martedì 7 giugno 2011

La strada che conduce al nido

Rita se ne andò lasciandomi come ricordo la sua tartaruga, Betty, una testuggine enorme che girava per casa dalla mattina alla sera divorando la mia moquette. Betty era sana a differenza di
Rita, non soffriva di ipocondria, di pressione bassa e non prestava attenzione ai giudizi della gente; la portavo a spasso tutti i giorni con un collare rosso e le persone si  fermavano a parlare incuriosite, attratte da quell’essere gigantesco che si trascinava dietro un guscio verde pistacchio come casa. La mattina, dopo averle dato da mangiare, l’accompagnavo al parco, al fiume grande e la lasciavo libera di muoversi. Era intelligente Betty, più di Rita. Non mi criticava mai, non diceva frasi del tipo “ tagliati la barba” oppure “ chiudi la TV che è tardi”. No, Betty mi assecondava in tutto, le accarezzavo la testa rugosa e mi sorrideva con gli occhietti socchiusi, le scattavo foto da mettere sul PC e lei si metteva in posa come una vera modella, era speciale Betty, l’amavo. Quando Rita scelse di vivere da sola in un grande attico che affacciava sul traffico cittadino rimasi male, non capivo cosa le avevo fatto di così grave; Betty però cercava di consolarmi raccogliendo i fiori dal giardino e deponendoli ai piedi del letto, strappando la coda alle lucertole e le ali alle farfalle. Poi un giorno Betty si ammalò di bronco polmonite, il medico disse che non c’erano speranze. Ogni giorno andavo nei campi e strappavo due ciuffi di ruchetta selvatica e gliela facevo mangiare direttamente dalle mie mani,  le sue zampette -  una volta veloci – ora erano tremolanti e lente ; Betty stava male e io non potevo fare nulla.
Prima di morire le chiesi :
«Betty mi ami?»
« gghh, ghhhhh…» rispose annaspando col naso.
Furono le sue ultime parole. Dal suo guscio ho ricavato una chitarra classica per suonare sotto la pioggia.
Rita è tornata a vivere a casa mia, il traffico cittadino le faceva venire la sinusite. Aveva con sé un merlo indiano che imitava il verso dei canarini e un criceto zoppo. Me la sono ritrovata davanti con un buffo cappello alla pescatora calato sugli occhi e le due gabbie in mano.
«Mi fai entrare? Per favore.»
« Tu e il criceto si ma il merlo indiano no!» le rispondo subito. Ho sempre avuto paura dei volatili, specialmente di quelli neri e parlanti.
Apre la gabbietta e il merlo vola via in un secondo.
Credo non abbia ancora trovato la strada che conduce al  nido.

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