martedì 31 dicembre 2013

Un anno che finisce



Un anno che finisce

E’ un’ ammasso di parole

Espulse  dalla betoniera dei pensieri

Nel tentativo di cementare concetti
su navate di carta 

E svelare sensi proibiti

Al nulla  di me

In disparte.

giovedì 26 dicembre 2013

Ancora felice

Oggi ho comprato l'album di figurine Calciatori Panini.
Lo faccio da quando avevo otto anni,  e credo lo faro' fino alla fine dei miei giorni.
Quello di oggi non ha piu' la magia di quello comprato ormai ventidue anni or sono.
E' cambiato il pallone, il calcio,  io.

Eppure sfogliando quelle pagine ritrovo il bimbo che ero e ancora mi commuovo.
Non c'e' dubbio: quando il bimbo che in me, dribbla l'uomo che son diventato, riesco ancora ad essere felice.

mercoledì 25 dicembre 2013

Tanti auguri di Buon Natale!!!!!!!!!!




Per le parole che tacciono,
per quelle sedie vuote di calore
Per quelle espressioni circoscritte su tavole disadorne ,
Per quei sorrisi paralizzati da metri di pellicola fotografica ,
per le tenerezze
che rimangono serrate nei palmi delle mani ,
per quelle ansie che nessun abbraccio consola,.
Per loro a Natale favilla
ogni singolo riverbero dell’albero di Natale del mio cuore
Affinché possano trovare anche loro una capanna dove rinascere a nuova vita.
Come Nostro Signore...

domenica 24 novembre 2013

Un fiocco di neve

Nel buio sordo
Di una scatola
Richiudo
Un altro
Giorno muto.
Graffio la corteccia del tempo
E la sua anima privata di sostanza
Ondeggia
Leggera
Come un fiocco di neve
Evaporato
In aria.

venerdì 15 novembre 2013

Dentro un cielo scuro



Dentro
un cielo scuro
La terra
Sfoga
Grandi laghi  di pianto
Arsi di luce
E di speranza
In cui
La malinconia
Vive
e mangia
L’anima esangue
Come la mia parola
Morente.

martedì 12 novembre 2013

Si posa lieve il ricordo

Si posa lieve il ricordo
come un sogno si disegna
rosa del deserto al vento.
Nella memoria mi rifugio
barca sospesa nel tempo,
ma la sua vela
mi sfugge veloce
ed io
mi riscopro
triste intruso
in questo folle vortice preso.
Guardo nell’acqua come in uno specchio
Dove smarrito,
a stento
mi riconosco.

giovedì 7 novembre 2013

Solo l'ombra della mano



Solo l’ ombra  della mano segue

la linea  intermittente delle mie parole

colme di solitudine.

Solo lei riesce a impegnarmi

nella lotta del quotidiano.

Accade quando il ricordo

lucida improvviso il passato

maturo di chiare  speranze.

Il fuoco assonnato rinasce

ignorando le   reti

di una improvvida cenere.

E nel silenzio segna contorni  consueti

a gesti antichi,

tanto cari

da apparire inestimabili sentieri di luce

schiusi ai piedi dei miei sfioriti  domani.

venerdì 1 novembre 2013

Misere barchette di versi

Perche' ho trascorso
troppo tempo
senza appartenermi 
la luna mi oscura.
E in notti di sfida come questa
avverto l'assenza di una vita .
Ora, 
al termine delle cose,
vigilo sui miei  resti.
Ascolto, 
sento
e martello
una povera tastiera
varando misere  barchette di versi 
su quest'orizzonte chiuso.
Basteranno a proteggermi dalla paura del buio?
La mia colpevolezza e' immensa.
E' fu fatale
attraversare la vita
cercando uno squarcio 
che desse da un'altra parte
nella speranza di un angolo  di purezza
in questo cielo di cartavetrata.
Ora,
ho staccato gli ormeggi
dal peso delle cose
e mentre ingoio le notti
dribblando i sogni,
dai dintorni 
di una lacrima ferita, salpo.

venerdì 25 ottobre 2013

Per un'istante viva

Dolce parola che agli sgoccioli t'insinui
del giorno franto,
posandoti negli interstizi nudi del mio tempo,
e ti imponi sovrana discreta alla memoria
avara di gesti cari e disadorni di misura.
D'inchiostro unico orpello,
t'abbatti sul foglio col fragore delle onde del mare
estremo respiro di una voce gonfia di nubi
e colma di parole
che scandisce all' infinito
la trepida urgenza di distinguersi
cosa tra le cose
e riconoscersi per un'istante viva
nel persistere vano dell'esistenza.

