venerdì 30 aprile 2010

La poesia


Non mi piacciono le persone che parlano troppo o peggio ancora quelle che ti aggrediscono in maniera del tutto spropositata mentre stai camminando con un amico o da solo.
Ma non sopporto neanche quelle che non parlano mai e che fanno del mutismo un' arte.
Mi piace la poesia perché con poche parole esprime ciò che la critica letteraria – masturbazioni mentali per masochisti letterati – non sa fare.
E mi piaceva ancora di più quando andavo a rifugiarmi nella mia libreria preferita ad immaginare l'odore dei limoni di Montale mentre la cara Giulia mi rimproverava di non studiare le ossido-riduzioni.
E se non mi piaceva la chimica ero un asso nella fisiologia dello stomaco.
Trangugiare birre e mangiare ottime carbonare con accanto un interista rockettaro e un capellone satanasso mentre immaginavamo le torture e i gironi dell'inferno dantesco era il massimo della vita.
Se un giorno sarete indecisi su chi assegnare il prossimo Nobel della pace non abbiate timore: scegliete un poeta,perché solo la poesia può unire persone all'apparenza diverse.
Ma non i biologi come Giulia: ogni speranza anche l'ultima è destinata a fallire.

martedì 27 aprile 2010

Nessun viagra per i grandi.


Trovo pretestuoso l’esercizio fin troppo ostentato da taluni di classificare questo o quel poeta in questa o quella scuola. L’arte infatti. non è una competizione sportiva e vi sono parole che scavalcano qualsiasi muro e ridicolizzano qualsiasi difesa. Difendersi, tutelarsi, salvaguardarsi. Inscatolare. Ingabbiare, rinchiudere, depotenziare. Solo questo sanno fare i critici. Raramente comprendono. Quasi sempre asseriscono. Perché affermare è lo sport nazionale e perché capire è un lusso per pochi. Una facoltà a cui molti si iscrivono senza mai frequentarla davvero. Eppure è questa a mio avviso, la vera laurea. L’unico premio alla portata degli esseri umani. Capirsi. Ma come tutte le cose evidenti le snobbiamo preferendo arrampicarci su parole lunghe e difficili.
A tutto questo oppongo una parola breve e micidiale: no!
Non m’interessa nulla sapere se un poeta, uno scrittore, un pittore o un musicista sia di destra o di sinistra. E’ soltanto ciò che mi regala quello che conta. Alla faccia della critica militante! Militare poi. Quello non è più obbligatorio da anni. E non è più pensabile. Tale professione richiederebbe attenzione. Prerogativa obsoleta da queste parti. Se ci fosse ci saremmo accorti di Alda Merini molto prima di vederla vecchia scimmiottare se stessa sulle poltrone di Chiambretti. E quella rivoluzione politica sempre minacciata probabilmente sarebbe già avvenuta. Ma poi apro il telegiornale e scopro che i ragazzini ricorrono al Viagra per strappare un gemito di piacere alle loro giovani partner e capisco che l’esistenza è un tentativo fallito. Abortito. Alterato ancora prima dei titoli di testa. Ecco perché la gente ama contrapporsi: per evitare di godere. Sottrarsi al piacere della scoperta. Scoprire la dimensione dell’altro e rendersi conto che poi non è tanto dissimile dalla propria. E’ questo leggere. Confrontarsi. Sport desueto in Italia. Infatti qui leggono in pochi. In compenso ci sono tantissimi pappagalli. Nessuno dei quali d’esportazione però. Anche se alcuni, agitano le penne come se lo fossero. E’ a giudicare dal rumore che fanno, sicuramente lo pensano.
Io non ho bisogno di nessun Viagra: di nessun partito. Sono le persone molto piccole che si devono schierare. Chi ha il coraggio di un emozione no. Chi esasperato tenta di erodere i confini del possibile nemmeno. Quelli sono i grandi. Quelli sono autonomi: stanno in piedi da soli.

sabato 24 aprile 2010

IL 25 Aprile


Non posso parlare di politica perché non sono un esperto e perché non mi interessa il settore.
Non vorrei annoiarvi con frasi fatte e stereotipate; sarebbe come ascoltare Gabriella e le sue amiche parlare di letteratura o di musica: una tortura fisica e morale.
Ma il 25 Aprile va ricordato e commemorato perché troppe persone, troppi politici cercano o fanno in modo di dimenticare questa data che fa parte del nostro DNA, del nostro essere italiani.
Una festa da condividere con i nostri anziani che hanno combattuto il nazi-fascismo e da far conoscere ai nostri ragazzi così innamorati del Duce e dei suoi motti.
È vero, come scrive Giampaolo Pansa ne “ Il sangue dei vinti” e ne “ La grande bugia”, la Resistenza ha fatto molte vittime ma è anche vero che migliaia di ragazzi combatterono sulle montagne in condizioni estreme per liberare il paese da una dittatura stupida che
aveva portato il paese al fallimento e alla guerra.
Festeggiamo allora il 25 Aprile e imbracciamo il Tricolore ma non per pulirci il culo alla maniera leghista.
Quello lo stiamo già facendo con la Costituzione.

