sabato 20 febbraio 2016

La parte più dignitosa del suo sguardo

Non era una brutta giornata, non lo aspettava niente di tragico. Ma  Antonio quel giorno non aveva  proprio voglia di uscire. Si preparava con cura davanti allo specchio del bagno. Si limava per bene le unghie. Si stirava le dita  Le guardava .
Abbi sempre cura delle tue dita ché  ci son un sacco di soldi dentro. E quanto gli mancava Nora che gli  diceva così. E quando lo diceva, Antonio sorrideva di nascosto sorpreso di come le donne potessero vedere tanto in là un qui che ancora non c’era.   Era il 6 novembre 1997. Fu in quel momento che prese una ossessione cosmica  per la  lettera n e la m. Era una stupidata ma quel ricordo lo scaldava ora in un modo diverso: un po’ lo rincuorava, un po’ sottolineava il disagio per quel freddo fuori. Fuori- un luogo assolutamente ipotetico dove nessuno parla, ma tutti sbavano cercando di dire.
 Antonio sarebbe voluto restare nel proprio sgabuzzino quel giorno.  Non andare al lavoro, non vedere nessuno, passare la giornata a fare un abisso  di niente. Magari a preparare gli scatoloni, che il trasloco era vicino. Magari prendersi il lusso di vederla sgusciare piano quella giornata , tenendo in mano di volta in volta una tazza d’orzo, un buon libro, un telec
omando, un rimpianto smangiucchiato ai bordi . Senza un ordine preciso. Ché al caos organizzato Antonio  era  abituato.
Ma quel giorno c’èra da andare . Si doveva. Pensava questo Antonio , per farsi coraggio; per rimuovere quel macigno davanti alla entrata dello sgabuzzino e andare fuori. Dentro la nuova giornata, in quel sole buio di febbraio  monco di braccia calde ad  attenderlo.

Il marrone è un bel colore, pensava indossando il cappotto con la mano ferma e  languida di un donnaiolo navigato. E intanto che lo pensava, nello specchio si vedeva cereo. Colpa di quella lampada a risparmio energetico, meno umana e vivace di quelle a incandescenza permanente  che aveva da bambino, a casa. Sarà che fuori dalla finestra non c’èra quella fila di montagne informi che da piccolo dislocato dai nonni,  lui chiamava per nome. Sarà che anche quella vita era un po’ a risparmio energetico.
Cercava pensieri positivi Antonio traccheggiando pigro sull’androne e nel farlo andò a scavare in fondo a un alito immenso. Quando riemerse, pensava alla scrittura. Pensava alle vibrazioni di quella macchina per scrivere  rossa sdraiata in un angolo della stanza da letto. Si ripromise di correggerla meglio quella storia: di trovare nella testa il giusto estremo, il punto di svolta necessario perche tutto scorresse meglio  . Proprio lì al centro della fronte, un po’ più sopra  gli occhiali  la parte più dignitosa del suo sguardo.
Proprio lì dove sentiva l’istinto di isolarsi, di restare coperto, di non subire impietosi assalti dal mondo . La stessa carica che invece, quando scriveva, sembrava trasformarlo. Socchiudeva gli occhi e volava. E in certe sere eccezionali, gli sembrava che anche il foglio fosse attratto da quel fiume  in piena di parole fluente tra le dita. Gli sembrava di avere un potere immenso, simile a quello dei suoi sogni di bambino: quando si vedeva su un palco con Cristina D’Avena cantare una sua canzone e studiava per ore quell’inchino leggero, quello da fare quando tutti applaudono sperando in un Bis. Quando tutti sembrano concordi e felici di vivere tutti sotto lo stesso cielo.
Forse è questo che gli mancava. L’occasione di fare quell’inchino. La speranza di vedere qualcuno alzare gli occhi e guardarlo  nei suoi. Proprio lì:. al centro della fronte, un po’ più sopra  gli occhiali  la parte più dignitosa del suo sguardo.
Dove sgorgava, dove straripava, un fiume in piena .


