domenica 29 novembre 2015

Asserti intimi



E degli altri cosa sappiamo? La forma
asseconda canoni chiusi
asserti intimi
che a tergo questa insensata
rotta di dì
tormenta

il giogo delle perite voci
con un inusitato arcano da custodire,

traviando aitante l’estremo addio.

domenica 22 novembre 2015

Le mummie stanno al museo



Si dovrebbe parlare di Juventus - Milan.  Balbetta l’Italia. Tutta. E la meraviglia spare dinanzi a un Conte che più di così non può fare con lo scarso materiale che ogni sosta restituisce o per meglio dire, presta.

Perché il campo è altro e il padrone diverso preso dalla sua voglia di arrivare chissà dove e non dover cambiar manico in corso d’opera.

La paura frena e frana gli uomini in campo che si azzoppano anzitempo non reggendo la tensione di una trama che non scuce morbida flanella. Solo fil di ferro immolato all’angoscia di non essere al pari della storia e dei nomi che una simil contesa racchiude e solo a tratti esula.

E fa tenerezza quasi a un  certo  punto, il glorioso Barzagli avanzare lento e imperituro quasi a dimostrare al mondo che la rete può accogliere anche chi le ha sempre evitate invitando i suoi molli compagni a prendersi le luci della ribalta.

Le stesse accecanti il ligneo Mandzukic di questi tempi e concilianti il resto della truppa piombata da un Herenanes quanto mai orfico nel suo marmoreo correre (si fa per dire).

In un tempo così fermo all’ascetica contemplazione del Nulla milanista quanto mai snaturato e cherubino si contrappone un dardo estraneo e straniero, per considerazione e passaporto.  Alex Sandro.  A giochi fatti solo lui tanto estraneo alla fifa casalinga poteva risolvere una così infame trattazione.

Che Dybala poi abbia segnato credete è cosa di poco conto.

Nel calcio come in ogni sport, ci vuole ritmo.  

 Le mummie stanno al museo.

sabato 21 novembre 2015

Pronto per ricominciare



Erano passati quattro anni dall'’ultima volta.  E’ chissà quanti ne sarebbero trascorsi se alla fine di quel maggio, la carogna congenita alla sua nascita, non si fosse ripresentata sotto gli scrocchi di una rotula monella.

A distanza di cinque mesi dall’ultima revisione, tutto era pronto per avviare la seconda fase della riabilitazione. Quella più vera, più intensa, dove se non ci sei con la testa e col cuore, nessuno respira e lotta per te.

Antonio aveva vinto quasi del tutto quel senso di disagio che provava nella sfilata obbligatoria da spogliatoio, doccia e sala.

Aveva pensieri che somigliavano a risonanze prive di cassa e domicilio . Nomadi lettere autonome e senzienti a oscurare tutto il resto e a raziocinare su qualsiasi cosa.

Come in quel momento ad esempio.

Pensava a testa alta: “Chi lo avrebbe detto che mi sarei trovato ancora in una palestra , io che con il movimento  ho un rapporto così difficile. Non mi sono gettato subito nel mood, come quando c’eri tu. Mi sono allungato, i piedi saldi, a rintracciare sul fondo il mio ardire.  Perché sì è così.  Ho toccato il fondo stavolta, ma il mio pensiero è un altro. Penso a quando c’eri tu, che era un portento vederti danzare sulle punte tra un esercizio e l’altro, fornendo prova di atletismo. Ti davi una spinta forte  col capo tipo Raffaella Carrà nel "Tuca Tuca" e andavi  subito a regime  di battiti al minuto  fino in fondo ad ogni respiro  e ogni movimento sembrava la cosa più facile. Andavi così forte che mi stupiva come riuscivi a superare agevolmente la soglia del dolore puro. Io cercavo di inseguire, di rifare, di conformare. Ma quello sforzo per me aveva un tono diverso. Sensibilità, intuito, estensioni muscolari arsi.  Come sapessi quanto fosse vano auscultare l’attimo condiviso senza viverlo davvero per paura scorresse troppo veloce senza niente di significativo dentro. Poi fatali, ci siamo allontanati, ognuno per dar retta alle proprie avarizie, ai miseri sfizi che ad un certo punto,  prendono il largo. Sono dilatate le soste tra una parola e l’altra. Riverberi silenti. Intervalli che si ampliano, araldi sempre più angosciati tra gli scrigni delle nostre morgane. E sei andata via,volata  lontano,  levigando a dovere l’aria di mestizia.”