domenica 18 aprile 2010

Dafne


Ricordo ancora il giorno in cui vidi Dafne per la prima volta ( perché così avrei voluto chiamarla e penso di farlo ancora).
Forte dei miei diciannove anni , mi avvicinai ad una ragazza dall'aspetto mediterraneo e dalla parlata strana: un dialetto umbro che rendeva ogni parola, anche la più brutta e sgraziata come il mio nome, terribilmente dolce e soave.
La “ g “ di Biagio scorreva fluida come acqua sulla roccia e mi rendeva con poco l'uomo più felice del mondo.
Con Dafne posso dire di aver scoperto l'amore e di averlo lasciato li con lei.
E dal 2004 vivo con lo spettro di Dafne nella testa e non c'è più spazio per nessuna.
Birre sigarette o cocktail non possono fare il miracolo; solo la musica e qualche lettura possono alleviarti il dolore.
Sei anni.
Sono sei anni che non provo più nulla per una donna se non a livello fisico.
E vivo in questa specie di dimensione parallela dove passo per un cinico bastardo e figlio di puttana.
Magari è vero e mi piacerebbe anche esserlo, un po' come “ Il Freddo “ di Romanzo Criminale.
Oppure la spiegazione è un'altra: pretendo troppo da me stesso e dalle donne.
O sono magre o sono grasse o sono brutte o sono stupide.
Eppure guardandomi allo specchio sono l'ultimo a dover parlare.
Forse è che voglio rimanere solo ancora un po' e le coppie preferisco guardarle da lontano mentre si allontanano mano nella mano nella bolgia di un sabato sera mentre fumacchio una marlboro e ascolto jazz seduto in macchina.

venerdì 16 aprile 2010

Un colpo.


Sento il bisogno di qualcosa di forte per superare questa lunga giornata del cazzo. Dopo la riunione a cinque di ieri pomeriggio con i vertici massimi della depressione post e ante lauream, ho deciso che non posso continuare con questa mia vita fatta di saliscendi - ascensore e scale del ponte Bucci- ma ho bisogno di uno stimolo , anche sessuale (e vivaddio le donne non mancano ), per risalire il fondo.
Un solo colpo, uno solo e nulla più.

martedì 13 aprile 2010

Frammenti notturni (Un disordinato puzzle d’idee notturne utile per qualche riflessione diurna…..)