domenica 14 febbraio 2016

La quinta serata del Festival di Sanremo e l'immagine afflitta di un Paese nudo al confronto con le proprie schiatte

Dopo cinque giorni modesti e ligi, il Festival di Sanremo è finito. Terminato con il miglior vincitore possibile però : gli Stadio immagine afflitta  di un Paese nudo al confronto con le proprie schiatte.
Sgominando tendenze arcobaleno, ha commosso il tentativo del gruppo bolognese di stabilire un contatto con il cardine tradizionale dello Stato italiano: la famiglia.
Ha vinto lei, infatti, e con essa la verità di una sofferta Costituzione che su di essa si basa, ha sconfitto l’artificialità di prodotti plastifi
cati ed effimeri (Francesca Michielin e il duo Iurato – Caccamo).
Fugace e sintetico quanto il Festival tutto anestetizzato e imbalsamato da una competizione piatta nulla resterà davvero di queste serate anonime.  
Non il punk furbetto di Enrico Ruggeri, nemmeno il rap paisà  firmato Clementino – Hunt .
Semmai caroselli di parole buone per gli ultimi e una nenia rassicurante per tutti gli altri cui non è rimasto che aggrapparsi alle incertezze oculistiche di Garko e alle incarnazioni stupefacenti di Virginia Raffaele. Maestra sublime, nel far rivivere miti sclerotizzati da un incerto presente (Sabrina Ferilli, Belen), e un glorioso passato (Fracci – Versace) ha surclassato la statuaria ma inconsistente Madalina Ghenea.
Manca il futuro però.

 E’ che Carlo Conti tornerà presto  a teatro con  gli amici di sempre Pieraccioni e Panariello non frega niente a nessuno.

sabato 13 febbraio 2016

La quarta serata del Festival di Sanremo e...Basta!

L'inerzia della mano distesa avviluppa il silenzio e il freddo è il mio sentire in questo giorno torbido.

I rampicanti sulla ringhiera avanzano con la stessa indolenza, s
tanchi,   digitando una parola a questo punto inevitabile:
Basta.
Basta con questa  ritorta maratona di motivi  di investimento discografico.
Basta con la bronzea cortesia di Carlo Conti a dispetto della mordace ironia della  Gialappa's Band,relegati con il loro illuminante  Dopofestival,  a ore di sconcezze intime.
Assurda castrazione dell’unico seme innovativo di  questo vetusto  lupanare ostile al presente misfatto .
Molto  meglio assecondare la morale comune e disseminare speranze (comunque  vane e presto tradite ), premiando tra i “giovani “  tale Francesco Gabbani uno strano incrocio tra un Massimo Lopez rivedibile e scorretto  e  un Davide Devenuto più dinamico e espressivo  (per informazioni rivolgersi e magari vedere “Un posto al sole”) cantante un inattuale e per niente salvifico  “ Amen “. Nenia attinente forse  al corso giubilare non  al tempo in questione. Rimpicciolito   mesto , questo, al buco della serratura da dove ammiccare  arrrapati verso una Madalina  Ghenea sempre più arresa al ruolo di svestita grazia ammaliatrice di una miseranda carovana di scriteriati luoghi comuni crocifiggenti stavolta,  padri prossimi e venturi.
Una nota stonata comunque incastonata in un tripudio di luci basse e serie imprigionanti i pruni spinosi di una esperienza difficile  : riascoltare in fila indefessa e scalettata tutte le canzoni dei (presunti) Big. Tutte. Come non si sapesse, non esser loro le reali protagoniste di questa messinscena invernale utile solo a penetrare e riconoscere la pigrizia e la banalitudine di menti autoriali arrese al pollice sbadiglio di una memoria di plastica.
Lungimirante e autentica in questo mondo artificiale l’ennesima metamorfosi degli Elii commentata malinconicamente da un salvabile (vi prego) Neffa schiudenti il cuore paterno (questo sì altro che Brignano) degli Stadio e l’anima tutta di un Festival inconsistente e una serata moscia a nulla attizzata da una Virginia Raffaele andante ma non troppo nella sua ormai consueta trasposizione Belenesca manifesto evidente semmai di una televisione sempre più condotta alla replica sconfinata di se stessa sfondando anche le palme roride di un’Elisa emozionata e splendente nell’empireo triste e alterato di Sanremo.
Una favola odiosa come canta il bravissimo Ermal Meta solo terzo iersera (ma perché?)
Erroneo trascinarla atroce per cinque lunghissimi giorni.  Basta .


