sabato 26 febbraio 2011

Le stravaganze della politica italiana: quando imparare a star soli è più importante che stare uniti



Se leggere è un piacere, rileggere è un dovere. Se dopo aver letto e riletto non avete ancora capito quello che state leggendo tranquilli: non è colpa vostra ma di chi scrivendo, non s’è spiegato. Balbettare qualcosa senza riuscire ad organizzare un pensiero e come affidare un auto a uno che ha appena preso il foglio rosa:pericoloso se non folle. Occorrerebbe fermarsi un po’ e riflettere un momento. Fare autocritica. Qualcosa non va? Qualcosa non è andato come doveva? Tranquilli. Conservate, riflettete e ripartite. Se siete ansiosi voi figuratevi chi vi sta attorno. Quindi ragazzi niente paura calma, sangue freddo e avanti tutta.

La facilità della lettura di un testo, a prescindere dall’argomento trattato, è un buon indicatore della personalità dell’autore. E così che si comprano alcuni libri e si ascoltano certi dischi. Ma se i dischi si possono anche scaricare e certi libri tranquillamente evitare, i politici, e le loro stravaganze non si possono ignorare e quindi poi, tocca sudare. Ma non certo per la passione che essi trasmettono, bensì per le difficoltà che più o meno consapevolmente, essi creano. L’ultima trovata della Gelmini s’inserisce in quest’ottica di masochismo burocratico.

In breve: il Governo ha istituito un finanziamento nuovo di zecca: due milioni l’anno per cinque anni. Totale, dieci milioni. Da destinare a uno scopo decisamente particolare: spiegare ai dirigenti degli enti locali i segreti del nostro futuro federalista. Pazzesco. Incomprensibile. Mentre l’universo giovanile lamenta l’assenza di occasioni di confronto col mondo e i precari circumnavigano il globo col trolley in mano e qualche dubbio in testa, il Governo si preoccupa di incentivare un corso privilegiato ed esclusivo di misantropia locale. Bisognerebbe farsi capire anche dal contadino di Poggio Versezio. In assenza di contadini potremmo affermare che bisognerebbe farsi capire anche dal tronista di Venezia e la letteronza di Canicattì.

Non è facile, ma bisognerebbe provare. In Italia qualcuno però, confonde la chiarezza con la semplicità e la semplicità con la semplicioneria. Pure allitterazioni. Nulla di più. Niente di meno. A diminuire a dismisura, invece, è la fiducia della gente nello Stato che a pochi giorni dai festeggiamenti dell’Unità d’Italia trova il modo di complicarsi la vita istituendo questo piccolo esclusivo torneo riservato a due soli atenei virtuosi uno del Sud e uno del Nord cui saranno destinati i preziosi fondi. Non c’è che dire: l’Italia non si smentisce mai e nel momento in cui dovrebbe unirsi di più preferisce ripararsi sotto la coltre di una vegetazione fitta, riottosa, cespugliosa e oscura.

Del resto non ci si deve proprio lamentare. In Italia è così. In Italia chi si ferma è perduto e chi si sofferma un pentito. E’ chi si pente, è un codardo è un codardo è un vile. Parole che bloccano qualsiasi anelito alla chiarezza e alla trasparenza che in Italia infatti, è considerata poco. Proprio come la popolazione cui questa, dovrebbe essere rivolta la quale legittimamente poi si volta e s’arrovella. Su cosa è facile intuirlo. Anche se non è semplice capirlo. Molti pur parlando non comunicano. Preferiscono restar obliqui sfumandosi prima dei titoli di coda. Proprio come la vita degli insegnanti precari cui non bastano le ciambelle ministeriali. Ci vorrebbe un babà ogni tanto. Ma la musica è finita e gli amici se ne vanno e nessun occasionale e propagandistico sventolio di tricolore potrà di certo indurli a tornare indietro.

venerdì 25 febbraio 2011

Un pò di luce per ripartire







Non tutti sono uguali. Io poi sono particolare. Ho rinunciato ad addizionarmi a tutto.
Volevo crescere in fretta da bambino. Non ci sono riuscito granchè. Diciamo che sono slanciato verso il basso ecco tutto.
Ma quando uno nasce senza angelo custode non ha scelta; perchè tanto la tua vita non commuove nessuno. Devi solo risalire dalla stiva in cui ti hanno imprigionato e basta. Cancellare la fuliggine dal viso e partire.
Portare l'anima a spasso poi non serve. Bisogna dire la verità sempre. Noi dipendiamo dagli altri certo. Ma l'aria da respirare è tantissima e ognuno di noi può scegliersi il suo angolino se vuole.
Se si guarda bene, un pò di luce prima o poi ciccia sempre. Anche dagli inferni più bui.
Oggi ho fatto il pieno di luce per cui mi sento come nuovo. Senza macchie. Pronto a ripartire.
A rincorrere fino allo stremo il mio agognato spicchio di felicità.
Speriamo solo sia ancora lì ad attendermi...!