Notte confusa. Notte contusa. Notte collusa. Notte callosa. Notte cazzuta. Notte cicciona. Notte zotica. Notte cornuta. Notte caprona. Notte silenica. Notte calabrese.
Notte a C..
Tracce invisibili, frammentarie, sospese, quasi irriverenti, strappate dal finale di una storia che non sarà mai scritta perché intanto è notte e di notte accadono cose che al calor del Sole (o forse è meglio dire di quel che n’è rimasto?), con uno sforzo omerico puoi soltanto immaginare nemmeno condividere… con chi poi? Con il fumo annebbiante di una marmitta catalitica scadente? Il gas di scarico strafottente? Il clacson intraprendente? Mmmm… davvero poco interessante…
Notte di sugna e salsicce, patate e capretto, notte di fagioli e lenticchie, notte di quarti, notte che c’è da star stretti, notte che poi non puoi digerire il secondo se non prendi il digestivo mentre quel che resta di un appartamento celebra la sua dolce agonia con Ricky Martin che balla e si scambia occhiate d’intesa con Robbie Williams che insegue e s’imbatte in Gigi D’Alessio figlio di Nino D’Angelo, nipote di Mario Merola, ultimo discendente dell’immortale e sempre generosa canzone napoletana.
Fuori sulla strada il Caos urla il suo dolore e rinnova la sua malattia sgolandosi come neanche Jhonny Weissmuller ai tempi d’oro (il primo “Tarzan” ricordate?).
Ci sono solo macchine in giro. Macchine lunghe e scure, come bare ambulanti, cimiteri semoventi, tergicristalli abbaglianti, fendinebbia seducenti, pneumatici rotanti su strade che vorrebbero essere libere e lussuriose come quelle di Los Angeles e Las Vegas e invece al contrario sono pieni di “Stop” inquietanti e divieti illusori che in ogni modo sono importanti perché tengono a galla i sognatori e fanno sospirare i poeti, salvo poi affondare senza speranza su qualche costa pugliese dove all'erta come famelici avvoltoi incuranti che attendono di fiondarsi sulla preda esangue, stanno fantocci panciuti col riporto che pende da dietro a far loro compagnia, ingioiellati di tutto punto che aspettano di spartirsi l’infame bottino del loro nefando commercio.
L’aria si fa fastidiosa. Diventa irrespirabile. Pullula di morte.
Come morti sono i miti. Freddy Mercury, Jhonn Lennon, Augusto Daolio, Pierangelo Bertoli, Fabrizio De Andrè, Lucio Battisti, Nike, Tendenza, Uniform, … tutto falso non esiste più niente. Perché ora hanno tutto in mano i cinesi e chissà quando assisteremo a una reale ripresa dell’economia e usciremo dal buio sottoscala del lavoro in “nero” i Valori sono morti, seppelliti senza messa. Andiamo tutti a mensa! Meglio quella di Ingegneria o Economia? Boh! Mistero glorioso.
Ora resiste solo la Lecciso che chissà se si rimetterà con Al Bano e alla fine la loro e solo una messinscena ben retribuita. Ora i Valori si tirano fuori come il coniglio dal cilindro quando ci sentiamo per davvero sull’orlo del baratro. Ma che fa? Tanto nessuno se n’accorge perché dobbiamo correre, mettere tutto a posto, stare a posto, stare sul posto perché sennò c’è lo fregano da sotto il naso e via così fino a diventare Campioni di Nevrotismo perché ottobre e il mese della prevenzione e una visita dall’analista non c’è la leva nessuno e tanto è gratis sperando di digerire l’ultimo scandalo i pensieri ruotano tra le trasversali delle percezioni, amalgamate a quelle degli altri simili, sempre s’incrociano mai si ravvisano, prillano tra le storie agucchiate a quelle degli altri simili che spesso correndo s’affiancano e capita che voltandosi s’appoggino perfino si spalleggino, ciondolano tra singulti vari nei vertiginosi incavi cerebrali che possono collimare con quelli degli altri simili che spesso s’abbigliano e si svestono dei medesimi abiti e mai s’imbattono l’un l’altro confusi e scagliati e poi insultati dalla dirompente e brutale forza inviataci dalla scatola quadrata della TV che spesso assale anche i tuoi simili alla quale ci viene chiesto di obbedire come invariabile legge intima ed individuale reale valore pari ed ordinario firmata dal Fato in persona con tanto di privilegiatura nel corso della procedura senza errori di punteggiatura per il quale a volte ci si consuma poi a vicenda ci si consola e di ciò mai ci se ne dimentica e chissà magari per un inatteso disguido del possibile forse riscatteranno una storia piena di lacrime e sangue, sudori e patimenti perché dalla famiglia Savoia, a Mussolini fino a Berlusconi non è cambiato niente. La gente piangeva prima e piange anche adesso. Sono cambiate solo le scenografie. Fateci caso: Un tempo, un cuore affranto godeva del tepore del focolare domestico e dell’abbraccio dei propri cari. Ora se deve piangere va direttamente su qualche sciatta poltrona di qualche scalcagnato talk- show (se sia “Porta a Porta” o “Matrix” non importa: l’essenziale e che la telecamera sia accesa e via! Lo spettacolo può iniziare).
Sulla poltrona di casa c’è Ciccio che di pensare e della storia (ha 4 in pagella), non se ne frega nulla e guarda Maria con i suoi tronisti che chissà se Giada si fidanza con Simone o tutto si risolverà in una bolla di sapone… Come quasi tutto del resto. Perché di pensare non ne vale la pena con tutti i milioni di problemi che ci sono ragionare sarebbe insolito, e tanto il suo pensiero non fa la differenza e poi non vorrebbe mai ritrovarsi alla fine delle vacanze di Natale invece che con qualche tanga di una “bonazza” tedesca sul cruscotto mesto ad ascoltare un programma di dediche e auguri alla radio. Al solo pensiero si sente male. Puah! Non gli reggerebbe il cuore…
Meglio andare allo stadio….
E poi? Vuoi mettere? E’ meglio il Manchester Castrovillari!!! (situazione attuale: alta classifica I categoria). Senza dimenticare il Castro!!!!!!!!!! Un amore…. Una perversione. Un esasperato tentativo di erodere i confini del possibile nella speranza di raggiungere l’orgasmo collettivo……………