venerdì 12 febbraio 2016

La terza serata del Festival di Sanremo e la felicità della piccola Katy

Non sembrava possibile ma iersera
è accaduto.
La Rai radiotelevisione italiana ha definitivamente alzato le mani in alto. Ha dichiarato cioè al suo pubblico, senza vergogna e mezze misure, che non ce la fa più a rincorrere questi stramaledetti anni Duemila, tanto complessi e tumultuosi nelle loro evoluzioni, ma preferisce arenarsi tra parole e sapori di epoche andate.
Questo, in sintesi, è il messaggio trasmesso dalla terza serata del Festival di Sanremo, molto "Tale e Quale, Show” di quell’integerrimo capostazione che corrisponde al nome di Carlo Conti (e cinque sei sette, otto),  in grado al tempo stesso di garantire 10.462.000 spettatori di  nostalgici con uno share del 47.88%a Raiuno, e costringere frotte di logori abbonati alla pratica dell'autoflagellazione, unica risorsa lecita dopo una simile offerta catodica.
Agghiacciante si permetta a dei mostri di marketing (Scanu, Bernabei, Dear Jack, Clementino su tutti) e zombie da retrobottega  (Ruggeri, Neffa a seguire), di deturpare molli, miliari determinanti  della nostra cultura musicale . A nulla vale la scusa della sperimentazione. Selvaggia e inopportuna quando comunque conduce al sopruso di lobi e meningi incoraggiata dall’approdo sul palco dell’Ariston degli Anticorpi. Peccato il sistema immunitario non fosse pronto e ha subito silente battute  da villaggio turistico.  Che poi è il luogo naturale del disimpegno  afflitto  e del trastullo indotto. Solo una cieca coercizione poteva portare gli Zero Assoluto a un’anamnesi nulla di “Goldrake” oppure Fragola a un’immatura “Donna Cannone “.
Il “Cuore” di Arisa, l’”Amore disperato” di Dolcenera, L’”America” di Annalisa "Il canto libero " e battente di Francesca Michielin, pettorute  e oneste eccezioni che non mitigano la distanza tra quelli che siamo stati e che  ora purtroppo siamo.
 Spettri incapaci di squadernare un acceso  futuro.
Brandelli di una bautta lacera  (come quella della mirabile  Versace versione Virginia Raffaele costretta suo malgrado a legittimare comunque  la propria crepa c per non finire nelle retrovie dell’esistenza e all'improvviso  rendersi conto di essere soli. Come gli uomini dei Pooh nel 1990. Come l’Italia oggi e la Tv  ora.
Un contenitore che mai dovrebbe rassegnarsi a cancellare il Paese presente, in nome di quella brutta cosa chiamata share (offensivo e malvagio  elisir consistente nella riesumazione di emozioni e nostalgie tumulate decenni fa), e che invece con la prepotenza dei forti costringe il pubblico ad invaghirsi di ciò di cui è già invaghito: i propri ricordi, insomma, e la maionese circostante delle sensazioni perdute.
Da qui  i 10.462.000 spettatori della  terza serata del  " Festival di Sanremo." Ma anche una considerazione finale più strettamente connessa alla figura di Carlo Conti, del quale spesso si è derisa l'abbronzatura a  tempo indeterminato . Che invece, va riconosciuto, ha nel " Festival di Sanremo " una funzione fatale:
mascherare, in scena, il rossore imposto da questo genere di prodotti. In perfetta linea, è vero, con la filigrana sgranata del Paese, ma rea purtroppo di pasticciare il passato e annottare il futuro (Hozier.all’una meno dieci è criminoso).
Dedicando mezz’ora ai ricongiunti Pooh.
Un’esclamazione sbalordita sniffante resa.