venerdì 11 ottobre 2013

Ragazzi'

Dove vanno i giorni miei
e dove
vanno i tuoi?
Son ore che fuggono.
e dove e' andato il piacere di stare insieme?
Quel calore se l'e' portato via scaltro
il vento birbone.
Dove van i miei pensieri per Te
e i tuoi pensieri per me?
Dove vanno le grazie tue una per ogni emozione?
Dove vanno le parole e le pepite nascoste nelle pupille sorridenti,
i suoni dolci e le languidezze della tua bocca in fiore?
nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. lo so.
Io,
sussulto un poco per noi.
Dove andrà quello che smarrisco di Te
e quel che smarrisci di me?
Non so,
ragazzi' , ragazzi'. ragazzi,
non so ragazzì.
So che tutto non so
io non so
Dove va il bene
bene mio senza barriere,
dove?
Dove vanno quei crateri di pianto
che eruttano sul viso lava , calda e traditrice?
Quante stelle ho colto per Te
soltanto il Cielo lo sa.
Questo cielo in rivolta
che tramonta ogni giorno
sulla tua assenza che cresce
ormai
albeggia senza di me.
Avanzo piano
in balia del desiderio
sul piano inclinato del giorno
indeciso sul da farsi .
Anche le tracce piu' fresche si smarriscono
quando le estremità' delle scarpe piu' non si toccano
e procedono sole come l'illusione
di spezzare le catene di questo lucido esilio
nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. lo so.
Io,
sussulto un poco per noi.
Dove va quello che smarrisco di Te,
e quel che smarrisci di me?
Non so ragazzi',
ragazzì, ragazzi',
non so .
So che tutto non so,
io,
non so.
Io no ragazzi';
ragazzi'; ragazzi'; ragazzi';
Gli occhi si velano
d'autunnale pianto
e io,
io non so
ragazzi' ragazzi;' ragazzi',..
Tesa sul corrimano dell'istante
sento che come
me
anche tu
tu non sai..
Non sai
non sai non sai...
Ma piu' non dipano
l'ingarbugliata matassa
di gesti distanti
e tosto mi chiedo:
Dove vanno i giorni miei
e dove stanno andando i tuoi?
Son ore che fuggono..
E dove e' andato il piacere di stare insieme?
Nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. lo so,
Io,
sussulto un poco per noi.
Dove andrà quello che

smarrisco di Te
e quel che smarrisci di me?

...

Su quest'unico tema
incorrisposto m'incaglio
e in quest'assurdo relativismo
scemo.

lunedì 7 ottobre 2013

Tramontato e' il sole

Tramontato e' il sole
e
lento va Apollo incontro al suo destino.

Solo io non m'allontano
testardo
dalla mia pena
e ' nel letto resto solo
a tessere un sudario di versi
dove
adagio
l'eco
dei miei soli stinti
all'ombra
di un vento
che scuote
le membra e le consuma
rapido cerino
di un inestinguibile fuoco
Piromane indefesso
di un dolce supplizio
che io solo alimento
nel consueto martirio
del capoverso.
Le ombre calano e
anche le parole
si dileguano
spaventate dall'affitto del cuore
cercando un cielo
piu' economico dove dormire.
Sol io resto vigile
e mi dibatto ancora
nel fiume incandescente
del desiderio
refrattario a qualsiasi argine
e straripo nel delirio
di un abbandono.



venerdì 4 ottobre 2013

All'aria pietrosa e sulfurea di Lampedusa

L'angoscia della morte oggi tutto incendia

e il suo scuro  bagliore si riverbera

nel malinconico sole d'autunno

assimilando ognuno

all'aria pietrosa e sulfurea di Lampedusa

Scorrono le immagini

e non ho piu' dubbi:

siamo quello che cerchiamo

privi d'affrettate fughe

dissolte in un sangue ingiusto

sepolto da inutili parole

troppo tardi

cadute

su vaghi sogni

di remota liberta'

accese

da minime stagioni

di riflesse speranze.

L'esistenza ha in se '

il segreto della felicita'.

In una stolta notte

un univoco tarlo

di sanguinose rotte

l'ha smarrito

confermando

l'assurdita'

d'assenze conosciute

cui nessuna norma

ha posto riparo.

Le chiacchiere

le porta via il vento.