giovedì 24 febbraio 2011

La spietatezza dell'invano




Avrei voluto essere un poeta.
Uno di quelli capaci di dire tutto con niente e arrivare dritto al punto delle cose, o comunque al centro di qualcosa che mi contemplasse per davvero.
Non certo per boria o chissà cos'altro. Solo per vedere l'effetto che avrebbe potuto fare ecco tutto.
Ma la vita ha troppe scadenze e non considera le tartarughe.
E' per quanto nobile sia, è troppo bassa per accogliere davvero qualcuno.
Io per esempio, mi ci sono infilato di soppiatto. E' per quanto scomoda fosse mi ci sono trovato bene fino ad arrivare al punto d'amarla la vita.
Una volta ho scritto questa frase: "Amo la mia vita non perchè è la vita ma perchè è la mia".
L'avevo scritta in un periodo nel quale pensavo lei mi amasse.
Se come invece sto verificando o avessi soltanto osato immaginare la vita è solo una stanza vuota tutta da arredare, mi sarei risparmiato quel mio giovanile slancio d'infantile amore.
Ma non si possono cancellare le tracce di ciò che è stato.
Non ho mai avuto gomme nella vita. A scuola poi, le perdevo sempre. Per cui quello schizzo ribaldo e orgoglioso è rimasto lì. Rimasto lì consumato dalla spietatezza dell'invano.

lunedì 21 febbraio 2011

Come due maracas al carnevale di Rio

Stamattina mi sono svegliato distrutto, la pizza con tonno e cipolla di ieri sera ha fatto egregiamente il suo dovere. Sudato, pancia gonfia, alito improponibile, capelli arruffati, barba lunga, senza un calzino e arrapato al punto giusto: sono l’ombra di me stesso. Ci vorrebbe un caffè ma non ho la voglia, la forza e soprattutto mi manca la caffettiera e quindi mi tocca andare al bar, immischiarmi con gente che non voglio vedere e sentire. Guardo fuori dalla finestra e mi accorgo che piove, una pioggia fredda mista a nebbia; se non fosse per il blaterare dei miei vicini di casa con quel loro accento del cazzo,sembrerebbe quasi di stare in Val Padana e non a R....
La voglia di caffè è talmente tanta che mi infilo gli stessi panni di ieri senza farmi una doccia,se l’uomo deve puzzare allora io sono sulla buona strada; esco di casa senza ombrello e mi infilo tutto bagnato nel primo bar che trovo.
Chiedo gentilmente un caffè ma il barista è occupato a flirtare con una ragazza che potrebbe essere sua figlia o anche sua nipote,richiedo con voce più alta il mio caffè e questa volta oltre al barista si volta anche la ragazza.
«Potresti essere un po’ più gentile,magari la giornata ti sorriderà» mi dice.
Io avrei voluto dirle che avevo perfino i peli del culo bagnati dalla pioggia e che quel caffè era la cosa più importante del mondo ma ho lasciato correre,come faccio sempre in queste situazioni.
«Scusami» mi fa «è che sono un po’ nervosa per un esame,come posso rimediare?»
«Accompagnami con l’ombrello alla fermata del pullman».
Pagai il caffè più schifoso della mia vita e avviandoci alla porta le guardai le tette che spuntavano dal golfino nero,mi sono sempre piaciute le tette anche se non bevo latte. Mi accesi una marlboro e mentre ci avviavamo alla fermata del pullman le dissi << mi chiamo Alberigo>> che nome strano >> rispose lei.
Non sono bravo con le parole nè tantomeno con i fatti,avrei potuto chiederle il numero,invitarla ad uscire e magari chiavarmela tutta la notte ma non feci nulla di tutto questo.Arrivati alla fermata mi liquidò con un semplice ciao e la vidi allontanarsi, leggera sotto la pioggia di febbraio,mentre le sue tette sballonzolavano come due maracas al carnevale di Rio.

sabato 19 febbraio 2011

Fratelli d'Italia

Ci voleva davvero Benigni e il suo cavallo bianco a resuscitare quel sentimento nazionalpopolare morto ormai da troppo tempo;in una serata sanremese all’insegna del Risorgimento,con inizio comico e scontato (da Ruby al bunga bunga il passo è breve) e finale classico con spiegazione dell’inno di Mameli.
Su una cosa però il comico aveva ragione: Cavour,Mazzin e Garibaldi hanno dato tanto alla politica e all'Italia,i nostri politici hanno avuto solo modo di arraffare e di arricchirsi.
Il 17 marzo festeggeremo quindi i 150 anni dell’Unità d’Italia in un paese spaccato da divisioni politiche,razziali e religiose:
-   La Lega contraria alla festa per le ragioni che tutti sappiamo( il sud è da sempre sulle spalle del nord e il federalismo è l’unica strada per la salvezza);
-   Fini,La Russa e Berlusconi orgogliosi del tricolore,avranno un motivo in più per mandare giovani vittime a morire in Afghanistan;
-   La Chiesa parteciperà ai festeggiamenti (ri)pensando allo smacco subito a Porta Pia e a cosa far indossare a Papa Giovanni Paolo II durante la sua “esposizione” il primo maggio.
Per quanto mi riguarda – vista l’attuale situazione economica e sociale del mio paese – il 17 marzo non imbraccerò la bandiera italiana intonando a squarciagola “Fratelli d’Italia l’Italia s’è desta…” ma celebrerò San Patrizio,vescovo e patrono d’Irlanda, ritrovando il mio patriottismo perduto sul fondo di una pinta di Guinness.