Eravamo e restiamo la nazione della piccola Katy, che a questo punto lotta con i guai della terza età. Ma è comunque felice. A  distanza di decenni, infatti,  le dedicano ancora prime serate in tv. E noi paghiamo.

giovedì 11 febbraio 2016

La seconda serata del Festival di Sanremo e un mondo prossimo al diluvio

Il Festival di Sanremo è una confezione di valeriana formato famiglia.  Cosa buona e giusta è parsa nella seconda serata, addizionarla con più musica e meno mistica,  pur con le inevitabili (ormai), strusciate talent tensive , solidali e crudeli.
Soprattutto quando ti accorgi che i giovani hanno più voglia e voce dei cosiddetti big, e il fatto che sia stata eliminata Cecile (la mia favorita), è proprio difficile da accettare.
Principalmente in un Festival dove la riflessione profonda è un format e la sofferenza sublimata in arte un grottesco bastimento di lacrime gonfia – share e sfama coscienza sul sentiero di un inaccettabile ma segnato destino.
Non quello dell’alato e svettante Ezio Bosso, di iersera, comunque bravissimo a smarcarsi dalla morsa della commiserazione e del pietismo, quanto quello dei cantanti in gara  (Pravo ed Elio a parte), perennemente in bilico tra la paura di eclissarsi (Scanu, Zero Assoluto su tutti), e la necessità di continuare a esserci comunque anche solo per dire d’aver fatto una foto con una fatata ma in fondo superflua Nicole Kidman com’è accaduto a Gabriel  Garko ormai rassegnato alle sue inadeguatezze linguistiche da bellimbusto da fiction e nulla più da riderci su riducendosi saggio, ad altezza bimbo e capire che in fondo, slanci hollywoodiani a parte, il sogno di tutti gli italiani è radicarsi anche solo un istante nella perizia creativa di Nino Frassica per tutti il Maresciallo Cecchini fido compagno di Don Matteo, illusioni renziane a parte, l’autentico legislatore emotivo delle passioni inerti del suolo italico.
Solo le sue azzurre iridi potrebbero accogliere benevolmente il rap ruffian- patriottico di Clementino, le speranze solitarie di Alessio, lo sguardo stordito e selvatico di Dolcenera e Francesca Michielin e ammetterlo orecchiabile al lobo umano  almeno quanto meriterebbe scampo dalla gogna del depennamento  il refrain  lucido e malinconico   di Neffa boa generazionale di un mondo prossimo al diluvio.
Dal quale occorre comunque salvare il sentimento affabile e domestico di Eros  Ramazzotti molto più intenso è “dentro” la sfocata malia di questo Festival rispetto alla ridondante presunzione formato Pausini  regnante molesta la prima sera, l’intelligenza e la bravura di Virginia Raffaele (da antologia la sua Carla Fracci), e le forme di Madalina Ghenea che tra una sfilata e l’altra, ieri pensava, prodiga, ai bambini. Ma anche i grandi la squadrano indulgenti ve l’assicuro.
Perché per evitare il diluvio c’è bisogno di tutti.  Anche del finalmente partecipe e disinvolto  Conti (tre, quattro, cinque e sei , sette. otto), di iersera

E’ sia chiaro: quello universale di Annalisa è solo il titolo di una dimenticabilissima canzone.

