mercoledì 29 aprile 2015

Il mezzogiorno del tomino



Una settimana fa era la giornata mondiale del libro. Oggi proclamo il mezzogiorno del tomo. Tomino. Che è più piccolo e sincero. Perché consta dirlo: in Italia nonostante i trombonismi di Fazio e Saviano, non si legge. Spiego meglio.

 In Italia non è che non si legga. Non si fa nei siti convenzionali e deputati all’uopo.  Come i cervelli, infatti, anche l’attenzione è fuggita verso inguinali approdi e adipose mete.  Oggi un’antenna di metallo s’ingrifa più di Lino Banfi con Nadia Cassini, le natiche vibrano quanto una scrivania di tarlato castagno, e i telefonini (o i più fighi smartphone), fungono da agile vettovagliamento intellettuale.

Questo in virtù di una trama attestata, uno sviluppo prossimo e segreti friabili. In fondo, oggi solo una sudaticcia impronta digitale separa un rorido amore, da una feroce sveltina.  La circostanza, trasfonde un palpabile potere ai”sempre connessi”, che ne fanno uso con affilata cura.  Il loro sguardo bovino e catatonico è la spranga di una disdetta catarsi che le dimensioni  ridotte delle loro conchiglie sensoriali, non fanno più snella.

Se nell’agone amoroso il volume conta, in campo libresco la massa inibisce in forza e in ragione di spericolate veroniche superficiali che inaridiscono il senso e ne complicano la direzione. In fondo ogni lettore è Totò e Peppino in trasferta a Milano Molti scrittori, altrettante malafemmine.  Sordi a probi richiami, preferiscono avvolgere il lettore in stringenti e voluttuosi scialli di parole. Credono che stordire equivalga a sorprendere.  Ma anatemi d’io non son cuscini di tulle. Il torpore è robusto.  Le case editrici no e per imbandire la loro tavola al meglio, lesinano sulle necessarie camomille. Impotenti.

Ad assicurare un  fruttuoso discernimento ci sarebbero le recensioni.  In mirino cinefilo, sgranano l’obiettivo e risolvono una serata; in punta di penna confezionano bidoni da pattumiera garantita insozzando al volo anche l’immondezzaio catodico il quale pur vestendosi radical -  chic tracanna birra e s’infila le dita nel naso obliando le buone maniere e una corretta raccolta differenziata. La quale, lo sappiamo ormai bene, consta tempo, metodo e applicazione. Qualità che la tv non ha e baratta giornalmente con ecumeniche e indifferenti segnalazioni. Queste insegne di acquisizioni forzate finiscono a sorvegliare  tardi androni e angoli dimenticati di risicati appartamenti. Pesci in barile di un frastornante consumismo.

La letteratura, un tempo attività meditativa per eccellenza, oggi langue sull’effimero Viagra del bestseller che viaggia su Internet e si ferma alla quarta di copertina. Di solito, più accattivante del libr
o stesso. Poi il nulla.

Irrancidita nel fango d’esperienze laterali e di confine, esige un centro d’ossessiva divulgazione.  Dimenticando che una lettura profonda e assertiva è più affascinante di una scrittura impulsiva e lacunosa.  Sempre.




sabato 25 aprile 2015

In tempi di disimpegno



ATTILIO BERTOLUCCI
IN TEMPI DI DISIMPEGNO
Non è infrequente per queste
strade familiari – anche se esse
ti hanno portato al di là di un fiume,
o torrente, confine spesso di due provincie,
il passaggio a un'altra riva col sole
in una salute languente –
incontrare dei cippi dedicati a chi uomo o donna anche ragazzo
qui vivente o transitante
venne ucciso perché ribelle ostaggio.
Su marmo pietra o umile laterizio
una lapide ricorda i nomi e il giorno dell'eccidio –
ma tu che passi procedi oltre, t'affretti
punto dal primo fr
eddo e dal tramutarsi
all'orizzonte di rosso in viola
mentre la siepe accoglie arruffata
e misera il ritorno dei passeri
dai seminati in ombra – ormai
indistinti quei cippi dai tumuli
che il cantoniere o il colono
innalzò di ghiaia o terra o letame
nella luce lavorativa d'un giorno senza data.