giovedì 17 febbraio 2011

Calore umano


Oggi è uno di quei giorni.
Uno di quelli in cui vorrei almeno poter avere il tempo di guardarmi attorno quel tanto che basta, per scoprirni ancora addosso il desiderio di ascoltare, di accorgermi degli altri, di tendere una mano e sentire un pò di calore.
Non voglio assiderarmi ancora per molto in questo universo freddo e inespressivo.
Per quanti errori abbia commesso nella vita, non credo di meritarlo.
Ma per quanto cerchi, non trovo in giro che piante grasse ingioiellate e stampelle ambulanti che per quanto belle siano, francamente, non mi interessano. Non ci attaccherò mai un bottone della mia vita.
Preferisco i maglioni a collo alto.
Almeno quelli, non ti lasciano mai soli e ti coprono sempre.
Oggi mentre aspettavo l'ennesimo autobus della mia esistenza, ho incontrato una madre con i suoi quattro figli. Giovane, reattiva e giocherellona, mi ha coinvolto nel suo entusiasmo e alla fine, lo confesso, ho provato l'impulso di essere adottato da quel calore.
Ho ricevuto un abbraccio. Mi è bastato.
Mentre salutavo quella giovane madre, ho capito che una volta sfrattato da quell'utero, nessun'altro ti raccoglierà più con la stessa intensità emotiva, con la stesso calore umano.
Aver ricevuto quell'inaspettata dimostrazione d'affetto, mi ha trasmesso una sorta di malinconia calorosa che non riesco a definire.
Chi lo sa. questa è la felicità.
Una volta seduto sull'autobus ho guardato il cielo. Ho visto una luce. Non c'è dubbio: il cielo mi aveva dato ragione.
E per una volta non mi sono sentito un fesso.

lunedì 14 febbraio 2011

Marco Pantani un campione dal volto umano, troppo umano


Era il 14 febbraio 2004. Un sabato speciale. Quello riservato alle delicatezze degli innamorati. Buono anche per sancire la lenta agonia di un disamore. Di un distacco. Dalla vita. Da tutto.
E’ così che finisce la vita. E’ così che va quando si decide di staccare la spina.
E’ così che è morto Marco Pantani.
Il giorno dopo poi, tutti a chiedersi cos’è successo, com’è potuto accadere.
La verità è che quando uno smette di vivere smette e basta.
Era grande e vittorioso con la bandana del Pirata, a cavallo di quella bicicletta con cui divorava le montagne del Giro e del Tour. Egli l’amava, ricambiato, di un amore speciale, Passionale e rabbioso come solo i grandi amori sanno essere. Un amore che sapeva riconoscere anche chi non era esattamente un patito del ciclismo. Un amore che andava contro tutto e tutti. Come il suo modo d’intendere il ciclismo. Furioso e cieco. Un modo di star sui pedali che abbatteva qualsiasi strettoia razionale e approdava nella leggenda. Perché prima che gli avversari, egli batteva le convenzioni fisiche affidandosi a gambe d’acciaio e a un coraggio leonino.
Ma era un timido gattino, anche se nessuno immaginava di vederlo finire a quel modo. Il suo ultimo atto è stato assurdo. Ha perso senza combattere, e nessun uomo o donna che ami davvero lo sport può riuscire ad accettare un simile commiato. Doveva guardarla negli occhi la paura di vivere, come guardava i flash dei fotografi e gli occhi lucidi dei tifosi che lo acclamavano dopo una vittoria. Non doveva cercare uscite secondarie. Scappatoie. Vie di fuga. Dopo le luci della gloria dopotutto, c’è solo il buio dell’abisso.
Il ciclismo c’è l’aveva nel DNA come il profumo del mare e la voglia d’avventura.
Imprese matte e disperate avvolte in veli argentei impregnati di sogni. Sogni straordinari imperlati di fatica e sudore. Quel sudore che gli aveva consentito di primeggiare su montagne proibitive come lo Stelvio e l’Izoard. Montagne imperiose ed antiche che parlano di uomini anonimi ed eroici con i tubolari incrociati sulle spalle, forature nel fango, riparazioni avventurose, gregari pronti a tutto per far trionfare il loro capitano, di battaglie epiche e senza respiro. Non solo contro gli avversari. Elementi che battono qualsiasi trovata tecnologica e lasciano l’uomo al centro di una sfida, bella da vedere, ed eccezionale da raccontare.
Poi arriva un po’ di polvere bianca e tutto finisce nel codardo buio di una sconfitta cocente.
Egli era fortissimo sui pedali, ma questa forza non basta ad affrontare le alture della vita.
Anche i lottatori di wrestling muoiono se non rispettano il copione della loro colorata messinscena.
Fuori della pista, una volta spente le luci della ribalta, nella vita ognuno, è pronto a giudicare l’integrità e gli ideali di tutti. Anche lui, una volta sceso dalla bicicletta, era solo uno in mezzo alle burrasche della vita. Non l’ha capito. Ha vissuto di luce riflessa dissipandone scioccamente gli ultimi bagliori.
Inutile e pleonastico ogni riferimento alle ingiustizie subite, alle infamanti accuse di doping.
Il problema si era impossessato di lui da tempo. I flash servivano solo a confondere le idee.
Fuori da tutto, tutti i suoi tifosi desideravano solo rivedere il suo sorriso, ritrovarlo fuoriclasse nel ciclismo e campione nella vita.
Avrebbero voluto guardarlo ancora negli occhi. Perché è bellissimo vincere quando tutto è avverso. Lo aveva già dimostrato. Doveva rispondere a colpi di pedale, a quell’accusa. Solo quelli. E poi tutti lo avrebbero aspettato per festeggiare.
A quella festa ci sarebbero stati davvero tutti, a braccia alzate come dopo una sfiancante volata, per stringerlo al petto.
Lui invece, è svicolato nel buio e ha preferito abbandonarsi all’ultima tragica cavalcata lasciando tutti a bocca aperta. Un’ultima volta. Un’ultima tragica volta.