mercoledì 10 febbraio 2016

La prima serata del Festival di Sanremo e il tonfo molesto della caducità

Paura. Panico. Prudenza.
Quanto basta a far restare tutto com’è nel peggiore dei mondi possibili incuranti del tempo che passa e pure a fatica, qualcosa di nuovo propone soffocato oltremisura dai tempi stretti e ferrigni di un copione serrato e dovuto.
Troppa  l’ angoscia e lo sgomento di una parola propiziante altre strade, in grado di derapare convinta, dal testo scritto di una gorgheggiata funzione.
Tutto è andato come doveva andare,  quindi in questo primo veglione di Sanremo ancorato a stereotipi antichi ma sempre utili quando c’è da sbrogliare l’orizzonte dall’ ignoto.
Con l’unica amara anomalia , di giovani talenti abbigliati da vetuste laringi a fine corsa (Fragola) e vecchi dal pelo grigio a pietire sul palco una soverchia amnistia musicale  rimembrando primi amori (Ruggeri), furbescamente progressive – punk  e lamentando  inappropriati settaggi a mascherare evidenti dissesti (Stadio, Curreri).
Storture alimentanti il paradosso e l’impostura di note stagnanti nonostante i progressi, la ripresa, il futuro annunciato dai governanti e rappresentato sul palco  da uno yo –yo sorridente  (Rocco Hunt),e tatuaggi cuciti su salme gravanti muffa (il duo Iurato – Caccamo).
Tanta quanta c’è ne deve essere nella borsa di Noemi abbastanza distratta in fondo, dentro i Dear Jack senza il loro vecchio leader indifferenti e indifferibili; sparso nei Bluvertigo spersi attorno alle lune sfiatate di Morgan che a un certo punto si sbarazza della chitarra come qualche minuto prima ci aveva privato della voce. Peccato. Una volta erano bravi . Vinceranno il premio della critica scontando il dazio di un passato controverso e una reunion ambigua e presuntuosa  come Irene Fornaciari scaltra nella scelta del tema della sua canzone  meno nello svolgimento furbo ma inascoltabile e meritatamente a rischio soppressione.
Mai quanto l’avrebbe meritata l’attesa e pompatissima Laura Pausini tanto brava ad incensarsi quanto ad esaurirsi in un medley stucchevole ascrivibile al pianeta evitabile. Defunto Volponi ci voleva un drago a riabilitare il tutto e rimetterlo integro nell’astro del vedibile.
Provvidenziale a tal proposito, un monumentale Elton Jhonn che da vero kamikaze del pensiero argomenta sull’importanza dell’amore cristiano è subito scaccola duro sul destino inerte del Festival immolato ad una bellezza muta(Ghenea), e cartonata (Garko) totalmente al servizio di un teatrino mesto, pavido e funerario dove un vecchio prossimo al centenario ad un certo punto aveva cominciato ad elencare il segreto dell’eterna giovinezza. Quello scontato di Conti non l’ha lasciato finire. Peccato. Sarebbe servito ad uscire dall’agonia di questo vecchio scarpone incidente incubi .
Sul palco i fiori di Sanremo. Crisantemi su un cielo di memorie ciclicamente riciclate al servizio di un ansimante babele  di suoni di cui Conti, Garko Ghenea , Raffaele son solo gli annuali, cortesi, bellissimi mercanti e Aldo Giovanni e Giacomo non fanno più ridere Maitre Gims sembra un dannato  fenomeno e la coppia Foglietta-  Smutniak son più fighe di una Ghenea bella ma vestita e una Raffaele intelligente e
 ripetitiva .  

E le canzoni ?  Un trascurabile trambusto  in cui cercando la voce perfetta si ode soltanto il tonfo molesto della caducità.

lunedì 8 febbraio 2016

Garko!

