Erano
passati quattro anni dall'’ultima volta.
E’ chissà quanti ne sarebbero trascorsi se alla fine di quel maggio, la
carogna congenita alla sua nascita, non si fosse ripresentata sotto gli scrocchi
di una rotula monella.
A distanza di
cinque mesi dall’ultima revisione, tutto era pronto per avviare la seconda fase
della riabilitazione. Quella più vera, più intensa, dove se non ci sei con la
testa e col cuore, nessuno respira e lotta per te.
Antonio aveva
vinto quasi del tutto quel senso di disagio che provava nella sfilata
obbligatoria da spogliatoio, doccia e sala.
Aveva
pensieri che somigliavano a risonanze prive di cassa e domicilio . Nomadi
lettere autonome e senzienti a oscurare tutto il resto e a raziocinare su qualsiasi cosa.
Come in quel
momento ad esempio.
Pensava a testa
alta: “Chi lo avrebbe detto che mi sarei trovato ancora in una palestra , io
che con il movimento ho un rapporto così
difficile. Non mi sono gettato subito nel mood, come quando c’eri tu. Mi sono allungato,
i piedi saldi, a rintracciare sul fondo il mio ardire. Perché sì è così. Ho toccato il fondo stavolta, ma il mio
pensiero è un altro. Penso a quando c’eri tu, che era un portento vederti danzare
sulle punte tra un esercizio e l’altro, fornendo prova di atletismo. Ti davi
una spinta forte col capo tipo Raffaella Carrà nel "Tuca Tuca" e andavi subito a regime di battiti al minuto fino in fondo ad ogni respiro e ogni movimento sembrava la cosa più facile.
Andavi così forte che mi stupiva come riuscivi a superare agevolmente la soglia
del dolore puro. Io cercavo di inseguire, di rifare, di conformare. Ma quello
sforzo per me aveva un tono diverso. Sensibilità, intuito, estensioni muscolari
arsi. Come sapessi quanto fosse vano
auscultare l’attimo condiviso senza viverlo davvero per paura scorresse troppo
veloce senza niente di significativo dentro. Poi fatali, ci siamo allontanati,
ognuno per dar retta alle proprie avarizie, ai miseri sfizi che ad un certo
punto, prendono il largo. Sono dilatate
le soste tra una parola e l’altra. Riverberi silenti. Intervalli che si ampliano,
araldi sempre più angosciati tra gli scrigni delle nostre morgane. E sei andata
via,volata lontano, levigando a dovere l’aria di mestizia.”
“Che fai non
parti ? Aspetti che la fatica ti venga a prendere magari attraverso
i lineamenti di una bella donna ?”
L’istruttore rasato e sorridente riesumò Antonio dalla sua lettera al passato .
Antonio allora
si decise, piantò i piedi a terra cercando di comunicare la sua scelta a tutto
il resto del corpo, spostò il peso del fisico in avanti e si mosse piano.
Si sistemò gli occhiali per rimuovere sospetti e ultime remore piegando le
gambe per concentrarsi. Cercò una posizione il più possibile aerodinamica e si spinse
con tutto l’amore che aveva e nonostante
tutto gli era rimasto. Piante dei piedi contro il muro del dolore, contro le mancanze, contro l’ andato.
“Eccomi, ti tocco,
non so come ma ti supero, fluisco piano
verso l’altra parte di me. A testa alta avanzo
dritto. Pronto per ricominciare ”.
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