giovedì 29 marzo 2012

Probabilmente ora sto ascoltando...




Ogni volta ti guardo e capisco il regalo
l’abitudine spesso sbiadisce i colori
anche se non ci faccio più caso lo sai
certe volte il mio vivere è troppo ingombrante
ma ti posso portare da qui a dove vuoi
illudendoti forse che a tutto si arriva
e magari rubarti al tuo mondo che è pieno
oggi sono me stesso e ti dedico tutto

ho sentito profumi che portano nausea
ho cercato calore da chi non ne aveva
ho pregato la notte col sole finivo
sono stato un disastro per chi mi ha creduto
tu mi hai preso la mano e mi hai detto proviamo
cosa abbiamo da perdere è tutto già scritto
io ti ascolto sognare io sono nel sogno
è per questo che adesso ti dedico tutto
ti dedico tutto

il mestiere si impara il coraggio ti viene
il dolore guarisce la tempesta ha una fine
ma diverso è sapere la cosa più giusta
siamo naufraghi vivi in un mare d’amore
e viviamo pensando e scriviamo canzoni
benvenuti nel secolo delle illusioni
ci sarà prima poi la sentenza o il giudizio
è per questo che adesso ti dedico tutto
ti dedico tutto

se mi vieni a cercare mi sento più fiero
se mi metto a studiare mi sento in vantaggio
quanta pena ha negli chi non prova questo
sono stato davvero baciato da un Dio
è per questo che vivo con molta paura
tutto questo potrebbe di colpo finire
ma poi penso ogni cosa ha una fine sicura
quindi non me la meno e ci metto passione

la passione è la forza che lega le teste
e a quei corpi noiosi da spirito e luce
se mi fermo a pensare agli errori che ho fatto
mi si spengono gli occhi e mi cerco nel sonno
io ci credo davvero non sei solo sesso
sei conquista e traguardo involucro vero
dove vengo a nascondermi quando mi pento
è per questo che adesso ti dedico tutto
ti dedico tutto

il mestiere si impara il coraggio ti viene
il dolore guarisce la tempesta ha una fine
ma diverso è sapere la cosa più giusta
siamo naufraghi vivi in un mare d’amore
e viviamo pensando e scriviamo canzoni
benvenuto nel secolo delle illusioni
ci sarà prima o poi la sentenza o il giudizio
è per questo che adesso ti dedico tutto

il mestiere si impara il coraggio ti viene
il dolore guarisce la tempesta ha una fine
ma diverso è sapere la cosa più giusta
siamo naufraghi vivi in un mare d’amore
e viviamo pensando e ascoltiamo canzoni
benvenuti nel secolo delle illusioni
ci sarà prima o poi la sentenza o il giudizio
è per questo che adesso ti dedico tutto

lunedì 26 marzo 2012

La notte di Alessandro Del Piero


Domenica 25 marzo 2012. La prima con l’ora legale. Un’ora in più di veglia per tutti. Un’ora e qualcosa in più perché gli spettatori di Juventus – Inter gioissero per un’altra magia. La numero 206 di Alessandro Del Piero con la maglia bianconera utile a ingrassare gli almanacchi e a ricacciare indietro lo spettro dell’addio.
E’ stato un incantesimo carico di sorrisi e commozione, di gesti crudi da campo di calcio abbinati a una dolcezza indimenticabile .
Ma prima dell'epifania finale. ecco la partita l'altra, quella che un tempo valeva lo scudetto e ora solo tre miseri punti cui s'annodano ambizioni tricolori, motivazioni da ritrovare, velleità varie e disparate.
Le squadre che si fronteggiano a viso aperto entrambe consapevoli che la gioia dell’una, dipenderà da un errore dell’altra, la paura di sprofondare degli interisti, lo sguardo fiero di Antonio Conte e la sua sicurezza inalterata per tutti i novanta minuti di gioco irrobustita dalla consapevolezza che con quei tre davanti (Matri, Pepe, Vucinic), qualcosa di bellissimo può sempre accadere.
In mezzo, un primo tempo in cui la dignità interista ha sbattuto contro un Buffon versione Ed Wanner. Solo rammarico per gli interisti quindi, spazzati via da uno che (Martin Caceres), non c’era, non ci doveva essere ed invece eccolo lì a svettare più in alto di tutti a timbrare un’altra volta il cartellino pesante proprio contro quei lombardi che del cartellino hanno fatto una religione sacra e santa.
In mezzo a questo stacanovista del gol in salsa lombarda (l’uruguagio aveva segnato una doppietta in Coppa Italia anche al Milan), i balbettii di un vecchio Principe (Milito) spodestato troppo presto dal rango di re ora costretto a mendicar palloni da chi (Forlan,) non sa più cosa farsene.
Ed alla fine ecco chi la partita l’ha giocata e vinta per davvero. Alessandro Del Piero entrato dalla panchina ancora una volta, uscito dalla ghiacciaia come un prosecco qualunque a ricordare che in fondo, ma non troppo, qualche bollicina nel suo serbatoio c’è rimasta e ubriaca ancora tutti: tifosi e avversari.
Solo in alto, sulle tribune che contano, nelle stanze dei bottoni il veneto non incanta più.
In certi casi, Il coraggio umano non vale, il talento del campione non basta. Soprattutto chi dovrebbe desiderarlo non lo vuole più.
Ma lui davanti alle telecamere sogghigna, evita, scarta, disorienta quella domanda come fosse un difensore qualunque e allora non puoi non pensare che il giorno dell’addio è ancora lontano, è un’altra porta (quella del Napoli magari), è vicina.
Non puoi non pensare a quel minuto in cui una notte qualunque è diventata la sua notte e in un colpo solo in un abbraccio universale che solo gli amici veri e i campioni autentici sanno offrire, la notte di tutti quelli che l’hanno applaudito. Ancora una volta.
Con orgoglio, grazie Ale!!!