Mi chiamo Giovanni. Ho trentatré anni. Ariete ascendente Cancro .Di professione faccio il barista. I momenti più alti della mia giornata sono due: quando a lavoro  la mia assistente davanti a me si piega e le guardo il reggiseno Intimissimi Super Push-Up Delicate Lace Simona da ventinove euro e novanta  e quando al mattino alle undici trovo ancora brioche alla crema e non solo vuote o integrali al miele.
Fino a tre mesi fa Garko non sapevo neanche chi fosse.
Non sono un cinefilo, mi viene difficile fare una foto col cellulare senza decapitarmi, non ho mai capito la funzione della voce fuoricampo nei film quando la trama è già scritta sulla guida tv.
Tre mesi fa ho conosciuto Ildegarda (il cognome, lo ometto per questioni di privacy: l'indirizzo è Carrara via Gronchi, il numero di cellulare lo trovate ai bagni dell'autogrill di Salerno, c'erano già prima di me, lo giuro). Ildegarda non è il nome d'arte, come credevo fino alla decima uscita, ma quello della nonna.
Ildegarda è  fan di Garko sfegatata, parla di primi piani e controcampi i come fossero tacchi e leggins, l'ho vista più incazzata con gli sceneggiatori de L’onore e il rispetto  che a quanto pare  gli hanno fatto morire una dopo l’altra  tutte le partner che con me quando mi sono scordato di farle il regalo di compleanno, ha interrotto un paio di limoni duri per spiegarmi  gli esercizi che dovrei fare  in palestra per avere  i suoi stessi i pettorali (lei invece va matta per gli addominali) e ricordo benissimo la tre notti nel motel Woodstock camera singola con bagno in camera di  Fiesole per aver organizzato un week end a Pola nei giorni  di messa in onda  di Rodolfo Valentino -  La leggenda .
Alla madre di Ildegarda non sono mai andato a genio: "Vatti a fidare di uno che pensa che Sergio Leone  sia l'autore di Cent'anni di solitudine. In realtà sapevo benissimo che Sergio  Leone era il terzino della Roma...
A mia madre  Ildegarda non è mai andata a genio: "Vatti a fidare di una che fa l’amatriciana con lo stracchino ..."
La domenica pomeriggio con Ildegarda per me era un incubo. Esistevano solo due possibilità: "Shopping" (ovviamente se Mediaset non trasmetteva cose che avessero minimamente a che fare con Garko) oppure "Zapping sulle reti Mediaset alla caccia di notizie su Garko " . Tertium non datur: ovviamente l'altra -ing form a me cara cioè "petting" era esclusa.
Lo zapping sulle reti Mediaset iniziava e si concludeva sempre sulla chioma di Garko : stesi sul divano, le mie mani che toccavano ovunque, il mio ormone su una sella da rodeo e lei: "No aspetta, questo è uno che ha rischiato la pelle tentando di salvare una vecchia.  E tu giochi a fare il pastore cercando di mungermi una tetta. Vergognati  ". Ed io, io che dopo otto minuti ronfavo come un vecchio che porta i nipotini a vedere Il signore degli anelli E a furia di menarmela con’sto qua che  “è uno che ha rischiato la pelle tentando di salvare una vecchia “ ho iniziato a sublimare il sesso con i suoi primi piani , i suoi status di Facebook e le sue comparsate in tv. Non perché mi fregasse di  inquadrature  e fuoricampo ma perché mi "usciva" sempre un sorriso, di quelli a metà tra il sardonico, l'attonito, l'incazzato e il divertito....."quello  che ha rischiato la pelle nel tentativo di salvare una vecchia".
Prima nel mio pantheon immaginario alla voce " eroe" c'era il pene di Flavio Briatore che si è scopato Naomi Campbell e Heidi Klum oggi, c'è Garko ...
Una cosa che a Ildegarda non è mai andata giù è che Garko non le avesse mai messo neanche un like alle sue dotte disquisizioni cinematografiche. Io, sommessamente, le facevo notare: se alle tue dissertazioni alleghi un selfie con l’aiuola rasata modello Grignani  Garko, ti citofona direttamente a casa.
Due settimane fa Garko mette un like e persino un "ahahaha" (12 a e h, le ho contate e ricontate) ad un mio commento su un suo post. Prendo il telefono, faccio il numero di Ildegarda, le allego lo screen shot e chiudo la conversazione con "vaffanculo" catartico.
Grazie a Dio oggi non c'è più Ildegarda ma Mariateresa che lavora in Telecom legge Manzoni e da buona romana l’amatriciana la prepara con il guanciale eliminando le parti dure (a mia madre e alle sue fauci da rottweiler non l'ho ancora detto). E la prima cosa che ho controllato su Facebook è che non è amica di Garko. Però segue Francesco Testi su Instragram.
Nel dubbio ho già buttato via tutte le chiavi, anche quella della serratura di casa...