Resta solo l'amara salsedine

e i cocci rotti

di vite spezzate

di cui nessuno,

purtroppo si curera'
se non per il tempo di 
un rullo
compresso
nello sbadiglio di un istante
 presto sommerso 
da una tassativa 
pubblicita'.


giovedì 3 ottobre 2013

Ogni poeta e' Alfredo Rampi

Ogni parola che scrivo  e' una piccola Vermicino. Ogni poeta e' Alfredo Rampi inghiottito nel buio di un improvvido tombino .
O almeno oggi io mi sento cosi'.
Sprofondato in un antro buio dove l'eco della mia voce  s'ode ogni giorno piu' lontano.  

Nell'incuria di tutti.
L'inchiostro mi fa da fedele  lanterna. 

Sol mi chiedo fino a quando.
 Anche il verso piu' bello privo di luce muore.

Il canarino ha gia' dato.
Mancherei io. 
Ma non mi prendo da molto e  cosi' mi spargo lontano nel tempo infinito aspettando una carezza mi trafigga intero come una lama nel buio regalandomi un  ultimo soffio di vita.

martedì 1 ottobre 2013

I classici della letteratura: porte per penetrare nei segreti della contemporaneita'

Il classico sta bene su tutto rassicura la mente , e fa bene al cuore.
Prima pero' di lanciarsi in una difesa del classico e' importante avanzare il baricentro della riflessione e chiarirsi sul concetto di “classico”.
Credo infatti, che un classico possa intendersi come un duplice atto di presa di coscienza. Di cosa? Del nostro essere creature figlie di un determinato tempo della Storia.
Il primo atto appartiene, ovvio, all'autore, alla genialità' con cui ha intuito l'essenza del proprio tempo, al punto da prevedere, alcuni sintomi e fisionomie del futuro.
Il secondo atto appartiene al lettore, alla sensibilità' con cui desidera capirsi come protagonista di una scena che ci vede, ogni giorno, rappresentare un dramma che mantiene, il suo ultimo atto aperto.
Un classico serve alla maturazione profonda del nostro stato d'animo in quanto, nei suoi specchi riflettenti, contiene intuizioni che formano la nostra personalità'.
E' assimilabile al codice genetico, allo spartito musicale della natura, la cui lingua sacra custodiamo nel cuore.
Leggendo, studiando i classici, di cui gli autori son i privilegiati, fatali mediatori, e come se tendessimo l'orecchio all'interno di noi stessi, dove esiste un linguaggio che siamo noi.
Un classico e' una macchia sospesa nell'ombra dove si racchiude l'amore per la vita dove e' fondamentale immergersi. Leggendo , innalziamo il coefficiente di meraviglia che e' in noi.
Succhiando il dolce midollo delle pagine di un classico la nostra consapevolezza s'apre in tutta la sua ampiezza, e il contatto estremo con la luce dell'intelletto altrui regala il massimo splendore ai colori della nostra anima.
Leggere e' il fascino calamitante di due realtà' fisicamente estranee che d'improvviso si fondono. Due entità' che non hanno più' un proprio nome, ma un nome solo: bellezza.
Un classico ci fa scalare l' Everest emotivo di noi stessi e risalire alle fonti del sapere e della creatività. Impresa che richiede la massima disponibilità' del lettore a mettersi in gioco senza riserve.
Non e' un caso infatti, che Cervantes, nel Don Chisciotte, chiama in causa il lettore apostrofandolo, con una punta di malizia, “ descoupado”, libero da impacci. Ebbene, al di fuori dell'affettuosità' maliziosa, il classico ci obbliga a guardare con occhio critico la realtà' verificando giorno dopo giorno, quanto siamo realmente liberi e non passivi, in che misura possediamo la vitalità' necessaria per una analisi approfondita di quanto ci circonda.
Quando leggiamo un libro, un classico in particolare, noi non leggiamo solo le pagine stampate, ricavandone suggestioni e conoscenze, ma soprattutto leggiamo noi stessi, ossia lo stato d'animo dei sensi che ci distingue dagli altri esseri viventi facendo un check – up di questo stato.
Quest'ultimo, non e' meno importante, di quello che riguarda il corpo. Le percezioni non si possono isolare in un canto segreto del nostro animo.
Anche loro infatti, necessitano di un allenamento specifico e quotidiano.
Da svolgere ponendo a confronto il nostro io intimo con quello dei geni che firmarono quei vangeli della bellezza che sono i classici della letteratura di ogni tempo. Non c'e' limite alla bellezza, non c'e' per la meraviglia..
Facciamo qualche esempio.
Viviamo in un'epoca in cui i viaggi, anche in terre lontane, sono d'obbligo: per lavoro, vacanza, curiosità', esotismo, acchiappanza.
Ed ecco che specchiando il nostro ruolo di viaggiatori nello note del Viaggio in Italia di Goethe, veniamo a conoscere fino a che punto, in noi, l'attitudine oserei dire positivistica, che alimenta il desiderio conoscitivo – scientifico, va armoniosamente d'accordo con la tendenza fantasiosa che esalta l'immaginazione, essendone esaltata.
Avvolti in un sistema computerizzato, dobbiamo riconoscere che i byte paralizzano l'immaginazione specie nelle fasce di prima scolarizzazione (mi riferisco ai bambini e agli adolescenti),
i classici servono a riequilibrare le cose.