Notte tagliente…. Notte di chi non riesce a dormire…. Notte che ci vorrebbe tutta l’acqua del Giudizio Universale più qualche animale dello zoo comunale ed invece ecco tutti i santi del mondo specializzati nella fornitura dell’acqua ché non potrebbe arrivare pure in Africa e togliere un bel po' di castagne dal fuoco a chi muore ogni giorno beffato da una zanzara, dribblato da una puntura, penetrato da una puttana, sconfitto dalla malaria, incastrato da una zanzariera che non funziona, imputridito dalla malora, prodotta dal Mondo Civile (ma siamo sicuri sia civile? Chi scrive nutre i suoi sereni dubbi…)
Per le strade, negli stadi, nelle case dove nessuno va a vedere ci sono ancora bimbi che piangono perché si chiedono come è possibile essere estranei ad un mondo che appena esci di casa ti chiede comunque di portare frutto, pretende da te qualcosa…
Non importa cosa. La cosa essenziale e che “faccia mercato”. Di cosa? Nemmeno quello importa. La cosa importante è essere in corsa. Correre più forte del tuo avversario e farlo secco alla prima curva. Prima che se ne accorga lui e il suo cervello sia invaso dal tuo stesso identico pensiero.
Adesso si muore così. Anche senza accorgersene. Ci si spegne piano, lentamente, tra la gente, che si muove indifferente tra offerte speciali, avvisi su giornali, costituzione violenta, prostituzione indotta, raffinata violenza subliminale che accettiamo di ingurgitare con la promessa di gareggiare. Ma che fa? Gareggiavano anche i dodici apostoli che pure avevano di fronte un esempio irraggiungibile e quindi figurarsi se questo non lo possiamo fare noi… la verità è una sola: moriremo tutti asserviti ad un'unica legge possibile: quella del conformismo responsabile!!!!!!
A meno che, stanchi di troppi 3 X 2, bollini da attaccare, cianfrusaglie da collezionare non ci ribelleremo di nuovo è allora sarà di nuovo RIVOLUZIONE!!!!!!!!!
E al grido di “SU CON I PALLONI FUORI I COGLIONI” sarà di nuovo Primavera di Praga e l’amore che oggi vaga triste e scornacchiato per le strade del mondo prigioniero di mille e coloratissimi involucri di gomma tornerà a vivere nei nostri cuori genuino cristallino soave padrone…
Forse questo però adesso è solo un sogno. Chissà per quanto tempo l’umanità dovrà strisciare costretta nel girone di chi compete a tutti i costi per un tozzo di pane e una lisca di pesce. Sul tavolo non c’è rimasto che un bicchiere di vino e un po' di immaginazione e così una pesca sa di Spagna e chissenefrega se non è tanto buona.
Ora il nostro uomo si alza perché ha fame. Pensa ad un panino pomodoro- lattuga- tonno e maionese il tutto innaffiato da una buona bottiglia di chinotto (che per chi non lo sapesse è la versione “strong” della Coca-Cola).
Ah! Adesso sì che si ragiona! Un attimo però…manca qualcosa:……………………….
Ci vorrebbe una sigaretta. Ma egli non sa fumare.
E’ in ogni caso a che serve? Alla fine muoiono tutti. Come entrare in Paradiso e poi essere sbattuti di nuovo fuori senza sapere bene il perché.
E comunque perché concedere al Mondo la tregua comoda e beffarda del dubbio?
No… troppo comodo! La Civiltà non può nutrirsi solo di cadaveri in permesso speciale e prepagato verso il Nulla, l’Oblio, la Dimenticanza…
Ci vuole anche il Cuore. In coppia si combatte meglio…
Ma da lassù nemmeno un eco, nessuno risponde…
Una notizia! Tragica. Meglio cosi perché domani sai che titoloni in prima pagina:
IL CUORE E’ MORTO!
O in prognosi riservata? Nessuno sa dirlo. Questi poveracci non sanno mettere due congiuntivi nella stessa frase figurarsi prendersi la briga di spiegare, capire, parlare flebili segni di vita parlano per lui quasi a voler sostituire la vita stessa che è come un treno in corsa dove molti parlano, pochi ascoltano e tutti capiscono ed ogni volta sempre più da lontano… troppo…perché la gente non sa più parlare, o forse non gli sì da più il tempo, la speranza, il fegato di vivere dei momenti che passano ma non restano quel tanto che basta a farla sentire completamente viva…
Ora alla Gente non rimane più niente. Il fegato di resistere nemmeno. Un’utopia per cuori forti. Pochi in circolazione per la verità. Quasi nessuno effettivamente.
Sogno uno scalino dove abbandonare i miei pensieri…
Ma per adesso davanti a me c’è solo un tunnel insidioso, serioso, distratto, dischiuso, disilluso, rintracciato per caso in mezzo a curve pericolose di parole vanitose che uccidono la lingua e mortificano lo Zingarelli.
Lo giuro: se un giorno dovessi incontrare la Morte non mi muoverei di un passo. La fisserei benevolo. Probabilmente la inviterei a cena e già che c’è me la farei preparare. Io sono troppo occupato a pensare…
e…….
A scrivere.
Scrivere è uno dei modi più belli di passare la notte che sia mai stato inventato specialmente se la si completa con un paio di Vecchia Romagna d’annata. Una sola parola per tutto: splendido.
Morirei ridendo dopo aver scritto quindicimila libri e messo al mondo tre figli. Andrebbe bene anche il contrario però…
Con i pacchi per compagnia e un uomo dall’aspetto ruspante e casereccio che sembra essere sempre sul punto di uscire dallo schermo per chiedermi un tovagliolo per asciugarsi il sudore costantemente accerchiato da signorine seminude dall’espressione ovvia e rassicurante, generose nelle scollature e avare di congiuntivi mi faccio coraggio e scendo sul Corso.
Sono le 4 meno 5 del mattino, e le scatolette di mais e tonno si mischiano complici e intriganti all’odore di “Gazzetta” invecchiata di dieci anni.
Damiano il vicino, getta sornione la spazzatura, una 112 FIAT AUTOBIANCHI con aria indifferente smaltisce la sua sbornia di clacson e semafori. I bari di professione giocano la loro “ultima carta” della loro infinita partita con la vita e con il Destino. Gli autostoppisti dell’ultima ora chiedono “asilo politico” a macchine che non si fermeranno mai.
Un po' d’angoscia solidale partecipa al loro dolore collettivo ma è solo un momento.
Il mio naso, percorre libero, il viale ormai sgombro del mio spirito.
Ah! Non c’è dubbio! Ora si respira meglio!
M’incammino verso l’alba promettente e meravigliosa con una ventiquattr’ore in mano e un’idea meravigliosa in testa bruciando senza alcun rimpianto l’ultimo pensiero di quest’infernale giornata. Mi metto seduto fermo a pensare…
E ‘ un’occasione unica fra poco la giostra ricomincia……..