sabato 12 febbraio 2011

L'amore vero


Se a guidare è un somaro perdersi è facile.
Se a governare è un cretino smarrire il senso di alcuni valori fondamentali della vita altrettanto.
E' così che a causa degli eccessi di chi comanda, anche l'amore è finito nel tritacarne dell'ovvio divenendo merce per casalinghe disperate e uomini repressi che neanche abusando di Federiche a manetta riuscirebbero ad avere uno straccio d'orgasmo.
Certo scopare è importante. Ma dormire abbracciati alla persona con cui l'hai fatto è tutto. E' il segno di un approvazione che va oltre qualsiasi conto in banca ed entra in contatto con un altro pianeta: quello dell'amore.
L'amore è lungo, assoluto, paradisiaco. Il sesso è breve, precario, infernale. E' come la Coca - Cola: buonissima ma non riesce mai a dissetarti del tutto.
Una persona seria uomo o donna che sia, non dovrebbe assatanarsi cercando mille occasioni per farlo, non dovrebbe farlo diventare un chiodo fisso della sua esistenza accontentandosi di questi brevi smottamenti dello spirito.
Eppure lo si fa. Eppure l'ho fatto. E l'ho rifatto. Pure per un sacco di tempo. E se ci ripenso non so neanche perchè. So che non ne perdevo una ed ero infallibile.
Ma dopo aver fatto gol non ero contento. Sentivo solo profondi sensi di colpa è così ho detto basta.
Non si può vivere solo di momenti. Ma chissà. Forse a quel tempo, l'illusione d'amore mi bastava. O forse era la disperazione che si accontentava. O forse il senso d'eternita che galoppava e per sentirsi appagato aveva bisogno sempre di nuove praterie da percorrere. Sta di fatto che un giorno ho detto basta.
Ora che so di non essere eterno sono qui in attesa di qualcosa di vero che mi incendi il cuore e illumini l'anima.
Perchè sebbene sappia di non essere assoluto, i ferri del mestiere sono ancora caldi e pronti a cantare la loro canzone.
Con tutta la forza che mi resta voglio succhiare tutto il nettare della vita. E' con il cuore a mille dall'emozione voglio che batta forte solo per l'Amore. Quello vero. Non desidero nient'altro. Nessun altro paradiso.
Non ci vuole poi molto per essere felici.
Per cui cari lettori, ad un passo dalla festa degli innamorati, vi dico: non scervellatevi troppo oggi cercando di stupire i vostri amori. Il regalo certo è importante.
Ma potrebbe bastare anche un semplice "BUON SAN VALENTINO, AMORE MIO".
Questo forse, i vostri amori non se l'aspettano.

venerdì 11 febbraio 2011

Una mimosa per San Valentino

E che cazzo lasciatemelo dire:abbiamo perso ogni forma di sentimento.
Ieri pomeriggio,dopo aver rubato non senza qualche difficoltà un chilo di mimose da un giardino privato ,mi avviavo felice e leggero come una pecorella nei pascoli del cielo verso la strada di casa.
Due considerazioni:
1)      Non sono frocio o per i più sensibili al discorso,gay,omosessuale, ma sono di questa sponda dove il navigare è piacevole assai;
2)      Non mi piacciono le mimose anzi il loro profumo mi ha irritato terribilmente il naso e impestato la stanza.
Perché tutto questo? Perché avevo fatto una promessa a due ragazze e io da bravo zerbino q.b. (leggi “quanto basta” come il pepe nella carbonara ), mi ero subito messo all’opera sfidando gli sguardi allibiti e divertiti dei passanti.
Mi guardavano e ridevano oppure pensavano che avessi l’orologio biologico sfasato e che ero già all’otto marzo,invece era solo il dieci febbraio e le strade pullulavano già di manifesti su come trascorrere il San Valentino. Le opzioni poi, a guardar bene, non sono tante e si cade sempre nel trito e ritrito:
1)      Ristorante megalussuoso con lui e lei elegantissimi e cena a base di Nouvelle cuisine; per la serie: “Caro come hai trovato il filetto di manzo???” e lui “ Per caso sotto una delle patate” (questa vi sfido a capirla….);
2)      Agriturismo disperso nelle campagne cosentine con piatti caserecci ma  pesanti. Dimenticatevi il sesso post cena;
3)      Discoteca tamarra che regala gadgets tamarri e truzzi (un portachiave a forma di cuore che si illumina).
Se tutto ciò non vi basta,immaginate quello che accade prima;questi guerrieri di Cupido che armati di orsacchiotti giganti,portafoto improponibili,anelli,lingerie e tutto ciò che possa rendere felice una donna,dichiarano amore eterno alla propria anima gemella,poi il giorno dopo – come i cummenda milanesi degli anni ’60 – scopano con la segretaria o con la puttana che abita di fronte,a cui hanno dato anche il PIN della carta di credito.
Quest’anno per me sarà un San Valentino diverso.
Invece di passarlo serrato in camera e guardare per l’ennesima volta “Provaci ancora Sam” o “Rambo 2”, mi chiuderò al Mc Donald con la speranza che il nuovo panino – quello con cipolla e bacon – sia trangugiabile in soli tre morsi.
Pace.