martedì 2 febbraio 2016

Speciale calciomercato (di gennaio)

Gennaio. Mese di spifferi, fioccate, brividi.  Pochi a dire il vero. Indifferenti quasi. Soprattutto in sede di mercato dove con due soldi non puoi garantir nulla se non prestiti in abbondanza.
Questi e non altro hanno alimentato i deliri di queste settimane con poche, remunerate eccezioni. Queste pagelle basteranno a evidenziarle?
Non lo so. Son sempre al verde. Non certo Avellino giacché tifo Juventus.
E’ allora che si fa? Si va a iniziar che venti squadre son lunghe da analizzar!

Atalanta 5 .    Da una società maestra nel programmare quel che sarà, era lecito attendersi qualcosa di più di Diamanti e Borriello.
Ha dato via Grassi, Moralez e Denis incassando soldi e congedi.
Salvezza ormai in tasca è rimasta però statica. Un’attitudine non proprio intima del futuro. Specchio riflesso di un’Italia che proprio non ci piace.

Bologna 6. Lo so. Quel che sta facendo Donadoni meriterebbe un voto più alto. Tuttavia puntare sullo svincolato e intraducibile Constant, il contuso Zuniga di questi ultimi tempi, appare un azzardo. A pareggiar le sunnominate insufficienze basta e avanza il puntuale e tempista Floccari.  Sarà comunque serie A. Con un Masina e Giaccherini da Europeo. Conte pensaci.

Carpi 6. Ritornar sui propri passi riacquisendo  la purezza smarrita, a volte val più di qualsiasi utopistica salvezza. Va cosi che dopo mesi di squinternati cruciverba multilingue ,il Carpi si sbarazza di tutti i suoi equivoci estivi per ritornar quel che era e forse sarà.  Senza rimpianti e un Verdi in più.

Chievo 6,5. Se ti danno dieci milioni per Paloschi, non devi star lì a titillare il pelo.
Se hai Inglese che scalpita e Floro Flores duttile e reattivo in area di rigore la salvezza comunque in tasca . Il resto e un campionato tranquillo da svagare con Ninkovic e Spolli tutta salute e ancora tante soddisfazioni.

Empoli 6. Esce Barba entra Ariaudo. Sul treno della coerenza i toscani stanno in prima classe. E sorridono felici.

Fiorentina 6,5 Beninteso, il ritorno di Zarate era da collasso. Correggere il tiro con Benalouane, Costa, Kone, Tello da squadra e società che crede ancora nella chimera titolo e dinamica si fionda sul terreno di gioco. Senza i tempi morti Suarez e Rossi dare di più è quasi un obbligo.

Frosinone 4. Sarà per un'altra volta. Ma quando?  I ciociari non han mai dato l’impressione di credere realmente nella salvezza e di certo l’avvicendamento Pryima/Diakite non cambia il verdetto di una retrocessione già scritta.


Genoa 6.  Entra Cerci esce Perotti . Questi i nomi lampanti della solita baraonda allestita da Preziosi in sede di mercato.
La sufficienza è tutta per Gasperini il quale riuscirà comunque a trarne profitto. Forse però i tifosi e la piazza meriterebbero qualcosa di meglio di siffatti caroselli.


Hellas Verona 4. Peccato. Ad agosto l’Hellas mi piaceva proprio. Non so cosa non abbia funzionato. So che adesso quell’Hellas non c’è più. Andati via Rafael, Sala e Hallfredsson non puoi sostituirli con Marcone, Gilberto e Furman. Retrocessione certa e permanenti rimpianti alle porte per i figli di Giulietta.