A riportare un profumo di mistero negli schemi prefissati che, altrimenti, finirebbero, per inquadrarci come puro frutto di calcolo di menti affannate e derelitte.
Va anche sottolineato che in un passaggio epocale quale il nostro, molte parole, troppo usurate, e di cui continuiamo a riempirci la bocca, si son ridotte a gusci vuoti, a montaliani “ossi di seppia”. Non facciamo che lamentare la perdita dei “valori”.
Ma che significa, oggi, questa parola? Ne ritroviamo sia il significato sia il sapore leggendo le pagine del teatro di Skakespeare sia le poesie di Leopardi sul quale grava una stalagmitica e ingiuriosa concezione del dolore assolutamente illogica e primitiva.
E' la parola amore? Essa ci corre continuamente sulle labbra, invade canzonette e titoli dei media, ma non riusciamo piu' a stringerla in un senso esatto, ridandole vita.
Ebbene, i classici ci dimostrano che quel senso, possiamo trovarlo non solo nei pensieri dei filosofi, ma anche, pensate, nelle pagine di Galileo.
Un'altra sublime possibilità' offerta dallo studio dei classici consiste nella comparazione.
Leggendo Galileo infatti, l'amore, per deduzione, ci viene chiarito in questo modo: quando e' assoluto, esso privilegia il godere di se stessi quasi il mondo si fermasse, lasciando il campo a una sola meraviglia, quella di esistere, senza dover rendere conto di nulla. Una sonda spaziale si lascia dietro la terra, se la dimentica nel suo volo, pur essendo creatura dell'uomo, simbolo dell'uomo.
Sale, poniamo, a raggiungere una cometa che contiene le molecole prebiotiche che stanno all'origine della vita, si perde in questo principio di creazione. E' una metafora ideale del sentimento amoroso: mantenersi umani, tuttavia senza il peso delle umane vicende, accolti nel cuore primordiale dell'esistenza.
Sempre che ci si senta davvero parte di essa. Cercare di inquadrare, in un'ottica moderna i classici dell'umano pensiero, significa rifarsi, fortemente, alle esperienze personali, comportarsi come una sorta di medium che trae profitto dalle risorse di cui ha sperimentato il possesso.
Questa consapevolezza, quando non sfocia in un mero nozionismo, e' assente.
Penso agli insegnanti guardati come strani animali in mezzo alla lontana curiosità' degli alunni privi di reali mezzi di confronto tra loro.
Privi di sintonia.
Una simbiosi può' e deve scattare anche al di fuori delle dinamiche scolastiche.
La scuola dal canto suo, deve spingere alla cultura incentivando sempre alla bellezza dell'esplorazione intellettuale individuale e collettiva, Pascal, Voltaire o le Storie di Tucidide, sempre per esemplificare, significa esser pronti al dibattito sulle realtà' generazionali che ci distinguono.
Ancora non e' possibile assimilare la lezione degli autori della letteratura contemporanea senza poter fare riferimento ai “padri profondi” che hanno tracciato le somme vie con i loro capolavori.
Prendiamone uno a caso ma non tanto come leggerete tra qualche riga. Carlo Emilio Gadda. Come si puo' capirlo se non si e' mai letto Aristofane, Molie're, Gogol?
Ho citato Gadda perche', degli scrittori italiani del novecento, e' quello che ha visto più' a fondo nel viscerame del nostro presente. Con il solo potere delle sue pagine, senza mai coinvolgersi in questo o quel fatto pubblico di cui i media creano l'enfasi, in quei “manifesti” che sono la croce e la deliziia di quei polemisti usa e getta evitando tutto cio' con pudore esemplare. Gadda sosteneva che “ il fegato macchinatore della universale realtà' stenta oggi a filtrare i nostri veleni in quanto non riusciamo più' a specchiarci nei “grandi “ del passato. Quindi, il mondo contemporaneo e un pasticciaccio in cui l'intrigo e il malaffare trionfa a tal punto da prescindere dai suoi protagonisti diventando esso stesso protagonista: avendo di fronte a se' un finale del tutto aperto, dove qualunque conclusione e' possibile e ogni riferimento a cio che sara' di noi e' assolutamente pleonastico e ripetitivo.
Il mistero si infittisce e la domanda dimora ancora in un silenzio assordante all'interno di una angoscia latente: mentre i drammi, per eccesso di quantita' e di brutture, da un lato generano assuefazione e dall'altro degenerano in quella parodia burlesca, in quello stravolgimento grottesco che Gadda nel suo fatidico pentolone , mirabilmente ha prospettato.
Visto che la storia si specchia sempre in se stessa, perche' allora con dignita ' di pensiero, non cercare una risposta, un'illuminazione in Tacito e Tucidide?
Non e' solo un invito alla lettura questo, ma ad essere accorti: nelle pagine di questi geni del commento, stanno chiavi di lettura del nostro tempo, tante quante non immaginiamo.
Poi quante magie possiamo creare fondendo gli effluvi e i sapori dei classici!!!!
Si potrebbe partire da Del progredire della scienza di Bacone per poi mischiarle con le poesie di Rilke con le pagine di Galileo.
Farlo significa insinuarsi nei massimi sistemi che regolano il mondo, il cosmo, la vita. Ed esser grati. Grati ai classici da cui siamo stati preparati alla meraviglia.