( da Viaggio d'inverno, 1971)

giovedì 23 aprile 2015

“Dove vanno le anatre di Central Park quando il lago ghiaccia?”



Quella mattina, Antonio stava uscendo da casa quando la madre gli disse “Ah, dimenticavo: ieri è arrivato questo pacchetto per te”.
“Un pacchetto?" "Per me?”
Lo prese e lesse l’indirizzo: era proprio lui.  Il pacco era piccolo ma invitante. Lo rigirò un pezzo tra le mani, poi ebbe come un’illuminazione: doveva essere Holden! Anzi no, non proprio Holden, Salinger ma insomma erano la stessa persona…

Aprì il pacchetto. Una carezza di rossetto sigillava una busta.   Incuriosito, la aprì. Petali di tulipano giallo istoriavano un “Grazie”. Antonio rimise  a posto l’involto e uscì da casa con un sorriso panoramico.

Anche se per interposta persona, aveva fatto centro. Quello che da qualche tempo Antonio non aveva più e cercava ostinato seguendo altrui passi.

Meglio ancora se certificati dalla Santa Romana Chiesa.

Qualche mese prima era stato in Umbria sui sentieri di San Francesco d’Assisi, dove aveva incontrato Piera.  Piera aveva trentacinque anni ma chiunque l’avesse vista gliene avrebbe appioppato almeno il doppio. Scriveva cronache teatrali sul giornale locale ed era li squittiva, per ritrovare l’umorismo nella sua scrittura. Non ebbe subito chiaro il perché, ma Antonio capiva la frustrazione di Piera. Nella scrittura, come nella vita, è solo questione di distanza. Se ci si accanisce troppo, il foglio avvampa, impaurisce, confonde, blatera sciocchezze, comincia a tremare. Ma se si è distanti,  soffre, si intristisce, non dorme, e schiuma poesie. Per questo Antonio si trovava lì.  Per provare a vedere se un’altra via era possibile da quel quotidiano soave lacerarsi.
Animati da comuni obiettivi, fu naturale per i due, fare amicizia. Antonio poi aveva un’aura così conventuale e rassicurante, che per Piera fu normale confidarsi con lui.  Poco dopo contravvenendo ad ogni ritrosia, lo cercò pure su Facebook per chiedergli se c’era qualcosa che potesse instillarle di nuovo la gioia di scrivere. Alla domanda, Antonio non ebbe dubbi: Il giovane Holden. Quando la vita sdraia, non c’èra di meglio. Dopo poco Antonio, che era proprio ferrato su Holden Caulfield e dintorni, al punto di sognare che il primo figlio disponibile lo avrebbe chiamato così, non perse tempo a regalarglielo. A dire il vero gliel’avrebbe spedito subito, solo che, grazie alle simpatiche poste italiane e alle feste di Natale, il pacco arrivò circa ottanta giorni dopo.

Fu semplice per Piera quando finalmente giunse quel piccolo plico verde pensare alle avventure di Phileas Fogg e il cameriere Passepartout in giro per il mondo raccontate dal suo mito di sempre Jules Verne. 

Al contempo, decise che quell’uomo dall’inchiostro ancora inedito meritasse fiducia. Come quel libro in fondo.

Lo lesse tutto in una notte, e scoprì immediatamente quanto quelle pagine fossero davvero importanti. Parlavano il linguaggio semplice dei ragazzi, parlavano di spazi infiniti, parlavano di libertà.
Lo lesse di nuovo, mettendosi a letto.  Scoprì altre cose. Il libro in realtà parlava di un seme, il seme della libertà, che cresce nonostante alcuni uomini lo vogliano soffocare. Ma è più forte, segue la sua natura, cresce piano ma inarrestabile.

La mattina dopo Piera chiamò Antonio con un entusiasmo inaudito chiedendogli di raccontargli la storia di J. D. Salinger l’imperscrutabile autore del libro.  Antonio, energico le disse qualche frase semplice ma ad effetto con la pr
omessa  di raccontargli quella sera a cena,  tutta la storia.