giovedì 10 febbraio 2011

Di inchiostro e scarabocchi


Gli esseri umani sono più interessati ai contorni che ai primi piatti.
Forse è per questo che molti di essi non sono felici. Il mondo per me, è pieno di anoressici inconsapevoli e randagi bulimici i quali nel tentativo d'afferrare tutto il possibile si uccidono da soli con il meno probabile.
Il loro privato dissidio tra la malcelata voluttà e l'esibita innocenza ,scatena il vortice del loro personale tormento. E quando sciorinando perle di "saggezza" e chicchi di "cultura" tentano di elevarsi al di sopra di se stessi, non riescono tuttavia a scrollarsi di dosso le polveri sottili della loro volatile esistenza. Perchè per quanto uno possa essere gagliardo con le ragazze o spavaldo nella vita, la Vita ne sa sempre una in più, e con quell'unica mossa ti fa secco. Non bisogna mai arrestare il tempo con inutili obiettivi. Si rischia di strangolarlo. Perchè troppo pochi sono i giorni, troppo anguste le notti. Il giorno. Non è solo un discusso quiotidiano e una splendida poesia del Parini.
La verità è che uno non riflette mai abbastanza sulle cose ed io sicuramente non l'ho fatto. Non mi ero mai soffermato prima di oggi sulla pienezza di questa parola.
Bisognerebbe provare ad utilizzarlo bene un giorno cercando di far diventare ogni attimo della propria esistenza un'occasione di vita anche per gli altri. La vita in fondo, è una questione di calore. Mi piacerebbe arrivare al punto da chiedermi: quanto calore ho dato oggi a chi mi sta attorno? Già. Bel sogno. Bisognerebbe avere una famiglia su cui contare o quantomeno qualcuno che ti voglia bene. Io una famiglia c'è l'ho. Il guaio è che mi sta stretta e ne vorrei una mia. Come vorrei essere chiamato papà da un orda di scatenati bambini. Ma non è il momento di raccontarsi storie troppo lunghe e complesse. Non è il momento per ora.
Eppoi chi lo sa. Forse nella vita e come in alcuni videogiochi: non puoi passare al livello successivo se prima non sconfiggi i mostri del livello precedente. E forse io sto ancora combattendo. Un mostro invisibile e coriaceo di quelli duri da buttar giù.
Così aspettando di completare questo livello, tutto quello che posso fare e cercare di non soccombere prima del traguardo. Con la penna magica e la lingua sciolta, la mia anima birbante è pronta a combattere. Di nuovo. Ancora.
Qualche anno fa, nel pieno di una rumorosa adolescenza, quando avevo la testa più grossa rispetto al corpo, pensavo che tutto l'universo fosse contro di me. Sbagliavo ovviamente. L'avversario più grande in quei momenti di slanciato egocentrismo ero io. Uno che aveva la testa più grossa rispetto al corpo e guardava indietro per solitudine. Come i grandi di adesso se ci pensate bene. Assurdo. Ora, che la tormenta dell'Io è finita non mi porto più illusioni sul viso, ma fin quando sarò piccolo su questa piccola terra voglio ancora imbrattare la vita di inchiostro e scarabocchi.
Non sarò geniale quanto Pollock, ma credetemi, sono complicato lo stesso.

martedì 8 febbraio 2011

Giovane Italia

Non  sono fascista : troppo timido per poterlo essere, abbasso troppo volte lo sguardo sulle mie scarpe e non so farmi rispettare.
Non sono comunista o forse una volta lo sono stato, stavo dalla parte degli operai e degli oppressi,degli immigrati,degli studenti: ora il martello mi pesa troppo e della falce non so che farmene perché il grano è seccato al sole.
I ragazzi della Giovane Italia – non quella mazziniana che predicava libertà indipendenza e unità – mi fanno ridere, mentre sfilano compatti e avvolti nel tricolore per le strade di Firenze in ricordo dei martiri delle Foibe.
Provate a fermarne uno,poi due, poi cento e fate loro la stessa domanda : ma cosa sono state le Foibe nella storia d’Italia? Cosa sono state le Foibe per voi?
Li vedrete per un attimo sbiancare,perdere il senso del discorso e poi con tutta la forza che hanno in corpo vi risponderanno : sono stati i comunisti!!!
Nelle Foibe morirono tra le cinquemila e le diecimila persone, una tragedia rimasta per anni nascosta e che la storia cerca ancora di chiarire; fascisti contro comunisti,storici di destra contro storici di sinistra.
Il comunismo  è scomparso, i martiri delle Foibe marciscono sotto una lapide a memoria perenne della loro tragedia, le fosse ardeatine ancora risuonano degli spari dei militari nazisti, il 25 aprile si avvicina, la Giornata della Memoria è già passata, la Costituzione la possiamo usare al cesso, la lega nord urla alla secessione;i virgulti baffuti della Giovane Italia marciano sormontati dalle aquile in ricordo dei vecchi tempi e ogni tanto si fermano a scattare qualche foto.
Che è poi,tutto sommato, la cosa più importante.

