Non era una brutta giornata,
non lo aspettava niente di tragico. Ma Antonio quel giorno non aveva proprio voglia di uscire. Si
preparava con cura davanti allo specchio del bagno. Si limava per bene le
unghie. Si stirava le dita Le guardava .
Abbi sempre cura delle tue dita ché ci son un sacco di soldi dentro. E quanto gli mancava Nora che gli diceva così. E quando lo diceva, Antonio sorrideva di nascosto sorpreso di come le donne potessero vedere tanto in là un qui che ancora non c’era. Era il 6 novembre 1997. Fu in quel momento che prese una ossessione cosmica per la lettera n e la m. Era una stupidata ma quel ricordo lo scaldava ora in un modo diverso: un po’ lo rincuorava, un po’ sottolineava il disagio per quel freddo fuori. Fuori- un luogo assolutamente ipotetico dove nessuno parla, ma tutti sbavano cercando di dire.
Abbi sempre cura delle tue dita ché ci son un sacco di soldi dentro. E quanto gli mancava Nora che gli diceva così. E quando lo diceva, Antonio sorrideva di nascosto sorpreso di come le donne potessero vedere tanto in là un qui che ancora non c’era. Era il 6 novembre 1997. Fu in quel momento che prese una ossessione cosmica per la lettera n e la m. Era una stupidata ma quel ricordo lo scaldava ora in un modo diverso: un po’ lo rincuorava, un po’ sottolineava il disagio per quel freddo fuori. Fuori- un luogo assolutamente ipotetico dove nessuno parla, ma tutti sbavano cercando di dire.
Antonio sarebbe voluto restare nel proprio sgabuzzino
quel giorno. Non
andare al lavoro, non vedere nessuno, passare la giornata a fare un abisso
di niente. Magari a preparare gli
scatoloni, che il trasloco era vicino. Magari prendersi il lusso di vederla sgusciare
piano quella giornata , tenendo in mano di volta in volta una tazza d’orzo, un
buon libro, un telec
omando, un rimpianto smangiucchiato ai bordi . Senza un
ordine preciso. Ché al caos organizzato Antonio era abituato.Ma quel giorno c’èra da andare . Si doveva. Pensava questo Antonio , per farsi coraggio; per rimuovere quel macigno davanti alla entrata dello sgabuzzino e andare fuori. Dentro la nuova giornata, in quel sole buio di febbraio monco di braccia calde ad attenderlo.
Il marrone è un
bel colore, pensava indossando il cappotto con la mano
ferma e languida di un donnaiolo
navigato. E intanto che lo pensava, nello specchio si vedeva cereo. Colpa di
quella lampada a risparmio energetico, meno umana e vivace di quelle a
incandescenza permanente che aveva da
bambino, a casa. Sarà che fuori dalla finestra non c’èra quella fila di
montagne informi che da piccolo dislocato dai nonni, lui chiamava per nome. Sarà che anche quella vita
era un po’ a risparmio energetico.
Cercava pensieri positivi Antonio
traccheggiando pigro sull’androne e nel farlo andò a scavare in fondo a un alito
immenso. Quando riemerse, pensava alla
scrittura. Pensava alle vibrazioni di quella macchina per
scrivere rossa sdraiata in un angolo della stanza da letto. Si ripromise di correggerla
meglio quella storia: di trovare nella testa il giusto estremo, il punto di svolta
necessario perche tutto scorresse meglio . Proprio lì al centro della fronte, un po’
più sopra gli occhiali la parte più dignitosa del suo sguardo.
Proprio lì dove sentiva l’istinto di isolarsi, di restare coperto, di non subire impietosi assalti dal mondo . La stessa carica che invece, quando scriveva, sembrava trasformarlo. Socchiudeva gli occhi e volava. E in certe sere eccezionali, gli sembrava che anche il foglio fosse attratto da quel fiume in piena di parole fluente tra le dita. Gli sembrava di avere un potere immenso, simile a quello dei suoi sogni di bambino: quando si vedeva su un palco con Cristina D’Avena cantare una sua canzone e studiava per ore quell’inchino leggero, quello da fare quando tutti applaudono sperando in un Bis. Quando tutti sembrano concordi e felici di vivere tutti sotto lo stesso cielo.
Proprio lì dove sentiva l’istinto di isolarsi, di restare coperto, di non subire impietosi assalti dal mondo . La stessa carica che invece, quando scriveva, sembrava trasformarlo. Socchiudeva gli occhi e volava. E in certe sere eccezionali, gli sembrava che anche il foglio fosse attratto da quel fiume in piena di parole fluente tra le dita. Gli sembrava di avere un potere immenso, simile a quello dei suoi sogni di bambino: quando si vedeva su un palco con Cristina D’Avena cantare una sua canzone e studiava per ore quell’inchino leggero, quello da fare quando tutti applaudono sperando in un Bis. Quando tutti sembrano concordi e felici di vivere tutti sotto lo stesso cielo.
Forse è questo che gli mancava.
L’occasione di fare quell’inchino. La speranza di vedere qualcuno alzare gli occhi e guardarlo nei suoi. Proprio lì:. al centro della
fronte, un po’ più sopra gli occhiali
la parte più dignitosa del suo
sguardo.
Dove sgorgava, dove straripava, un fiume in piena .
Dove sgorgava, dove straripava, un fiume in piena .