domenica 28 gennaio 2018

Gianluigi Buffon : 40 anni d'amore puro

Gianluigi Buffon è amore puro. Un tronco d’uomo braccante in presa quotidianità obese da chili di caotico carcame. Una leva  gentile capace di  trascinare anonime vite nel cuore pulsante della leggenda perpetua.  L’ha fatto mettendosi davanti a una porta a parare il possibile e a volte anche l’irreale con ardire incosciente. Come farebbe ognuno di noi al cospetto di un’occasione incredibile. Difendere l’Italia e gli Italiani.  E’ pazienza se questi ultimi si ricordano d’esser tali solo durante Europei (con pubblico disinteresse a dire il vero), e Mondiali (qui con esilarante sussulto lo abbiamo visto).
Sta di fatto che Buffon è stato in questi vent’anni d’incoscienza e parate, fedeltà e uscite, quello che lo Stato al netto di svarioni e ammennicoli burocratici vari e dispersi non è stato.
 Un collante multi generazionale di sentimenti unanimi ed eterni. Un eroe rispettoso e rispettato.
E’ non è strano che per noi i migliori di sempre sian stati e siano due portieri Zoff e Buffon .
Due uomini,  un solidale troncamento a trainare l’Italia e gli Italiani fuori dall’atavico e alienante timore di non essere all’altezza.
Quello di sempre se ci pensiamo.
Ma anche il cielo più buio  e scontroso a volte si stanca della tenebra e s’apre ai colori del mondo.
Per noi che nel 1982 c’eravamo, ma non lo sapevamo il momento del risveglio è stato quando Buffon s’è immolato davanti ai francesi. La nostra nemesi in quel momento colpita e stritolata nelle spire di una difesa arcigna e velenosa comandata alla grande da Gianluigi Buffon. Il nostro sommo baluardo contro i fendenti del mondo. Era il 2006. Un’occasione sprecata a dire il vero ora che dal Mondiale siamo fuori ma fa nulla.
Il suo posto è stato è sarà comunque dentro. Nella Juve e in Italia.
Poteva andarsene e ingioiellare il suo carisma d’altre corone. Cuore altrove come tanti.
Ha scelto le lacune italiane  Buffon invece. Pece salvifica di un calcio languente e problematico. Fino in B con la sua Juve.  A fingersi piccolo per ritornare grande. Grandissimo. Ma in quanti l’avremmo fatto davvero? Ad un passo dalla sicura gloria?
Ecco se Buffon ha insegnato, qualcosa è questo:
Ha mostrato a tutti che la fedeltà è un abisso su cui scommettere, un passo indietro necessario quando v’è un amore da riscoprire e far trionfare.
Non male a pochi giorni da San Valentino.
Alla Juventus ha portato sei scudetti negli ultimi dieci anni.
Per sempre l’emblema di un uomo non immune da macchie che ha fatto del pianeta Calcio un mondo più pulito. Puro. Non è poco.

sabato 6 gennaio 2018

La magia subdola e geniale di Adriano Celentano

Nel caso del post di oggi, gioco forza, vanno fatte non una ma due premesse.
La prima è che Adriano Celentano, nella stagione postbellica imperniata sulla rinascita emotiva ed economica della nostra nazione, è stato un clamoroso esempio di genialità e voglia di fare.
Non vanno dimenticate, affatto, le sue battaglie insistite in difesa dell'ambiente, o anche la capacità rabdomantica con cui negli anni Settanta avrebbe pescato smorfie e parole apparentemente incongrue per imporre al successo una canzone cubista come "Prisencolinensinainciusol".
E d'altronde, indimenticabile è la tenerezza un po' analfabeta e un po' intellettuale -quando a dargli sostanza e poesia interveniva gente come Paolo Conte- di certe sue canzoni estive, leggere nell'aria almeno quanto certi baci e carezze rielaborati nei ricordi.
Dopodiché arriva la seconda premessa, che riguarda la figura artistica di Adriano Celentano aggiornata alle 08, 15  del 6 gennaio 2018.
Il ritratto di un cantante senza più eccessi d'estro né buoni maestri che, per non morire di noia in una villa brianzola, ha pensato di dedicarsi negli anni alla demagogia sermonale.
Roba che sa di inutile, almeno per milioni di italiani in overdose di banalità e furbizie, i quali vorrebbero un passo indietro del guru Adriano sul fronte del suo pseudo impegno sociale, e magari un passo avanti verso nuove soluzioni canore (o cinematografiche, perché no).
Ma comunque:
aldilà delle impressioni personali, dell'evidente involuzione dell'ultimo Celentano, e della sottolineatura dei suoi gloriosi trascorsi, Celentano, a questo punto, non ha più nulla da dire e tantomeno predicare, neanche potendosi preparare con mesi d'anticipo. Neanche accoppiandosi con Mina (lei sì ancora  davvero straordinaria).
Certo la sua guerra (dei bottoni) resta sempre la stessa, in teoria, incentrata sul ragazzo della via Gluck che a  ottant’anni ormai raggiunti combatte ancora per la tutela delle foreste d'oltreoceano e i diritti umani del cuculo di Abbiategrasso, oltre che per il fango di miseria che ha colpito negli anni la popolazione italiana.
Ma tutto questo, ormai, ha il sapore di "Truman show" almeno quanto Banderas nello spot che lo ha fatto mugnaio.
Bollito non più misto ma integrale, insomma, il favoloso folle di "Yuppi Du" stenta a dir poco  ormai quando straparla di malefatte e malfattori.

Invece no.
Perché sospinto dalla consapevolezza del proprio fine corsa, e del rigor show che provocano le sue ciacole  Adriano Celentano gioca in parallelo l'arma più subdola e geniale  avente ancora  a disposizione:
Sfrutta, cioè, i suoi vecchi e nuovi successi, per intessere il Grande Sermone con le loro liriche, combinando le dolcezze di una voce eterna (un po' stonata, a volte? ),con ’effetto psichedelico di concetti e moniti altrimenti insopportabili
Un combinato disposto capace di non smontare l'euforia dei canzonettari puri, ma anche di mungere l'apprezzamento snob di chi s'inchina e s’è inchinato negli anni,  a testi a volte postatomici come «si è spento il sole e chi l'ha spento sei tu», a volte metacristiani come «mi ricordo che un giorno, in mezzo a noi, venne un tipo che ogni cosa pensava giusto, e la fonte della vita era in lui», o a volte ancora strettamente apocalittici tipo «affamati come il mondo, viviamo in crudeltà, e tutto sembra perso, in questa oscurità».
Tanta roba, direbbe il più trucido degli intellettuali su piazza.
Anche se, in fondo, il vero trionfo arriva ancora e sempre  quando, liberato dai moscerini della contemporaneità, Celentano canta come ai tempi d'oro "Prisencolinensinainciusol":
canzone, è vero, con un testo fatto di frasi vuote. Ma appunto per questo capace di anticipare, già negli Settanta, il nulla che ora ci ritroviamo dentro.