domenica 6 febbraio 2011

Collanine

Le persone più sole e strane le ho sempre viste alla stazione, in attesa di prendere un treno che le porti lontano da tutti o vicino a qualcuno di importante.
Vanno avanti e indietro e  non si fermano mai, fumano o ascoltano musica con lo sguardo perso in lontananza, stanno seduti su scomode panchine di marmo: alle volte aspettare un treno è un’esperienza di vita che ti lascia un segno indelebile.
Te li vedi accanto questi relitti umani devastati da troppo lavoro, troppo alcool,troppa solitudine,troppo studio,troppo fumo,troppo cibo,troppa vita e non sai come comportarti: il barbone,lo zingaro che ti chiede soldi,la casalinga disperata,la studentessa modello,il militare,il marocchino e le sue collanine,la badante rumena.
E quando il treno parte e il paesaggio comincia a scorrere veloce,allora la metafora della vita diventa concreta: da bambino qual’ero mi ritrovo adulto a viaggiare su carrozze sporche e circondato da gente che non conosco e che non rivedrò mai più, impaurito dal futuro e felice del presente, guardo il mare che si fonde con gli alberi in un miscuglio di azzurro e verde, le montagne sembrano toccare il cielo e tutto sembra magico e irreale.
Poi d’improvviso l’incanto sparisce quando arrivo a destinazione e il marocchino carico di collanine mi chiede se quel paese era S…., io gli rispondo di no e per consolarlo mi propongo di offrirgli un caffè.
Come due vecchi compari – io con la mia valigia rossa e lui con le sue scatole di banane chiquita strapiene di cianfrusaglie  – ci avviammo verso quel bar che risulta essere,a detta di molti, uno dei peggiori della Calabria.

100 gol in Serie A e 1000 auguri per Luca Toni







D'accordo il video sarà molto banale e pieno zeppo di sciocchi stereotipi ma vedete non è una cosa di tutti i giorni segnare 100 gol in serie A... lui lo ha fatto ragion per cui...
Auguri a Luca Toni e buona domenica a tutti voi!!!!!!!!!!

sabato 5 febbraio 2011

Non capirsi è terribile....





Ieri l'ho sperimentato ed è stato davvero terribile.
Come un pallonetto ben eseguito non capirsi ti sorprende lasciandoti con un pugno di mosche in mano.
In queste condizioni rinculare è complicato. A tratti difficile.
Un eccesso di zelo può costar caro a questo mondo. La massa non c'è abituata. Si scandalizza. Sclera. Impazzisce. Come la maionese. A me la maionese non piace. Mai mangiata.
In compenso ieri ho sperimentato quanto non capirsi sia terribile.
Ed è stato tremendo.
Ho imparato una cosa comunque: internet a volte non basta ad assicurare una comunicazione efficiente. Ci feriamo comunque. E con i tempi che corrono, andare al pronto soccorso è molto pericoloso.