Tutto volgeva al meglio, quando Piera di botto se ne uscì con un’ultima, sensazionale domanda:

“Dove vanno le anatre di Central Park quando il lago ghiaccia?”


 Antonio sorrise e lieto riattaccò. Calmo. Come non si sentiva da molto, molto tempo. 

Un raggio di primaverile chiarore entrò fulmineo dalla finestra formando un angolo perfetto tra la copertina del libro e la sua anima spazzando d’incanto le nuvole in cielo andando a illuminare un angolo nascosto dell’appartamento.


Su una mensola in prossimità del soffitto, era sbocciata una margherita - petali bianchi, tubuli gialli, la sua pienezza, un fuoco d’artificio nella flanella del giorno.
Con lo strepito di un sole infante riempiva di sé quel grigio mozzicone di terra più di un esercito schierato in battaglia o una folla tumultuante in cerca di pane e rivincita.
Meravigliosa la forza della vita che godeva  in silenzio.


In quel momento Antonio capì che il seme della libertà stava fiorendo, anche in casa sua.


sabato 18 aprile 2015

Popcorn patatine



Popcorn,
patatine, muffin, pizzette, crocchette, bibite, gommose alla frutta.  Nino era davvero un fenomeno di resilienza contemporanea ma Antonio ogni volta che lo vedeva passare con il suo baracchino unto e bisunto, non riusciva lo stesso a capacitarsene.

Era questo che sognava, quando lasciò la casa di famiglia portando in valigia il sogno di diventare calciatore?Adesso stava lì intirizzito, fuori da quello stadio che con un po’ di fortuna avrebbe potuto esser suo a ripetere all’infinito la stessa frase. “Ciao, lo vuoi un buono sconto per un panino porchetta con cipolle, crauti e peperoni". ?" "Ne ho uno anche per la tua ragazza se ti va, sentirete che buono!”.

Era questo che sognava quando iniziò a lavorare presto, smettendo di studiare appena potuto? Voleva avere soldi tra le mani prima di tutti i suoi amici. Così, pensava quando preso a rate il primo motorino, portò Cinzia a vedere Titanic. Motorino nuovo e Titanic. Miscela irresistibile per un primo appuntamento. Adesso da quanti anni faceva il cartesiano dispensatore d’acidi grassi?Cinque, dieci, quindici forse? Ora Nino di Cinzia non sapeva nulla.  Dai soliti amici che non vedono l’ora di spiattellare ai quattro venti le rogne altrui, sapeva si fosse sposata con uno che lavorava in una pasticceria con lei. Aveva cinque bambini e quando la incontrò per caso al supermercato dopo il ciao come stai d’avvio e circostanza, non ebbero più niente da dirsi.

Era questo che sognava quando le promise amore eterno? Allora avevano davanti una strada limpida di  esperienze da fare insieme. Poi la vita, a non saperla domare, aveva preso scorciatoie più comode, meno impegnative. E nei loro sogni l’altro sparì.

Era questo che sognava quando molti anni dopo, Nino discusse la sua tesi? Un’ascesa silente e luminosa la sua, come un’implacabile vendetta.  Una cometa nel buio di quella vita. Mettendoci tutta la determinazione e la dedizione possibile. E adesso che possedeva la macchina e il motore era a secco non vedeva l’ora di tuffarsi nella prossima settimana di lavoro e non avvertire quel disagio.

Era questo che sognava?Antonio si ripeteva quella frase nella testa, quella frase che sapeva di sentenza già emessa. Era questo che sognava? Mentre si ripeteva quella domanda, gli passava davanti, come in un film accelerato all’ennesima potenza, tutta la sua vita. Passò davanti a una vetrina e ci si specchiò. Proprio mentre la sua mente mandava all’infinito quella frase.  All’improvviso una decisione: era ora di smetterla con il cibo in scatola. Appiattiva ogni pensiero e tutto quel mercurio, aveva compresso anch’egli. Riflettendoci con attenzione, si rese conto che quella frase valeva anche per lui. Lui. Era quello che sognava? Era quello che sognava?
Non lo sapeva, forse no.  Appaltare muliebri epidermidi tributandogli intermittente tenerezza non era amorevole. Solo solitudine subaffittata. Qualcosa aveva combinato: bene o male aveva fatto delle scelte, scritto molto, imparato tanto. In qualche modo si era salvato.  Da solo. Sorrise.