domenica 8 settembre 2013

Uno strappo alieno da qualsiasi rammendo

Stiracchiarsi
nel sopore pomeridiano
respirando lungo
nel limbo annebbiato 
del tempo
strizzando l'occhio 
all'istinto
intrappolato
nelle correnti ascensionali
del momento,
delicato filo D'Arianna
di un'anima smarrita
nel labirinto 
egocentrico
dell'umano. 

Pur cosi'
ci si libera
dalle assurde 
catene del  cuore.
Ma quant'e' dolce
la tagliola del sentimento.
Quasi un feto  stretto
 nello  sforzo della prima luce
quando nel novello vagito
risiede tutto l'orrore 
di uno strappo
alieno 
da qualsiasi rammendo.
Cosi 'autentico e puro
che ancora lo ricordo .

mercoledì 4 settembre 2013

Una inattesa eclisse

Scrivo  perche' non so fare altro.
Per  estrarre dalla vita quello che lei mi ha preso.
Forse tolto.
Quando da piccolo vedevo la gente abbracciarsi intuivo lo facesse solo per soffocare in qualche modo la propria disperazione.
Sgomento da tale scoperta mi son eclissato.
E le poche volte che ho sorriso e per distrarre l'inquietudine che mi insegue da sempre.
Un'inattesa  eclisse.
Questo son stato e questo sono.
Uno che non doveva esserci e chissa' come e' apparso.
Ho provato a saldarmi al terreno.
Ma tutto cio che e' rimasto e tutto cio che sono mi sembrano le spoglie di un disadatta
to cui e' stato proibito persino  di respirare.
Tutto e' opaco fuori e nesssuno mi regala un'alba  dove specchiarmi e sperare in un giorno migliore.
Il buio mi assorbe.
Forse gli piace vincere facile col Nulla.

Occhi ciechi d'ali e di paradiso

Ci son mattine 
in cui 
per
una carezza
mi 
venderei 
intero.
Ma rapida
scende
la sera
sul 
sopore 
pomeridiano
e
l'ombra
di una 
grigia
solitudine
si dipana
nei miei
occhi
ciechi d'ali

di 
paradiso.

martedì 3 settembre 2013

Le pareti della mia stanza sanno gia' d'autunno

Le pareti  della mia stanza sanno gia' d'autunno

e' la mia barba non basta a farmi da sciarpa.
Fuori, 
dalla finestra,

cirri birbanti, appaltano le colline

annunciando una piovigginosa guerra .

Bisogna sbrigarsi a far la spesa

prima che il traffico dell'ora di punta

narcotizzi i sensi

suscitando inutili mancanze.

I rumori della cucina deturpano

il silenzio immacolato del corridoio.

 Intanto
sulla spoglia riva

a poco, a poco,

i ragazzi delle collanine 
battono in ritirata,

lasciando sulla sabbia bagnata,

ai gatti voraci

i loro umidi vuoti

disseminati

sotto la panchina 
di un treno 
che non parte ormai da secoli.

Paure arenate 
tornano ad atterrire 
come spaventapasseri

campi di grano 
dove non cresce piu' l'erba.

Ed io col cuore sferzato dalla pioggia

e battuto dal vento

tosto insisto

alla fioca luce della sera

nella dura ricerca

di una dorata plaga

dove poter lasciar traccia di me

a chi verra' dopo.