Inter 5. Esce Guarin entra Eder ma i nervi restano scoperti e lo spogliatoio in ebollizione.
Non è e non sarà l’italo brasiliano, la panacea ma quei soldi che potevano esser spesi diversamente.
In fondo, in quella posizione Mancini ha Jovetic e Lljaic.  Non bastavano?
Serviva un centrocampista in effetti. 
Ma forse nell’Inter muscolare e virile di questi tempi un ometto gracile e zuccherino sarebbe risultato un alieno. Come Mateo Kovacic ad esempio.
Però vuoi vedere che quel ragazzino croato gettato lo scorso agosto a cuor leggero e vaglia pesante nel salotto buono del Real Madrid era l’uomo giusto ? Incredibile il geniale Mancini dei tempi che furono non se ne sia accorto.

Juventus s. v. A dimostrazione che a Vinovo non perdono tempo a inseguir chimere Marotta e Paratici trafficano sul prodotto interno lordo assicurandosi i gioielli del futuro giocando di sponda con il Sassuolo.
Mandragora, Sensi, Trotta son operazioni da urlo. Aver trattenuto Zaza e recuperar Pereyra, mosse da campioni d’Italia. Al momento solo il Napoli non è d’accordo ma da qui a maggio chissà.

Lazio 5. Il trentatreenne Bisevac non può considerarsi un rinforzo. È un rattoppo in effetti.  In estate i veri botti. Quest’anno ormai è andato.

Milan 5. Adriano Galliani non poteva esimersi e puntuale non s’è sottratto al fascino retrò dell’ennesimo cavallo di ritorno.  Boateng rassegnati. Melissa è meglio. Il resto è la solita ridda di speranze puntualmente deluse. Da Berlusconi non ci si  poteva attender di meglio e se anche i cinesi s’allontanano vuol dire che hanno capito il Silvio prima di noi. Ahimè.

Napoli 6. Dalla capolista dalla panchina corta era lecito aspettarsi qualcosa di più. Regini e Grassi comunque son buoni. A Sarri farli diventar ottimi. Visti gli attuali esiti non si può non pensare sarà così anche in questo caso.


Palermo 5. Zamparini per come gestisce la sua squadra meriterebbe la retrocessione per direttissima.
Se quest’anno manterrà la categoria, sarà solo perché Verona, Frosinone e Carpi son legittimamente inferiori.
Cristante resta un buon colpo. Attorno a lui figurine trascurabili di una struttura deficitaria fin dalle fondamenta.

Roma 5,5. Zukanovic, Perotti, El Sharaawi non son dei rinforzi plausibili. Se non rivisitazione di un progetto scopertosi nudo di futuro e meta.
Ridicolo parlare di Europa League se prima ciarlavi di scudetto. Patetico fare esperimenti a campionato in corso. Da Spalletti si aspettava la scossa . Sembra invece la squadra stia regredendo e un colpo di tacco non fa svolta.

Sampdoria 5. La squadra di per sé non sarebbe neanche male. Quagliarella è un top. Tuttavia è la gestione Ferrero a destar sospetti e preoccupazioni. E Montella non ci ha ancora capito nulla.

Sassuolo 7. Pur in sinergia con la Juventus è la squadra che interpreta al meglio il senso del mercato di gennaio programmando e pensando al futuro. Mazzitelli, Sensi e Trotta son operazioni da urlo e uomini protagonisti ai prossimi Mondiali di calcio.
Scommettiamo?

Torino 6 . Immobile non basta. Il suo ritorno è la certificazione che una rondine non fa primavera e certi titoli non valicano che insulse alterigie private di cui con più raziocinio si potrebbe far a meno.
Comunque la salvezza c’è e per quest’anno va bene così.

Udinese 6. Non sempre Di Natale si è  felici . Quest’anno la Befana è stata cattiva non regalando ai Pozzo la solita gallina dalle uova d’oro stagionale.
Ragion per cui, per stare tranquilli come non mai quest’anno l’Udinese ha fatto ricorso alla solidità dell’esperienza di Kuzmanovic e Hallfredsson. Rude contrappasso della classifica che chiude. Il pepe di Matos a restituirci quel friccicore tipico del sogno di mezza estate che tornerà a schiudersi solo tra qualche mese.

Nell’attesa buon divertimento e buon calcio a tutti!!!!!!