Nino all’angolo della strada intanto aveva appena venduto l’ennesima pizzetta della sua vita.  Il portafogli quella sera, lo avrebbe adulato gentile.


venerdì 10 aprile 2015

Gocciole



 
 
 
 
La sala, un vecchio magazzino con qualche sedia di plastica e un tavolino 
da bar malfamato, era poco illuminata. 
Forse di proposito. O forse perché si trovavano in un fottuto sottoscala decrepito 
che era tutto quello che l’oratorio si sentiva di concedere per quelle serate.  
Antonio non sapeva decidersi. 
D’altronde aveva ragione Fabrizio De Andrè: su certe cose  non c’e tempo 
ne vale la pena di perderci un secolo in più e  per quel che lo riguardava, era già complicato
 investirci minuti in quel luogo. 
Si guardava attorno e si sentiva dannatamente fuori posto. Gli accadeva in sostanza 
da sempre, ma in quel momento sentì d’aver toccato il fondo delle cose umane
e  desiderava sparire. Era arrivato che erano già tutti seduti, ma il moderatore venne 
ad abbracciarlo e gli indicò una sedia. “Vieni fratello”, gli disse, “vieni”. 
Fino a quel momento, nessuno aveva ancora aperto bocca.
 In un angolo c’era un cartellone rosa shocking con scritto:
 
“Non sei solo”. “You are not alone”.



Continuava a ripetersi che andar lì era stato un errore, e in un angolo della sua mente si  accendeva intermittente, l’idea meravigliosa di piantar tutti e fuggire. Forse faceva ancora a tempo ad andarsene in fondo era mercoledì e la sua Juventus si giocava la vita per il passaggio del turno in Coppa Italia contro gli eterni rivali della Fiorentina, quando un obelisco in giacca e cravatta alla sua destra prese  la parola. Si alzò in piedi, paonazzo in volto, e si asciugò il sudore dalla fronte con un fazzoletto Calvin Klein dei marocchini, senza scollare gli occhi dalle punte delle hogan. “Mi chiamo Ottaviano”, disse. “Mi chiamo Ottaviano, faccio il libraio, e da due anni sono un Goccioleista”. Poi scoppiò a piangere, nascondendosi il volto tra le mani.




Allora anche gli altri si alzarono e cercarono di sostenerlo. Chi una pacca sulla spalla, chi un buffetto sulla guancia, chi gli scompigliava i capelli con fare brioso. Un tipo magrolino con il ciuffo alla Elvis  gli porse un pacchetto di Scottex ultraresistenti“Tenga, gli disse, tenga: ché questi non fanno arrossare il naso”.
Antonio restava seduto, con le mani nei tasconi della felpa appena comprata tutto contento per quel cappuccio che dava alla sua capricciosa barba una solenne patente conventuale. Sotto il cartello rosa shocking ce n'èra un altro, color limone. Sopra c'èra scritto:



"Davvero". Really.


All’improvviso il moderatore dell'incontro, Ottaviano, spalancò le braccia come un santone e rivolse a tutti un sorriso benevolo, invitandoli a rimettersi a sedere.
Ottaviano era uno che ce l’aveva fatta. Chi gli aveva  fornito l'indirizzo di quel  posto gli aveva  giurato che ne era fuori da oltre diciotto mesi. Qualcuno, preso dalla voglia d’avere un santo per amico,  azzardava  addirittura che i mesi fossero venti. Senza mai una ricaduta, un solo morso, una sola escursione nell’orzo caldo la mattina presto. Nulla.
Uno tosto. Un augusto. Un principe del foro dell’astinenza in mezzo a tutti quei tapini imbucati dal vizio.
Quando tutti furono di nuovo ai loro posti,Ottaviano  parlò della forza di volontà, della determinazione, della voglia di vivere. Tutti pendevano dalle sue labbra e lui sorrideva guardava e sorrideva, sorrideva con quell'aura da santo, sorrideva con quello sguardo acceso e quella mascella scultorea alla Ronn Moss  quando sta per baciare una delle sue donne , sorrideva con quegli occhi così penetranti  che era legittimo pensare  quegli occhi avessero guadato anche altre sponde.