Non chiedo tanto

e questo spero:

un volto amico

e due versi

che mi ricordino

per sempre

vivo

e pur nella tempesta

sappiano di sole.

domenica 1 settembre 2013

Settembre e' ormai giunto

Settembre e' ormai giunto

e 'il giardino gia' smoccola amaro

privato del garrulo stridere delle cicale

e

il sorriso giocondo dei fiori.

Corrucciato e stanco ,

il sole si ritira presto 
nell aspro incavo  delle montagne, 

scoprendo davanzali

nudi di vita.

Restano sull'asfalto

templi di cocci rotti, steli divelti
di sogni infranti,

e il vento che sferza la pianura

gia sa d'estremi sonni
reclini doni

di  una indecisa  estate.

Nel sicuro diporto

di un certo trapasso,

avanzo a tentoni

nel procelloso mare

dell'esistenza

come minuta foglia

che rotola lontana

sul derma remoto

della vita.

lunedì 26 agosto 2013

Naufrago nell'effimero dell'essere.

Nessuna gruccia per me
che una culla non ebbi
e con i piedi tocco
il fondo 
diel tutto
in un vuoto 
che duole.
Qualcosa trascorre
in inchiostro traspare,

eppure il conto non torna
impedito dalla paura di partire.
E' nel mio pensiero 
qualcosa si va a fermare
ineluttabile stalattite:
Mi sento un naufrago
nell'effimero dell'essere
una traccia occultata
anzitempo
dove il superfluo
finge di esistere
ed ebbro di nostalgia
muore nell'illusione 
di sentire
un mormorio
sempre piu' lontano.


giovedì 22 agosto 2013

Tu non sarai mai spento amore

Tu
non sarai mai spento
amore, 
perche' sara '
tuo
anche il mio respiro.
Composto,
dentro un legno di pianto,
mille volte ti ho baciato
 il viso
e altre mille riacceso
le carni.
Tu non sarai mai spento
mio rapito amore:
anche al buio
di una cieca intesa 
ti alimentero'.

martedì 20 agosto 2013

La parola e' la colla della vita!!!

Pareva un uomo venuto dalle favole  e avrebbe potuto essere il nonno di tutti noi  se il mondo glielo avesse permesso.
Era solo un vecchio barbone  e  questo bastava per isolarlo in un angolo ogni giorno piu' stretto.
Antonio lo vedeva sempre al parco la sera  al ritorno dal lavoro ed ogni volta era sempre un'illuminazione, una scoperta
Non seppe mai il suo nome ma la precisione e la chiarezza con la quale scrutava l'animo umano era piu' di qualunque nome possibile. Un ' attitudine che il mondo pareva aver smarrito e che lui conteneva per intero insieme ad una purezzza d'animo straordinaria.
A volte lo si vedeva con in mano un libro o seduto sugli scalini della stazione contemplare a lungo il cielo.
Era sempre turbato, lo sguardo grave di chi porta sulle spalle tutto il peso del mondo.
Fosse solo per alleviare il peso di quella immane fatica, Antonio fece subito amicizia con lui.
Non si trattava di semplice solidarieta' umana, ma di mutuo soccorso.
Tutto era silenzio  attorno.
Parole sincere avrebbero potuto illuminare di nuovo quegli angoli ambulanti di solitudine.
E' fu davvero cosi'.
Quell'uomo aveva vissuto di tutto nella sua vita.
Ora all'ombra di un salice piangente c'era solo la sua solitudine ad ascoltarlo.
Il mondo era poco piu' di un cimitero.
I libri, le parole che contenevano, i segreti che custodivano, l'unico modo per sfuggire agli inganni della gente. l'unico motivo per cui ringraziava la vita di averlo recapitato in quello sputo.
Anche il luogo piu' inospitale dopotutto, con un libro in mano puo' diventare un bellissimo giardino.
Ogni sera, prima di andarsene nel suo colto sgabuzzino, ad occhi spalancati ammirando la luna diceva  " La parola e' la colla della vita!"
Antonio al suono di quelle parole, si sentiva meglio. Piu' saldo sul sentiero dell'esistenza, piu' felice di esser nato.
Tre giorni dopo quell'ultima lunare rivelazione, il vecchio  mori'.
Fu travolto da un auto in corsa  mentre usciva dal parco e lui cadde come gialla velatura goffa di un paese senza memoria che non gli organizzo' nemmeno il funerale.
Penso' a tutto Antonio infatti.
Oltre a lui. solo la luna  al cospetto di quell'estremo saluto quella volta, pianse lacrime amare.
Nelle notti che seguirono, la citta' fu coinvolta da una pioggia di stelle cadenti che nessuno raccolse pero'.
Quella gente aveva sfrattato il desiderio dal cuore e nelle vicinanze c'era uno spettacolo di saltimbanchi.

giovedì 25 luglio 2013

Volevo dirti che ti voglio bene

Volevo dirti che ti voglio bene
da vero disertore dell'infelicita'.
Gridarlo.
ora che negli occhi di nessuno trovo asilo, 
vorrei che il cielo si abbassasse 
per restare preso tra le nuvole.