“Che fai non parti ? Aspetti che la fatica ti venga a prendere magari  attraverso  i lineamenti di una bella donna  ?” L’istruttore  rasato  e sorridente riesumò  Antonio dalla sua lettera al passato .

Antonio allora si decise, piantò i piedi a terra cercando di comunicare la sua scelta a tutto il resto del corpo, spostò il peso del fisico in avanti e si  mosse  piano. Si sistemò gli occhiali per rimuovere sospetti e ultime remore piegando   le gambe per concentrarsi. Cercò una posizione il più possibile aerodinamica e si spinse  con tutto l’amore che aveva e nonostante tutto gli era rimasto. Piante dei piedi contro il muro  del dolore, contro le mancanze, contro l’ andato.


“Eccomi, ti tocco, non so come ma ti supero,  fluisco piano verso l’altra parte di me.  A testa alta avanzo dritto. Pronto per ricominciare ”.


domenica 15 novembre 2015

Libertà



Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia perché chi ha il cuore vuoto, ha la bocca che trabocca. Come Karl Kraus, una delle penne più intense e pungenti dell'inizio del secolo scorso, scriveva, così bisognerebbe fare. Riflettere, in silenzio. Che vale più di mille parole, in questo oceano di dolore che si è spalancato dalla porta accanto. Parigi è la    nostra Firenze, è il piccolo borgo in Calabria, è il paese sulle colline d'Irlanda, la casetta bianca con le finestre azzurro mediterraneo a picco sulle scogliere della Grecia. Parigi è l'Occidente, Parigi siamo noi. Colpiti, atterriti. Pieni di rabbia che non può e non deve diventare odio. Che non deve fermarci. Che non deve impedirci di tornare, in quel ristorante all'angolo della via, con una candela e con la nostra sospirata amata davanti. A quel concerto per cui, magari diciottenni, forse cinquantenni, da tempo contavamo i giorni sul calendario. In quella piazza, De La Republique, quindi di tutti. E che nessuno ci può togliere. In quello stadio, poi. Che è lo Stade de France, ma che potrebbe essere lo stadio di ogni luogo, città, paese. La paura t'immobilizza e ti ferma, ti lascia di stucco. Adesso, dopo quel silenzio, è giusto trasformare la rabbia in qualcosa di giusto. Nella normalità. Così, seppur possa sembrare paradossale, è giusto non fermarsi, andare avanti. Continuare a sognare, a discutere “prima” e non “dopo”, affinché quella libertà non ci venga strappata ma solo soffocata.

Perché più forte di tutto il sangue, gli spari e la  violenza resiste il sogno.

Fanno bene a sognare tutti. A vivere. La paura è umana, l'odio è disumano.  La vita è passione e quello dovrebbe restare, sebbene sfoci pure in frange e frangenti che con le parole amore e sogni hanno poco a che fare. La tragica notte di Parigi non può restare impunita ma, al contempo, neppure essere goccia che fa traboccare un oceano di rabbia. Dobbiamo avere, tutti, la forza per andare avanti. Per vivere delle cose di ogni giorno,  anche di quelle che stanno provando a portarci via e  che  comunque ci portano avanti, come lo scrigno di desideri che sempre schiudiamo, chiamata   LIBERTA’.

venerdì 13 novembre 2015

Amnesia



La maturità è tutta nell’amnesia
d’un gheriglio  frantumato
dove afflitto e
d esiliato ogni tremito
si scompone nel trambusto.

E tu  vita mia ritrova benevoli fronde
svellenti  inanimati futuri
stranieri alle finzioni da passerella in rovina
 erudite nel balenio della giovinezza .