PS: Dedicato a tutte le donne e agli uomini di buona volontà nella speranza imparino che le cose non sono amore, e rivolgano il loro spirito verso il respiro vitale delle cose mute, e ai bambini che sono l’ultima carovana illesa di questo grande mare che è il mondo.

lunedì 12 aprile 2010


Dopo anni di allontanamento volontario dal mondo religioso , dovuto in buona parte alle letture “cattive” che insieme alle compagnie hanno contribuito a fare di me ciò che sono, giovedì – la sera del giovedì santo- per far felice mia madre e per non finire ,come dice lei, tra le fiamme dell’inferno, decido di andare a messa.
Dopo l’iniziale imbarazzo scelgo un luogo appartato e cercando di dare un tono alla mia figura di agnostico e nichilista , faccio finta di pregare o perlomeno è quella l’impressione che davo alla gente.
Vedendo la lunga fila di persone che aspettavano di confessarsi pensavo che era bello essere cattolici : peccare e poi ricominciare tutto daccapo dopo aver raccontato ogni cosa al sacerdote è un privilegio che solo loro possono avere.
Io invece parafrasando Faber ho licenziato Dio e posso solo sperare nella clemenza e nel perdono delle persone ma so che è un’impresa ardua e allora dovrò fare come i negligenti di Dante : pentirmi all’ultimo secondo e aspettare secoli e secoli nell’antipurgartorio.
Mi direte che sono un superbo e altre cose del genere ma vedere degli individui che alla fine della funzione si azzannavano per un tozzo di pane benedetto e lo divoravano con una ferocia che neanche gli affamati del Burundi, ha risvegliato in me quella sorta di odio verso il genere umano che era andata scemando durante il corso degli anni.
Risvegliato.
Perché stavo abituandomi alla gente, alla sua confusione e al suo parlare anche se non mi trovava sempre d’accordo.
Ma la scena del pane, quel pane tanto desiderato nonostante nelle nostre case abbondi e avanzi, mi ha nauseato.
E così stordito da tanto rumore, decido di perdere gli ultimi brandelli di dignità facendomi venire il torcicollo davanti al bancone del mio pub preferito sorseggiando pinte di Guinness e pensando che la chiesa può fare a meno di me come io di lei.