mercoledì 2 febbraio 2011

La Calabria : la Regione dov'è sempre notte e i cani stanno meglio di noi


Le cose brutte è meglio dirle all’inizio. Così dribblo subito delusioni e colpi apoplettici indesiderati.
Tra una settimana dovrò andare in ospedale. Non è una novità per me. Se non fosse che quest’ultimo fosse invaso dai topi e io non sono il pifferaio magico sarei addirittura contento. Ma non lo sono.
C’è ne sarebbe anche un altro in paese ma pare stiano chiudendo anche quello.
E mentre la protesta intorno a me monta come panna sulle fragole io mi rendo conto che in Calabria siamo alla frutta. Ma se lo siamo perché la gente urla e strepita come se non mangiasse da secoli?
Semplice fame o voglia di qualcosa di buono? Non lo so. So che le cose in Calabria vanno male e nessuno fa nulla per migliorare le cose o quantomeno per spezzare il ritmo. Neppure chi dovrebbe. Ci si occupa di Ruby e ci si dimentica di chi ruba come se fosse la cosa più semplice del mondo. Tanto uno vale l’altro. E’ così che si ragiona in Calabria. Persino di fronte ai doveri più sacri si scantona nel lassismo più duro e puro. Come un anno fa al tempo delle elezioni. Settimana indimenticabile quella.
In quella settimana infatti, avrei compiuto ventotto anni. Bella cifra non c’è dubbio. A me poi l’otto è sempre piaciuto. La rotondità consola. Ma quella volta no.
Erano giorni tristi quelli per me. Mi sentivo un pensionato. Un pensionato di ottantadue anni. Uno di quelli cui rubano la retta e sbava alla Caritas. Fiacco. Ferito. Trasparente. Con la consapevolezza non avessi vissuto abbastanza da meritarmi la vita e la coscienza d’averne viste troppe da desiderare la morte. Andare in giro portandosi appresso i propri anni con la coscienza nessuno voglia trascorrerli con te è duro. Ancora di più essere bombardato di parole senza un contenitore dove metterle. Il fatto è che quel giorno avevo le palle gonfie. E la pelle non c’è la faceva più a contenerle. Lapilli schizzavano come lava. Ma nessuno si chinava a raccoglierli. Neanche una gallina.
Quel giorno non ero andato all’università. In compenso però, non mi ero fatto mancare la mia tortura quotidiana ed ero andato a votare. C’ero andato quel giorno perché volevo evitare la folla della domenica. Ma sbagliai i calcoli. Pensavo fosse come allo stadio. Ma sbagliai. Non mi meravigliai. Io e la logica non siamo parenti. Così sebbene volessi passare inosservato, mi sono ritrovato in mezzo all’illogicità umana.
Ed è stata durissima.
Quando sono nato, ero talmente piccolo che non sarei dovuto arrivare alla terza settimana. Invece, ne ho vissute tantissime altre ma non mi sono ancora abituato all’ipocrisia dilagante in alcune circostanze.
Le elezioni appunto.
Tante speranze dissolte nell’acido di un voto sovente inconsapevole e comprato come si fa con un jeans o una scatola di tonno. Orribile. Come i loro volti del resto. Volti saturi di sconfitta. Sconfitte che io avrei voluto raccontare ma non ne ebbi la possibilità. Non avevo la possibilità. Potevo solo osservare e rendermi conto che per quanto tentassi di distinguermi in fondo, non ero meglio di loro. Almeno però mi ero risparmiato la turba domenicale e votai per una lista microscopica. Chiamiamola solidarietà con i vinti e simpatia per i piccoli. Nei talk show serali si parlò di affluenza in calo. Poteva anche darsi. Pure se secondo me, la signora Affluenza non sarà mai troppo in calo per sembrare davvero dimagrita. Appena un po’ più snella forse. Perché?
Mancanza d’esperienza e massiccia inclinazione al sadomasochismo.
Le masse han bisogno della loro corrida quotidiana. Quasi come del pallone nel finesettimana e la figa dopocena.
Han bisogno di questi dilettanti della parola e del contatto. L’abitudine a essere coinvolte direttamente o tramite televoto nelle controversie e nei dibattiti più disparati, le fa sentire protagoniste. O comunque meno lontane da qualcosa da cui altrimenti si sono sempre sentite avulse.
Perché si vota quindi?
Per avere poi una buona scusa per urlare ed imprecare. Infuriarsi. Contro qualcuno o qualcosa. Non importa chi. Non interessa cosa. Le masse esagerano tutto: i propri eroi, i propri nemici, la propria importanza. Poi passata la tempesta elettorale, tolti i panneggi facciali, tutto è come prima. La gente torna a casa afflosciata, scontenta e senza un soldo.
Domanda: cosa si aspettano?
Rassicurazioni, premure, e coperte per la notte.
Qui in Calabria è notte da almeno trent’anni. Nessuno se ne accorto. Troppe luci. Troppi varietà. Quello vero è morto. Ora mandano le repliche. Non solo di notte per la verità. Solo che al posto di Pippo Baudo, Lelio Luttazzi e Raimondo Vianello ci sono Callipo, Loiero e Scopelliti. La differenza c’è e si vede ma non importa a nessuno.
La cosa importante è essere sempre sorridenti nelle foto. Ci riescono benissimo e quando ero piccolo, mi chiedevo come facessero.
Sciocco che non sono altro!
Non c’è da stupirsi visto la fatica che fanno.
I cani stanno meglio di noi. Crisi o no, il loro osso l’hanno e lo avranno sempre. Qui dove anche la cortesia si paga le macellerie chiudono in fretta.
E le dentiere costano troppo.