Venne poi il momento delle confessioni a cuore aperto. E furono istantanei espianti di fegato.




Marzia Ponzi, proprietaria della Premiata Forneria Ponzi: Tutto per lo Stomaco, raccontò con il cuore in mano del suo matrimonio naufragato. Il marito, patito di calzoni e salsicce, non poteva capirla, rammentava,  fissando un qualche punto indefinito del soffitto parrocchiale. Una volta, proseguiva, era a casa e stava male, rannicchiata in un angolo della stanza da letto. E lo stomaco urlava mentre cercava di cacciar via le lacrime e niente, non ci riusciva, quando suo marito rientrò con le buste del supermercato e le sorrise e, allora lei chiese con gli occhi tumidi di astinenza me li hai presi? Dimmi che me li hai presi, ti scongiuro. Ma lui tirò fuori una confezione famiglia di Ottimini al Riso e Mais e le disse: “c'erano solo questi. “Vanno bene lo stesso, vero”?.

Un brivido corse veloce lungo la schiena di tutti i presenti, mentre sulle loro facce si andavano dipingendo espressioni di ribrezzo.
Sotto il cartello color limone ce n'èra un altro ancora, verde acido. Sopra c'èra scritto:



"Te lo giuro". “I swear”.

La rinomata rosticciera riprese il suo drammatico racconto, ma fu colta all'improvviso da violenti conati di vomito.
“Ce la puoi fare Marzia"! "Non mollare”! continuava a ripeterle Ottaviano mentre veniva portata via a braccia dal tizio col ciuffo alla Elvis, quest'ultimo particolarmente attento a non farsi inzaccherare la camicia bianca della purezza conquistata dopo sei mesi di astinenza.. “Tu sei più forte della dipendenza!, le disse Ottaviano. “Tu sei più forte”! .
E quella, con i piedi trascinati sul parquet come una marionetta, fece un gesto con la mano che forse voleva dire "Ok", forse significava "Sì, ciao". Su questo punto non s’ebbe mai certezza.

Ottaviano non si scompose guardò Antonio e gli passò finalmente la parola. Allora Antonio s’alzò in piedi, si schiarì la voce e prese  a spiegare che a lui la dipendenza in sé dalle Gocciole non è che creasse tutti quei problemi, dopotutto.

Gli altri lo fissavano stupiti.

Avanzò spiegando che, cioè, c'èra di peggio delle Gocciole. Che c'èra gente là fuori che faceva uso di droghe più pesanti, come  il crack, l'eroina e il gelato Solero.

Gli altri continuavno a fissarlo stupiti.
Sotto il cartello verde acido ce n'èra un quarto, azzurro. Sopra c'èra scritto



: " La verità, vi renderà liberiThe truth will set you free”.



Ma niente. Ad Antonio quelle perle di saggezza non liberavano l’esofago che si era fatto più costipato del traffico di Hong Kong nell’ora di punta.
Ché a lui non sarebbe mai passato neanche per l’anticamera  del cervello di andar  lì, a una riunione di Goccioleisti Anonimi. Per lo più in una serata in cui c'era la Juventus che rischiava la vita in Coppa Italia. Solo che qualcosa non andò come doveva e si spaventò.

Ottaviano allora lo interruppe, gli poggiò una mano sulla spalla e con voce perita disse: “ci siamo passati tutti, fratello. Conosciamo bene la natura del male. Stai parlando della coazione a ripetere, dell'ossessione di mangiarne ancora una e poi ancora un altra. Del continuare a mandar giù biscottini come non ci fosse un domani, vero”?

No, rispose Antonio. Veramente stava parlando del fatto che le Gocciole gli facevano cagare lentiggini.

Marzia, in un angolo, smise di vomitare e prese pure lei a fissarlo Di lato, come l’Ispettore Catiponda colto da vedenza.