sabato 10 aprile 2010

Inaspettate conferme


Ora ne sono certo:esistono più mondi da esplorare e più orizzonti di quelli che riusciamo a vedere. Dentro di noi c'è un Cristoforo Colombo impaziente di salpare. Se solo ci dessero le caravelle...
Ma il cielo è sereno. Domani sarà una grande giornata. Il vento gioca con me tentando di spettinarmi. Bel match. Sorrido. Pari e patta. Meno male. Sono ancora vivo.
La sconfitta può attendere...

Intuizione mattutina


Questa notte ho fatto un sogno. Un sogno strano, di quelli che fanno riflettere.
Ero anziano. Una lucida sensazione mi prende intero. Questa cosa dell'età. tornerà spesso d'ora in poi.
Consumato da mille esperienze che formano il mosaico dell mia vita, cerco la luce di uno sguardo profondo che oltrepassi la lurida forma, entri nel mio cuore e faccia gol nella mia anima. Dentro di me. Un salotto per pochi intimi. Mi guardo intorno. Ma la mia vista è impedita. Strane nubi s'alzano all'orizzonte. Nere. Un nero opprimente. Impossibili da indossare. Tantomeno da addomesticare. Inaccettabili. Non mi do per vinto. Accetto la sfida. Mi lancio nel vuoto. Sono dentro. Atterro. Accidenti!. E' come se fossi nato una seconda volta. Ma stavolta però non piango. Mi alzo subito invece. Sono sveglio, vigile e spedito. Voglio vedere. La gente. Ma anche qui è come da noi. La gente si sfiora, si violenta continuamente ma non si guarda, nè s'ascolta ne s'accorge dell'altro ne sa cosa vuol dire prendere la mano di chi si vuol bene.
Mi sveglio. E' l'alba, Rifletto. Bisognerebbe essere anche un pò degli altri . Legittimare la natura umana. La sua inclinazione al sentimento. L'uomo non è solo sul cuor della terra. E' pigro.
Bella intuizione mattutina. Posso vestirmi felice. Domani sarò più tollerante.
Più umano.

Panegyricus Bubbae


Prendete una ragazza - Angela Bubba – dall’aspetto fiero e altezzoso, forte dei suoi premi letterari vinti a soli vent’anni; affiancateci un presidente (!!!) di un’associazione universitaria che cerca di fare cultura invitando il biografo di Vasco “ na na na “ Rossi ; mischiateci un preside di facoltà che si lamenta del fatto che a Lettere non si legge se non durante i periodi di esame ; aggiungeteci pure un antropologo dallo spiccato accento bibonese e un professore di letteratura che sembrava avere accanto l’ultimo premio Nobel della letteratura.
Bene. Il panegyricus Bubbae è cotto e servito davanti ai vostri occhi e soprattutto, alle vostre orecchie.
La lezione di Dante, quel << considerate la vostra semenza >>, sembra abbia colpito particolarmente la giovane Bubba, che alla ricerca del lato ellenistico della vita(è ciò che dice lei su feisbuk) , ha scritto un romanzo, “La casa” , dove narra le vicende della sua famiglia e che le ha dato quella popolarità che manca ad una sua coetanea.
Angela Bubba orgoglio calabrese ( ma non era il peperoncino???) è apparsa ai miei occhi come una Thatcher in miniatura, una donna di ferro dal cui viso non traspariva alcuna emozione o voglia di farmi innamorare – in senso letterario – di lei.
Una ragazzetta di estrazione medio- borghese che descrive la Calabria ma che lei ,a mio avviso, non conosce o conosce poco. Solo chi ci vive può sapere i problemi di questa regione che non ti vengono a bussare a Villa Borghese mentre ti fai fotografare o sei in uno studio televisivo a presentare il tuo libro.
Angela Bubba, una ragazzina dalla voce sottile senza la cadenza dialettale che contraddistingue i personaggi del suo romanzo.
Una tipa che parla di critica letteraria come crisis , di affabulazione e che invita gli iscritti a Lettere a leggere romanzi e libri.
Una cosa dal sapore falso ma che la pongono ad un livello superiore rispetto a chi l’ascolta, una cosa del tipo: <>.
E mentre lei dice di essersi “ formata” con gli autori russi penso ai miei vent’anni passati a spaccarmi i timpani ascoltando i Metallica , Beastie Boys e leggendo Irvine Welsh e Stephen King.
E anche se a me non daranno mai le chiavi di una città ho sempre quelle di casa dove corro a rifugiarmi nella mia poltrona preferita.
Ma forse questo è materia da romanzo e io, per fortuna o purtroppo come insegna il grande Gaber, non sono Angela Bubba….

