sabato 21 novembre 2015

Pronto per ricominciare



Erano passati quattro anni dall'’ultima volta.  E’ chissà quanti ne sarebbero trascorsi se alla fine di quel maggio, la carogna congenita alla sua nascita, non si fosse ripresentata sotto gli scrocchi di una rotula monella.

A distanza di cinque mesi dall’ultima revisione, tutto era pronto per avviare la seconda fase della riabilitazione. Quella più vera, più intensa, dove se non ci sei con la testa e col cuore, nessuno respira e lotta per te.

Antonio aveva vinto quasi del tutto quel senso di disagio che provava nella sfilata obbligatoria da spogliatoio, doccia e sala.

Aveva pensieri che somigliavano a risonanze prive di cassa e domicilio . Nomadi lettere autonome e senzienti a oscurare tutto il resto e a raziocinare su qualsiasi cosa.

Come in quel momento ad esempio.

Pensava a testa alta: “Chi lo avrebbe detto che mi sarei trovato ancora in una palestra , io che con il movimento  ho un rapporto così difficile. Non mi sono gettato subito nel mood, come quando c’eri tu. Mi sono allungato, i piedi saldi, a rintracciare sul fondo il mio ardire.  Perché sì è così.  Ho toccato il fondo stavolta, ma il mio pensiero è un altro. Penso a quando c’eri tu, che era un portento vederti danzare sulle punte tra un esercizio e l’altro, fornendo prova di atletismo. Ti davi una spinta forte  col capo tipo Raffaella Carrà nel "Tuca Tuca" e andavi  subito a regime  di battiti al minuto  fino in fondo ad ogni respiro  e ogni movimento sembrava la cosa più facile. Andavi così forte che mi stupiva come riuscivi a superare agevolmente la soglia del dolore puro. Io cercavo di inseguire, di rifare, di conformare. Ma quello sforzo per me aveva un tono diverso. Sensibilità, intuito, estensioni muscolari arsi.  Come sapessi quanto fosse vano auscultare l’attimo condiviso senza viverlo davvero per paura scorresse troppo veloce senza niente di significativo dentro. Poi fatali, ci siamo allontanati, ognuno per dar retta alle proprie avarizie, ai miseri sfizi che ad un certo punto,  prendono il largo. Sono dilatate le soste tra una parola e l’altra. Riverberi silenti. Intervalli che si ampliano, araldi sempre più angosciati tra gli scrigni delle nostre morgane. E sei andata via,volata  lontano,  levigando a dovere l’aria di mestizia.”

“Che fai non parti ? Aspetti che la fatica ti venga a prendere magari  attraverso  i lineamenti di una bella donna  ?” L’istruttore  rasato  e sorridente riesumò  Antonio dalla sua lettera al passato .

Antonio allora si decise, piantò i piedi a terra cercando di comunicare la sua scelta a tutto il resto del corpo, spostò il peso del fisico in avanti e si  mosse  piano. Si sistemò gli occhiali per rimuovere sospetti e ultime remore piegando   le gambe per concentrarsi. Cercò una posizione il più possibile aerodinamica e si spinse  con tutto l’amore che aveva e nonostante tutto gli era rimasto. Piante dei piedi contro il muro  del dolore, contro le mancanze, contro l’ andato.


“Eccomi, ti tocco, non so come ma ti supero,  fluisco piano verso l’altra parte di me.  A testa alta avanzo dritto. Pronto per ricominciare ”.


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