Allora spiegò che da quando era entrato nel tunnel delle Gocciole, aveva questo problema delle feci lentigginose. Lentiggini Pippi Calzelunghe. E che sì, su Scence aveva letto che nelle Gocciole ci sono tante cose strane, come il colore legno  massello che neanche chi li produceva sapeva da dove venisse, o come dei micro tubuli superficiali invisibili a occhio nudo che servivano ad assorbire il latte grazie al fenomeno della capillarità, ed era probabilmente quello che provocava il tutto, solo che…

  Venne  interrotto, e non gli consentirono più di parlare. Ottaviano,  il tizio col ciuffo alla Elvis, Marzia e altri due Goccioleisti Anonimi gli furono addosso e cercavano di bloccargli braccia e gambe.
Tenetelo! urlava  Ottaviano, mentre Antonio scalciava come un puledro. Quest'uomo è all'ultimo stadio della dipendenza e non se ne rende neanche conto! Dobbiamo salvarlo! Tenetelo! Ahia! Cazzo, attenti! Libraio, stringa più forte lei che c'ha il fisico! Tenetelo!
Antonio era in trappola.
Braccia e mani lo afferravano e lo tiravano e gli mancava il fiato e  in un attimo gli prese l'ansia giacché era anche un po' claustrofobico. Quando capì che era giunto il momento. Era il momento di verificare se tutti quei film di arti marziali ciucciati in gioventù, fossero serviti  a qualcosa. Allora rifilò un calcio alla nuca al tizio col ciuffo alla Elvis, che collassò subito  al suolo privo di sensi, e con il ginocchio assestò un colpo poderoso nel fianco del libraio, riuscendo così a liberare il braccio destro. A quel punto prese a mulinare il pugno, assestando cazzotti a tutti, ganci, diretti. Quelli continuavano a tenerlo, e il pugno continuava a andare a manetta e uno di questi, centrò la smoccolante Marzia dritta nel naso, costringendola a mollare la presa. Una volta che anche il sinistro fu libero, fu un attimo darsi l'ultima spinta verso la libertà.





Otto minuti dopo stava ancora correndo. Era sicuro di aver seminato i suoi inseguitori , ma non se la sentì di girarsi a controllare. Aveva perso una scarpa nella fuga e la gamba sinistra quella delle tredici operazioni e il centro di gravità permanente di tutte le sue cicatrici ora gli chiedevano il conto urlando feroce. Era stanco. Sfibrato. Ma soprattutto aveva  fame. Si fermò a riprendere fiato e s’accorse   tardi di averlo fatto giusto davanti alle porte automatiche di un supermercato Porte che si spalancarono  cortesi per lui con un  rumore così esatto da apparire quasi una devota promessa.

Cercò di non guardare all'interno, ma poi un push – up birichino in lontananza lo tradì e lo fece entrare in quell’allucinato cerchio di perdizione  e dopo pochi smaniosi passi le vide , le sorridenti Gocciole nelle loro confezioni tutte bianche e rosse, sullo scaffale degli sgranocchi e dell’infanzia subito dopo l’erta china delle vecchie con i carrelli.
 Le guardava le sue agognate  Gocciole, e sapeva che doveva smettere, anche perché quella gente nonostante tutto lo aveva fatto riflettere, e una volta o l’altra, quella roba, con tutti quei sorrisi superficiali, lo avrebbe ucciso sul serio. E allora ci pensò, ci pensò davvero: di darci un taglio, di disintossicarsi , di tornare pulito, di tornare a essere padrone della  sua vita.

Ci pensò che trentatré anni erano proprio l’età giusta per morire e che se proprio doveva crepare, voleva farlo sciolto in delizia con le sue  Gocciole e scrivendo una di quelle poesie che componeva quotidianamente. Candide rose nere stese sul grigio calvario della sua vita.

Ci pensò. Per trentatré secondi. Uno per ogni anno della sua piccola vita. Gli parve una stronzata. I Trettrè, dal Drive In dei ricordi, annuirono unanimi. Poi entrò, se ne comprò sessantasei pacchi di quelli famiglia per ricordarsene l’esistenza nei momenti di crisi, e ad maiora semper.