lunedì 27 giugno 2011

Come cena a Cerasella

Arrivammo sulla spiaggia alle nove che era già un formicaio di gente, un indiano cerca disperatamente di vendermi delle cianfrusaglie -  bracciali, orecchini e anelli – ma lo caccio via malamente, dovevo rilassarmi e farmi un bagno nell’acqua sporca di Calabria, era quello di cui avevo bisogno. Wladimiro cominciava a rompermi le palle, aveva dimenticato a casa il pallone e ora non sapeva cosa fare, rubai paletta e secchiello da un ombrellone e glieli diedi. Cerasella era splendida nel suo costume azzurro cielo, la chiamavo così perché le sue labbra rosse mi ricordavano due ciliegie  affogate nei cioccolatini di Natale. La prima volta che mi baciò ero come ubriaco, non avevo mai provato tanta ebbrezza in tutta la mia vita. Si alzò per prendere la crema solare:
«Non mi guardare troppo il culetto!» mi disse tutta stizzita.
«Non sto guardando, osservo come si fa con un’opera d’arte»
«Sei un porco» mi fece tutta arrabbiata.
Cercai di afferrarla ma scappò a tuffarsi nell’acqua fredda. Le donne arrabbiate sono difficili da gestire,  come una pentola a pressione devi aspettare che la temperatura raggiunga il massimo e il vapore  esca dal beccuccio. Guardai Cerasella nuotare felice e mi avvicinai a Wladimiro.  Stava scavando una buca nella sabbia e la sua pelle cominciava a diventare rossa.
«Vieni sotto l’ombrellone» gli dissi
«No! Voglio arrivare in Sicilia entro le tre»
«Sei un pazzo. Almeno usa un po’ di crema solare»
«No!»
«E allora vaffanculo»
«Vaffanculo tu»
Wladimiro era pazzo, il padre l’aveva affidato a noi e lui si divertiva a stare in mezzo a persone normali che non ascoltavano musica neomelodica e guardavano soap opera brasiliane degli anni ’80.
Faceva davvero caldo e i chili di troppo si facevano sentire; con le tette e  la pancia pelosa sembravo un Botero in carne lardo e ossa. Ero  Il peggio del peggio in mezzo a tutta quella razza umana riunita per godere un po’ del sole di giugno, corpi lucidi e palestrati in bella mostra sulla battigia, venuti da paesi lontani solo per dar vita ad uno spettacolo osceno e ripetitivo. Andare a mare è una delle cose più brutte del mondo, mi sento spogliato della mia dignità, mi ritrovo nudo in mezzo a centinaia di persone che non conosco.
Il caldo e la sabbia mi danno i nervi, mi butto in acqua e raggiungo Cerasella.
«Devi dimagrire» mi dice guardandomi in malo modo.
«Oggi è domenica. Da domani»
«Sempre da domani. Vedi di muoverti invece!»
Feci di si con la testa e ritornammo sotto l’ombrellone, quel coglione di Wladimiro aveva smesso di scavare ed era sdraiato a terra con la lingua di fuori e rosso come un’aragosta. La sua pelle emanava un calore terribile, era pieno di bolle e pus giallognolo. Lo trasportammo di corsa all’ospedale più vicino.
Il medico del pronto soccorso era uno stronzetto con gli occhiali, magro e con il muso di lepre. Invece di curare il povero Wladimiro ci provò subito con Cerasella. I medici sono tutti così, soffrono della sindrome da camice bianco, quel pezzo di stoffa che li copre dalle spalle alle gambe è simbolo di virilità e di potenza, un po’ come la mazza di Rocco Siffredi. Se poi al camice ci aggiungete un  bisturi, il gioco è fatto. E se  vi diranno che hanno scelto di studiare medicina per salvare povere persone malate, non credeteci: questo è un discorso che si può fare solo dopo la pensione.
Muso di lepre esaminò il nostro amico:
«E’ stato sotto il sole senza protezione.» dice tutto spavaldo.
«Grazie al cazzo!» gli rispondo io.
«Ahhhhhhhhh….» gridava Wladimiro per il dolore.
Mi dispiaceva per quel coglione ma un po’ se lo meritava. Era stato sotto il sole ad abbrustolirsi come una bruschetta. Se lo spalmavo di extravergine e qualche cubetto di pomodoro potevo servirlo come cena a Cerasella.
«Mettetegli questa pomata e in una settimana ritornerà come prima» concluse muso di lepre sfoggiando tutto il suo sapere e le sue notti passate sui libri di patologia.
Uscimmo dall’ospedale a comprare una pomata inutile e dall’odore nauseabondo. Wladimiro peggiorò nei giorni a seguire e fu ricoverato d’urgenza. Incrociai nei corridoi muso di lepre ma quello abbassò lo sguardo impaurito, sapeva di aver fallito. Cerasella era preoccupata, io pure anche se non lo davo a vedere.
«Dici che si salverà?» mi chiese timorosa.
«Certamente, Wladimiro ha un fisico robusto.»
«E se dovesse morire?»
«I pazzi non muoiono mai, hanno sette vite come i gatti» le dico per darle coraggio.
Un medico dai baffi bianchi e dall’aria rassicurante si fece avanti e ci disse che Wladimiro aveva avuto una brutta faringite ma che il peggio era passato. Abbracciai Cerasella e uscii fuori a fumare. Il grecale aveva attutito l’afa dei giorni scorsi. Il peggio sembrava passato.

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