domenica 25 marzo 2012

Scarabocchi di Tonino Guerra


I sacriféizi

Se mè ò studié
l'è stè par la mi ma,
ch'la fa una cròusa invéci de su nóm.

S'a cnòss tótt al zità
ch'u i è in chèva e' mònd,
l'è stè par la mi ma, ch'la n'à viazè.

E ir a l'ò purtèda t'un cafè
a fè du pas, ch'la n' vàid bèla piò lómm.
- Mitéiv disdài. Csa vléiv! Vléiv un bignè?
I sacrifici

Se ho potuto studiare
lo devo a mia madre
che firma con una croce.

Se conosco tutte le città
che stanno in capo al mondo
è stato per mia madre, che non ha mai viaggiato.

leri l'ho portata in un caffè
a far due passi
perché quasi non ci vede più niente
- Sedetevi, qua. Cosa volete? Un bignè?
I scarabócc

Quést l'è al murài
e quést l'è i scarabócc
ch'a féva da burdèl
se calzinàz,
da mén da ch'ò tachè
andè dri me braz
par fè una réiga lònga
e quèlch invrócc.

Quést l'è al murài
e quést l'è i scarabócc.
Gli scarabocchi

Questo è il muro
questi gli scarabocchi
che facevo col gesso da bambino
quando ho imparato
a seguire il braccio
per fare una riga lunga e qualche svolazzo.

Questo qua è il muro
questi gli scarabocchi.
I bu

Andè a di acsè mi bu ch' i vaga véa,
che quèl chi à fat i à fat,
che adèss u s'èra préima se tratòur.

E' pianz e' cór ma tótt, ènca mu mè,
avdài ch'i à lavurè dal mièri d'an
e adès i à d'andè véa a tèsta basa
dri ma la córda lònga de mazèl.
I buoi

Andate a dire ai buoi che vadano via
che il loro lavoro non ci serve più
che oggi si fa prima ad arare col trattore.
E poi commoviamoci pure a pensare
alla fatica che hanno fatto per migliaia d'anni
mentre eccoli lì che se ne vanno a testa bassa
dietro la corda lunga del macello.

sabato 24 marzo 2012

E' uno scrigno la tua mano


E’ uno scrigno la tua mano.

Contiene le nostre vite, il futuro che ci attende e i sogni che saremo in grado di realizzare.

La stringo con l’animo del naufrago che fissa una riva che non arriva mai in mezzo a onde nemiche.

Tu lo sai ed è per questo che me la stringi più forte serrando in una morsa tutte le mie paure.

Ed è in quell’istante che rinfrancato, rinnovo la mia sfida ai flutti.

Oltrepassando l’oscurità con la sicurezza che tutto è scritto nelle linee delle tua mano incantata dalla forza del nostro amore.

giovedì 22 marzo 2012

Un invito alla letttura molto speciale ;Il Silenzio Assordante di Luca Rota prima parte)


A ferire il silenzio che ci opprime, è rimasta solo la parola.

Tante son quelle che hanno accompagnato e contraddistinto l’amicizia tra Luca e me alleggerite da frequenti metafore calcistiche.

Logico, naturale, persino giusto questa, compaia anche qui.