L'amore al tempo di internet



Ricordo con esattezza la mia prima mail spedita.
Era il dicembre del ’99 e, appassionato qual’ero e sono dei Simpson, decisi di mandarne non senza qualche difficoltà una alla Fox.
Ovviamente non mi risposero ma da quel giorno il simbolo della chiocciola non mi avrebbe più spaventato anzi cominciai ad entrare nel meccanismo perverso delle chat e a conoscere centinaia di ragazze con cui scambiare mail su mail.
Ma i messaggi che scambiavo con queste ragazze , sarà stata l’età e la tempesta di ormoni, non sono per nulla paragonabili alle e-mail dei protagonisti de “Il sognatore di algoritmi”.
Giulia Fresca – ingegnere ,giornalista e non per ultimo scrittrice – non inventa per il suo romanzo nulla di nuovo: nell’anno del Signore 2035 viene trovato un CD con tutte le e-mail , le conversazioni tra Antoñejo e Jodie.
Due personaggi dai nomi strani ma dai comportamenti così comuni che avrebbero fatto la fortuna di un qualunque libro di Federico Moccia .
Scambiarsi via internet lunghe e zuccherose frasi del tipo << ma gli occhi non si possono uccidere, sono lo specchio dell’anima che non muore>> intervallando tutto questo con articoli di cronaca e soffi poetici (poesie) è ciò che farà scatenare l’algoritmo dell’amore.
Me li immagino Antoñejo e Jodie, bellocci come Tom Hanks e Meg Ryan in “ C’è posta per te” (1998), seduti nelle loro poltrone davanti ai loro PC a discutere di fisica nucleare e poesia aspettando impazienti il momento di incontrarsi.
Un libro consigliato a chi vuole spappolarsi il cervello e far aumentare il livello di glicemia nel sangue.
Se invece volete far scattare il vero algoritmo dell’amore prendete venti euro – che è poi il prezzo del libro- e invitate un ragazzo/ una ragazza a bere qualcosa al vostro locale preferito.
I vostri neuroni ( e non solo) vi ringrazieranno.

mercoledì 7 aprile 2010

Vita morte ? No. Meglio un compleanno!!


Oggi ho compiuto ventotto anni. Un’età in cui anche il Peter Pan più convinto deve decidersi a metter la testa a posto. Per quanto mi riguarda io, l’ho sempre tenuta ben attaccata al collo. Ma certo però è frustrante rendermi conto che alla mia età non sia riuscito a trovare ancora nessuno. Mia madre a quest’età aveva già due figli. Constatazione utile al raggiungimento di un dato di fatto: c’è chi è nato per dare la vita e chi invece per toglierla. O soltanto guardarla. Nei televisori degli altri. Io non voglio fare il portoghese della vita. Voglio… fermo! Meglio non andar troppo oltre. Il terreno potrebbe arrestarsi di colpo ed io rimanere imprigionato nel limbo dei miei limiti eterni. Mi fermo. Rifletto. Vita. Morte. Due traguardi separati da una linea. Continuità. Esistenza. Trapasso. Transizione. Trasferimento. Verso dove? Lontananza. Abbandono. Un punto ci vuole. Punto appunto.
Ma la folla è sempre lì che attende una mia risposta. Mi sa dovrò rimandarla a data da destinarsi Oggi è il mio compleanno. Mi voglio divertire. Così passerà un altro anno senza che io abbia timbrato il cartellino. E’ così la Vita e la Morte restano a fissarmi senza che io abbia compiuto una scelta. Senza che io abbia deciso da che parte della linea stare. Ma oggi è il mio compleanno. Il mondo è confuso. La vita vuota. La morte piena. Non sentiranno la mia mancanza.

Atto primo


Non molti anni fa, quando ero ancora un ragazzo alla ricerca di se stesso, perduto tra i banchi di scuola del glorioso liceo Giuseppe Garibaldi, mi capitò di incontrare una tizia che avrebbe cambiato la mia vita.