Ma resto qui.
In questo qui cosi' pesante.
E non trovo altrove se non qui.


Volevo dirti che ti voglio bene
da vero disertore dell'infelicita'.
Nessuno mi comando' di volerti bene.
Me lo dicesti  tu, la prima volta due anni fa.
Ma ora ho una falla nel cuore
e non posso colmare
l'abisso con l'aria
di un riflesso.


Volevo dirti che ti voglio bene
da vero disertore dell'infelicita'.
Gridarlo.
Ora che anche i petali di una margherita 
mi han voltato le spalle scopro 
come son tremanti gli amori muti.

mercoledì 24 luglio 2013

Tra Carlos e Fernando Gaetano gode

Ieri  sera Tim in mano Tom Tom in testa, tutti aspettavano Carlos e Fernando. 
E' arrivato come solo i Gaetano sanno fare, (fidatevi: ne so qualcosa), Gaetano Masucci da Avellino ad impallinare lo sventurato Gabriel e a ricordare che le squadre non si fanno con i milioni e i titoloni ma con cuore e polmoni e vista acuta.
A rubar l'occhio, (almeno il mio), infatti non e' stato lo scornato Quagliarella, il redivivo Robinho ma il guineense naturalizzato portoghese
Aladje Gomes.
Appena entrato, il ragazzo, mi ha ricordato Aristoteles e ho rivisto Adriano. Quello che ha spaccato la porta del Santiago Bernabeu agli albori del ventunesimo secolo in otto minuti, e sgonfiato i cuori di tutti noi maniaci della palla a scacchi, a furia d'eccessi e ascessi dell'animo.
Ebbene prendetemi per pazzo: ma se il ragazzo non fara le bizze sara' un campione.
Un portoghese con i piedi da brasiliano.
Per ora accontetatevi di Gaetano Masucci.
 Non e ' bello a vedersi, ma e' terribilmente concreto sotto porta.
Piu' concreto di un sogno di mezza estate.