martedì 1 febbraio 2011

Il calciomercato: la fiera più pazza del mondo


Chissà cosa penserà Angelo Branduardi profetico fautore d’acquisti parsimoniosi con la sua Alla fiera dell’est perla d’apertura dell’omonimo disco del 1976 di fronte al disinvolto scialacquio dei presidenti di serie A i quali spinti dalla necessità di rinfocolare le ambizioni e alimentare i sogni dei propri tifosi spendono e spandono l’impossibile.
Non sono proprio due, infatti, i soldi spesi dai 20 presidenti di serie A per irrobustire i propri organici.
Lo sa bene Massimo Moratti che per difendere i titoli conquistati la scorsa stagione, e alimentare le speranze di rimonta dei suoi, ha speso ben 20 milioni (non pochi di questi tempi), per 4 giocatori davvero importanti: Pazzini, Kharja subito decisivi domenica scorsa a Palermo e Ranocchia e Nagatomo preziose alternative pronte a dar manforte in caso di necessità.
Ed è stata proprio la necessità a spingere Adriano Galliani già re del mercato estivo con le furbe operazioni Ibrahimovic – Robinho ad un ulteriore sforzo economico.
Troppi infatti 11 infortunati per tentare di arrivare in fondo a tutte le competizioni (campionato Coppa dei Campioni Coppa Italia) in cui i rossoneri sono impegnati. Pochi (5) ma buonissimi gli innesti giunti a rattoppare le falle rossonere divisi tra campioni in cerca di nuovi stimoli (Van Bommel e Cassano), giovani di belle speranze (Emanuelson – Didac Vilà), e uomini maturi che hanno sempre una voglia matta di vincere (Legrottaglie). Giocatori diversi per etnia e posizione in campo ma uniti nel proposito (ambizioso ma difficile) di riportare lo scudetto dall’altra parte di Milano.
Tra chi lo scudetto lo tampina da vicino e chi non lo vedrà mai c’è chi lo sogna ma dovrà aspettare ancora .
Tra queste c’è la Juventus che nell’ultimo giorno disponibile trova l’attaccante che cercava. Si chiama Alessandro come quel Del Piero che a 36 anni suonati è ancora il migliore dei suoi, ma vede meglio la porta. Di cognome fa Matri e in classifica marcatori conta già undici reti. Ma un conto e far gol col Cagliari altra storia farli nella Juve che per quanto bistrattata (quanti rifiuti alla Vecchia Signora quest’anno!) è sempre una squadra da rispettare A fargli compagnia nel reparto avanzato c’è l’eroe mondiale Luca Toni accompagnato dall’altro paladino azzurro Andrea Barzagli arrivato in casa Fiat dopo anni alterni al Wolfsburg club tedesco gestito dalla Volkswagen.
Basterà l’effetto Berlino a riportare entusiasmo sotto la Mole? Impossibile saperlo. Difficile capirlo. Delneri quando parla è un rebus e i volti dei giocatori, un fotoromanzo ancora lontano dal lieto fine.
Per scrivere bene, infatti, occorre un progetto chiaro e lungimirante e la tranquillità dei nervi distesi.
Quelli che ha il Napoli di Aurelio De Laurentiis e Walter Mazzarri che per inseguire uno storico scudetto e comunque consolidare una prestigiosa posizione in classifica (un secondo posto sotto il Vesuvio non si vedeva dai tempi di Maradona), si rafforza con Victor Ruiz e quel Mascara inspiegabilmente divenuto un emarginato nell’argentino Catania del “Cholo” Simeone ottimo vice Lavezzi nello scacchiere partenopeo. Senza contare poi il recupero del “cocco” di mister Mazzarri Cristiano Lucarelli il quale ne siamo certi da qui a fine stagione, non farà certo mancare il suo contributo in zona gol peraltro già abbondantemente assicurati da Edison Cavani capocannoniere di questo torneo con 17 centri e l’inossidabile Marek Hamsik già a quota 8.
Quelli di cui non avevano bisogno né Roma né Lazio.
I lupi, infatti, con Totti, Borriello, Vucinic e Menez aspettando il recupero dell’Imperatore Adriano potevano star tranquilli. E sereni son stati impegnati in altre scottanti faccende e difficili passaggi di proprietà.
Gli aquilotti laziali, i gol se li sono trovati in casa (Kozak) e s’affidano al silenzioso Reja per un posto in Champions inimmaginabile ad inizio stagione.
In mezzo ad agguerrite contendenti ecco spuntare l’isolotto pacifico dell’Udinese di Guidolin e Di Natale un esempio di come si possano raggiungere risultati straordinari con modica spesa.
Lezione ammirata da molti (Parma, Cagliari Bologna, Chievo), inascoltata da qualcuno (Sampdoria, Genoa), dove i rispettivi presidenti Garrone e Preziosi si son divertiti in questa finestra di mercato a rivoluzionare organico (10 acquisti e 9 cessioni) per i rossoblu),, e a vendere i gioielli più pregiati(Pazzini e Cassano ) sostituiti dal rientrante Macheda e Maccarone.
E poi ci sono gli altri. Quelli che non hanno i soldi, ma li fanno (vedi il Cesena con Nagatomo), e subito li reinvestono comprando giocatori utili al salto di qualità delle proprie squadre.
Eccezionale in questo senso proprio la compagine romagnola che nell’ultimo giorno utile prende Felipe dalla Fiorentina, Santon, (in prestito dall’Inter nell’affare Nagatomo), e l’emigrante di ritorno dalla fruttuosa campagna di Russia assieme a Spalletti Rosina dallo Zenit di San Pietroburgo.
Atteggiamento opposto della Fiorentina che contrariamente agli anni scorsi quando Pantaleo Corvino ci aveva sempre sorpreso con colpi sensazionali stavolta s’è limitato ai soli Neto, Berhami, Salifu. Nomi che non scaldano la focosa piazza toscana e non rendono più forte la traballante panchina di Mihailovic il quale deve affidarsi al turbolento e reintegrato Mutu.
Missioni di recupero impossibili o quasi come quella che si è assunto Pasquale Marino a Parma nel tentativo di resuscitare l’italo brasiliano Amauri cui il doppio passaporto non sembra proprio aver portato bene. Come del resto anche all’italo argentino Schelotto passato dal Cesena al Catania da dove non parte Maxi Lopez e arriva Bergessio.
Poi ci sono solo vaghe speranze. Come quelle di Lecce e Bari. Ma se i rinforzi si chiamano Caio e Tomovic per i salentini e Kopanek e Huseklepp per i pugliesi, è facile intuire come solo il calore dei tifosi può spingere atleti sconosciuti a dare il massimo e aprire le porte al paradiso.
Nel calcio, infatti, non bisogna attender molto l’ora del giudizio.
Infatti, si gioca già domani…
Buon divertimento!