Se Luca fosse stato un calciatore, son pronto a scommettere avrebbe avuto i capelli lunghi, i calzettoni abbassati, una sfrenata propensione al dribbling e una fascinosa inclinazione al passaggio d’esterno e giusto per non farsi mancare niente e colorare con un po’ di romanticismo lo spartito monocorde dell’esistenza, uno sguardo languido di quelli che colpiscono subito le ragazzine e attizzano le donne.

Ad una prima occhiata, è questa la nota che caratterizza molte liriche di questo libro cupo, amaro, sotterraneo.

Qualcuno si offenderà se non ho ancora usato la parola “poesia”. Ma l’ho fatto di proposito e ne vado fiero.

Perché?

Perché questo non è un libro di liriche, o almeno non solo. Qui risiede infatti, il tentativo di un dialogo interiore. La pausa di un giovane leone ferito dall’esistenza che tenta di ritrovarsi e come tutti i giovani d’oggi deve cercarsi a lungo sconvolto com’è da tutte le cose cui nonostante tutto non ha saputo rinunciare: l’amore, la musica, l’arte.

Sono palpiti di vita i versi di Luca tanto forti quanto contrastanti come le emozioni che esprimono: quotidiane ma anarchiche allo stesso tempo perché tese alla ricerca d’uno spazio d’autenticità irrintracciabile agli occhi della gente comune eppur presente nei carmi di Luca dove non esiste il verso disteso, l’ accuratezza del verso lungo, la ricercatezza stilistica e la rima. Anzi se quest’ultima c’è, è solo è solo un mero incidente di percorso. Non c’è scialo verbale, qui dentro ma un utilizzo sano e consapevole delle parole sciolte ad un ritmo breve cadenzato e sommesso.

Una brevità che sembra fotografare la voglia da parte dell’Autore di disfarsi di quelle sensazioni di solitudine e afonia interiore che caratterizzano molte delle sue liriche anche a costo di frantumarle anche se i temi a cui esse sono associate sono d’assoluto rilievo: sono piaghe, sfregi, colpi di coda del Destino o colpi di genio dell’Artista, sono dispacci dall’interno. Un interno raccontato con disarmante semplicità.

Sta in questo la poesia del Silenzio assordante di Luca Rota.

Nella nudità vi è l’autenticità.

Un’autenticità espressa in poesie (ora si può dire), ruvide, irregolari e angosciose. Eppur poesie.

Semmai non condivido coloro i quali mortificando la purezza individuale d'ognuno, si sbizzarriscono a trovar modelli o punti di riferimento.

Qui, in questo caso è assurdo affaticarsi nel trovar scie comuni o parentele d’accatto.

L’unico riferimento di Luca è se stesso. Le parole che troverete racchiuse in questo libello sono farina del suo sacco. Stille del suo sangue.

In molti oggi s’attardano sul viale della Poesia scambiandosi vanitose occhiate d’intesa fra di loro esercitandosi a mostrar la loro abilità con truffaldina maestria.

In mezzo a loro il buon Luca, credo costituisca una splendida eccezione perché non lo vedrete mai sbracciarsi e sgomitare alla ricerca di un riflettore. Anzi vi dirò: potreste rimaner sorpresi dal notare come il Luca uomo sia diverso dal Luca poeta.

Quello. (l’uomo), una testa e due mani pronte ad aiutare chi ha più bisogno, questo (il poeta), un innamorato della parola che ha imparato con il tempo ad usarla con cura pur di raccontarsi e farsi del male, illuminarsi e oscurarsi.

Luca da due anni è presidente di un’associazione di volontariato molto radicata nel proprio territorio d’appartenenza.

Da quello che mi racconta, intuisco che è un bravo presidente, pronto al dialogo come allo scontro consapevole che la cosa più bella nella vita, è vivere nel rispetto degli altri, senza rinunciare a se stesso.

Per raccontarvi di sé, a seconda di come gli va, Luca, può prendere una penna, un pennello, o il suo amato basso e farvi compagnia con i suoi dolori e le sue speranze.

Io ve l’ho presentato per come lo conosco: un ragazzo dallo sguardo languido e il cuore sensibile.

Ora tocca a voi conoscerlo. Proprio attraverso queste poesie. Buon viaggio dunque e per favore rispettate il suo sguardo e se potete, prendetevi cura del suo cuore.

domenica 18 marzo 2012

Intervista a un bambino


È poco che il Maestro è tra noi.
Perciò fa la posta da tutti gli angoli.
Si copre il volto e guarda tra le dita.
Ha la faccia rivolta al muro, poi si gira di scatto.

Il Maestro respinge con disgusto l’assurdo pensiero
che un tavolo perso di vista debba restare un tavolo,
che una sedia alle sue spalle stia nei confini d’una sedia,
e nemmeno cerca d’approfittare dell’occasione.