Era il 6 novembre 1997. Quando si presentò Lei. Era bella? Non lo saprei dire. Attenzione non che avessi scelto strade diverse, ma già a quell’epoca sapevo che tra uomini e donne c’erano delle distanze invalicabili e nessuna Maria De Filippi a moderar tra le parti. A quell’epoca non mi era concesso di soffermarmi su questi particolari e lo confesso, anche se lo fosse stata, non ci avrei fatto caso. Allora (avevo quindici anni), ero abbastanza maturo da comprendere che non era il caso di perdersi dietro fantasie da camionista erotomane che poi avrebbero finito col nuocere gravemente il mio ancor giovane sistema nervoso.

Così fin dall’inizio del nostro “rapporto di lavoro”, presi a trattarla come e peggio di una scarpa vecchia con la stessa maligna indifferenza di un lord inglese, la freddezza di un boia, l’arroganza di un vecchio ottuagenario col cuore indurito da troppe delusioni e amarezze.

Lei mi voleva bene? Non lo so. Per mia sfortuna non ho grossa esperienza in materia, però a distanza di anni mi piace pensare che si … mi voleva bene. Era bellissimo ascoltarla parlare dei suoi viaggi. Io alzavo timidamente la testa e quando riuscivo a disegnare sul mio volto uno sguardo abbastanza neutrale così da non apparire fortemente interessato, non potevo fare a meno di perdermi nei suoi occhi color del mare e ritrovarmi in una dimensione aliena da tutto quello che mi circondava dove non esisteva niente: la scuola, i banchi, le sedie, il professore di turno, puff! Niente, tutto spariva. Rimanevamo solo noi due e le nostre chiacchierate seduti sul fondo della nostra anima sperando che la fatidica campanella suonasse il più tardi possibile.

Quanto fosse destinata a diventare importante per me, lo fece intuire subito.

Accadde che, avessi eseguito un tema sui “Promessi sposi” dal titolo ”Parla del personaggio che più ti ha colpito del capolavoro manzoniano” o qualcosa del genere, non ricordo, sta di fatto che lo lesse e … il suo viso s’illuminò di una luce che poi raramente ho visto in altre persone. Le era piaciuto così tanto che mi chiese di scrivere qualcosa per lei. Non le importava cosa. La cosa importante era che prendessi la penna e scrivessi. Io non sapevo cosa fare: ma davanti al suo viso non potevo resistere. E poi pensavo: “Una così non si arrabbia mica” e allora tentai l’impresa.

Per fortuna tutto andò bene, e la tensione accumulata quel giorno, si sciolse in mille applausi. I primi della mia vita.

A distanza di tredici anni da quel giorno, penso, che la giovane Nora Marrazzo (cui dedico queste righe), avesse mostrato una lodevole dose d’incoscienza quando m’invitò a scrivere per la prima volta. Probabilmente non sapeva a cosa andava incontro. Innanzitutto, sono indisciplinato. Sono un giornalista (o almeno aspiro a diventarlo, e siccome sono molto ottimista, in questo senso vi annuncio fin da adesso che lo diventerò: anzi lo sono già in qualche modo). Sono uno studente universitario (quindi sono un accademico) scrivo su una testata universitaria (quindi sono un giornalista). Quella che va a iniziare sarà una lunga cavalcata, ma prima di montare in sella mi sento di fare alcune promesse.

Non permetterò che l’incompetenza freni i miei giudizi.

Invoco una norma non scritta, nota come” immunità da ponte”: in materia accademica ogni opinione è legittima è insindacabile.

Non sarò equilibrato parlando di università. Potrà accadermi d’essere obiettivo, di tanto in tanto (mi scuso fin d’ora: non l’avrò fatto apposta). L’imparzialità è un obbligo per gli arbitri.

Non sarò imparziale. Parlerò solo di quelli che mi stanno simpatici.

Non farò distinzioni tra “università praticata e università guardata”, se non questa: la prima è più faticosa. Veder correre gli altri, bevendo una birra al bar, mi sembra un desiderio assolutamente ragionevole.

Non parlerò d’attualità. Non di quella ufficiale intendo. Parlerò invece della vita, senza traccia di buon senso, distacco o serenità.

Sono, infatti, un tifoso della vita d’osservanza psichiatrica e quando si parla di cose riguardanti i miei coetanei, non permetto che la realtà disturbi i miei ragionamenti.

Nessuna cosa sarà troppo piccola da non meritare attenzione. Sto già pensando a un articolo sul TFR. Prima però devo capire cos’è.

Non parlerò a nessuno di questo progetto. Potrebbero anche arrestarmi, è sarebbe un guaio.