionali pensa di trasferire la complessità di questa materia nella vita del figlio che non lo capisce e gli parla a stento. Nel difficile tentativo di riconquistare la sua fiducia, il Babbo Odifreddi invade la vita del figlio che lo sbatte fuori. Forse non lo meritano pensa. Eppoi il difensore centrale è un somaro di nome Lorenzo che è convinto il 4 – 2 – 3 - 1 sia un numero di un membro della Banda Bassotti.
Babbo Mourinho. All’inizio era mite. Persino simpatico. Da quando la squadra del figlio vince, però è cambiato. I capelli dapprima ordinatissimi sono diventati un rebus di difficile soluzione. Ad ogni nuova vittoria appare più suscettibile. È tranquillo solo quando i suoi bambini vincono e stravincono il derby di quartiere. In caso contrario urla e polemizza. Contro tutto e tutti. Arbitri e avversari. Persino le passanti sottocasa devono stare attente. A non dire poi delle mamme dei compagni di squadra del figlio. E’ capace di sgridarle accusandole di prostituzione intellettuale minacciandole di sequestrare la merenda ai propri figli se questi non passano la palla al suo pargolo prediletto. I piccoli lo sanno e nascondono accuratamente il Kinder fetta al latte in fondo alla borsa. Campionato, Coppa Italia e Coppa Campioni possono bastare.
Il panino con la coppa giammai.