domenica 21 luglio 2013

La metamorfosi di Franz Kafka: natura morta della societa' borghese

Spesso la pagina di un libro rivela cio' che la maniglia di una porta vuole occultare scavando distanze che le dimensioni di una camera da letto non riescono a contenere.
Specie quando la Colpa s'insinua dentro di te nelle soffuse blandizie della notte e lo specchio rimanda effigi che non puoi addebitare a nessun'altro che a te stesso che stai li' inebetito, a domandarti il perche' sia potuto accadere proprio a te.
Sta in questo umanissimo interrogativo la grandezza della Metamorfosi di Franz Kafka redatto dall'autore slovacco tra il 18 novembre e il 7 dicembre 1912. 
La bravura di un autore sta nel presentarti il conto (e fartelo pagare), ancor prima d'averti fatto gustare per intero il suo piatto. 
Kafka ci riesce benissimo attaccando noi lettori al corrimano sudaticcio e sdrucciolevole di un mastodontico "perche?"
Perche' l'onesto commesso viaggiatore Gregor Samsa si trasforma  in uno schifoso insetto?
E' d'improvviso si torna bambini attorno al lume della  nuovavita di Gregor, analizzata e compresa da Kafka nelle sue fasi di ciclica ordinanza: nascita, vita, morte, 
Se non fosse per l'inopinata evenienza di una sgradita ripugnanza, cui nessun sonno potra' porre rimedio, e il tutto si riduca invece,  a un lento e inevitabile processo di accettazione della nuova condizione da parte di Gregor Samsa da uomo qual'era a insetto, quale e' e sara'
Questa ineluttabilita' che ci fa pensare alle irrevocabili atmosfere di alcuni Canti leopardiani, prende le mosse dal momento in cui Gregor che pensa da uomo' smarrisce la possibilita' d'appuntarsi linguisticamente  all'umanita'.
Significativo la perda proprio all'interno della  sua famiglia.
Cos'e' la famiglia di Gregor Samsa? Un posto dove il ronzio degli elettrodomestici si confonde con quello della propria voce e sradicato e stanco per caso si riitrova attorno a un  tavolo circolare rotto da invisibili crepe cui non basta a restituir calore, l'amore della madre, la complicita' di una sorella.
Il padre non c'e' perche' nella mente di chi subisce e' solo qualcuno di cui liberarsi.
Qualcuno buono solo a impartir modelli plastificati e  inattaccabili dalla fluidita' dell'esistenza.
Regole che Gregor, ancor serrato nel suo involucro, umano tenta supino, di seguire, ma che di fronte alla sua nuova condizione, risultano superflue eppur tentano ancora dal chiuso di una porta ,di suscitar timore, obbligo ,costrizione.
Doveri  che l'evidenza della sua orripilante figura ,schianta e annulla in una collettiva ansia, una mostruosa paura, una assurda minaccia.
Qualcosa da cui allontanarsi, prima che sia possibile qualsiasi assimilazione .
L'Altro non e' che un Oltre.
Ma se non si e' in grado di accoglierlo attorno al lume del focolare domestico, tanto vale serrarlo in un angolo buio della coscienza non meno viscoso delle zampette dell'insetto Gregor.
Alla sua famiglia  due non bastano. 
Per questo devono aiutarsi con la ramazza.
La ramazza e' il manganello con cui la famiglia cerca di ristabilir l'ordine costituito di un nucleo familiare che non sa far quadrato e si chiude a riccio in posizione statica  di fronte alla bidimensionalita plastica  del figlio.
Una distanza emotiva e relazionale tra figli e famiglia, che Kafka metabolizza in una contrapposizione naturalistica in cui l'incomunicabilita' e' smentita da un ronzio.
In questo sordo e monodico sibilo, non c'e' assenza di linguaggio, ma incapacita' di decodificazione dello stesso.
Privi di questo fondamentale  grimaldello linguistico, genitori e  figli stanno nei loro rispettivi territori penalizzati da una comune deficenza.
Diventano animali essi stessi  quindi. 
La metamorfosi evidenzia una penosa inettitudine relazionale cui la trasformazione animalesca restituisce una incontestabile verita' oggettiva' cui concorrono in silenzio,  padri e figli.
Vi e' un terzo elemento di distanza fra le parti.
E' la letteratura stessa che con i suoi obblighi meditativi costringe l'uomo (Kafka ma potremmo dire ogni amante della letteratura ), ad astrarsi dal consorzio umano cui l'uomo comune , esacerbato dal rancore, restituisce il pane rancido di uno sdegnoso pietismo.
L'insetto Gregor diventa quindi il paradigma della visione distorta della letteratura che chiama la solitudine e stimola dipendenza filiale impedendo facili realizzazioni familiari.
Carmina non dant panem ma caffe' diceva Severino (grazie Antonella!!!!!!!).  un magnifico cantastorie veneto. E pure scodelle suggerisce Kafka visto il gran numero che la  sorella Grete, in uno slancio d'immutato d'amore  destina allo sventurato fratello, con i moncherini di pane e gli avanzi di tutto
Questo il desco incestuoso dello scrittore che cieco di vita, stravolto di forma, deve accontentarsi dei resti degli altri annullando la sua capacita' di immaginare, costruire, rendersi autonomo nei confronti  di chi invece, al cospetto di una diversita' conclamata, riprende improvviso impeto dittatoriale (il padre), e  si placa solo al richiamo di un furtivo amplesso sessuale.
Quel trionfo dei sensi molte volte alluso, e sempre negato, durante tutto il romanzo,  si muta egli stesso in una sentenza di morte consapevole e necessaria.
A dichiararne l'ineluttabilita' e' proprio il desiderio supremo di Gregor: la sorella Grete che messa di fronte l'impulso copulativo del fratello (lui che si  mette al centro della foto della madre in posizione inequivocabile), ne certifica agli occhi della famiglia lo smarrimento di ogni umanita' e l'assoluta castrazione di un assurdo desiderio.
Eliminata l'abiezione, il circuito immobile nella quale si snoda la vita della famiglia di Gregor, puo' riprendere,  costringendo noi lettori, a portarci   dietro l'ombra di una morte assurda ma necessaria.
Necessaria perche' l'impianto naturalistico su cui si fonda il romanzo potesse riprender con  rinnovato vigore e manifestarsi per quel che veramente e' : la natura morta di una societa' borghese  che con assoluta freddezza si sdoppia nel ruolo di vittima e carnefice dei suoi stessi figli impossibilitati a "vivere davvero" ed opporsi all'ineluttabilita' del loro triste destino: quello di vermi cornuti e mazziati all'interno della loro stessa  originaria placenta.
 Eterni bamboccioni appesi al gancio gigantesco di un mastodontico "perche'".
Come sopra, come sempre.