Vero, è difficile sorprenderlo diverso, questo mondo.
Il melo torna sotto la finestra prima d’un batter d’occhio.
I passeri iridati scuriscono sempre in tempo.
Le orecchie del secchio catturano ogni fruscio.
L’armadio notturno finge la passività di quello diurno.
Il cassetto cerca di convincere il Maestro
che lì c’è solo ciò che v’era stato messo prima.
Perfino nel libro di fiabe aperto all’improvviso
la principessa torna sempre per tempo sull’illustrazione.

Sentono in me un forestiero – sospira il Maestro –
non vogliono che un estraneo giochi con loro.

Come è possibile che tutto ciò che esiste
debba esistere in un solo modo,
in una situazione orribile, senza uscita da sé,
senza pausa e mutamento? In un umile da qui – a lì?
Mosca acchiappata in una mosca? Topo
intrappolato in un topo? Un cane mai liberato
da una catena celata? Un fuoco che altro non può fare
se non scottare di nuovo il dito fiducioso del Maestro?
È questo quel mondo vero, definitivo:
ricchezza sparsa che non si può raccogliere,
sfarzo inutile, possibilità vietata?
No – grida il Maestro e batte tutti i piedi
di cui dispone – con una tale disperazione
che non basterebbero le sei zampe d’un coleottero.

(da Ogni caso, 1972)

Wislawa Szymborska

venerdì 16 marzo 2012

Anche le cicogne si sbagliano


Un' altro piccolo angelo se n'è andato via troppo presto strappato alla vita da una mano malvagia e indegna di appartenere ad un uomo.
E' accaduto in Sardegna e prima che il siculo Sottile s'avventi su di lui con i suoi massicci incidenti probatori e approssimative indagini scientifiche, siccome la vita di un essere umano non può essere sezionata come quella di un'anfibio, ne plastificata in metri di poliuterano espanso, in questo tempo malato e artificiale vorrei solo dire che è proprio vero quel vecchio adagio che fa "chi ha il pane non ha i denti chi ha i denti non ha il pane".
Senza lasciarmi andare alla legittimazione del mio desiderio di diventar un giorno padre, e lanciando un forte abbraccio a Riccardo concludo dicendo che anche le cicogne si sbagliano.
Il guaio e che il Destino non ha correttore e alcuni errori non si rimediano.
Purtroppo.
Potrebbero esser prevenuti forse.
Ma marzo non è ottobre e le lacrime, a quanto ne so, non si cariano mai.

mercoledì 14 marzo 2012

Garantisce cacca


Oggi mentre aspettavo la mia solita pizza tonno e cipolla ho visto una ciurma di ragazze fare la fila per andare in bagno.
Fin qui niente di strano ma per una serie d'associazioni libere di cui Freud sarebbe fiero ma voi credo di no e quindi vi risparmio ho pensato che
un giorno non molto lontano, far la cacca o la pipì sarà l'unica cosa che aldilà di qualsiasi titolo accademico acquisito, o velleità artistica millantata, potremo seriamente vantare.
Tutte e due se analizzate bene ci raccontano meglio di quanto farebbe/ farà una laurea.
Tutte e due contengono affanni, sfarzi, sforzi inquietudini ed eccessi.
Tutte e due finiranno in bagno tra un' ingiallita Famiglia Cristiana e una enigmatica settimana enigmistica con tanto di disegno da far invidia al grandissimo Galep.
Certo la cultura è bella. Ma la coltura serve di più.
Garantisce cacca. Stimola pipì.
E' in ogni caso nel nome della moderna flessibilità, diventa concime.

domenica 11 marzo 2012

Oggetti e argomenti per una disperazione



ad Alfredo Giuliani

Che sappiamo noi oggi della morte
nostra, privata, poeta?
……………………………….Poeta è una parola che non uso
di solito, ma occorre questa volta perché
respinti tutti i tipi di preti a consolarci non è ai poeti che tocca dichiararsi
sulla nostra morte, ora, della morte illuminarci?
……………………………………………………………………..Tu
corrispondesti quando dissi con dei versi
che ho sofferto e avuto vertigine orgogliosa, temendo adolescente
di non poter morire. O credendo.

……………………………………………….Faccio una pausa
rileggo questo inizio non è male mi frego le mani
dove c’è un po’ di reumatismo stagionale, sollevo gli occhiali
mi guardo l’occhio allo specchio. Non lo capisco, non so giudicare
ma so che i medici mi spiano gli occhi, io non so se il mio
è torbido o dilatato o sporgente, che cosa può rivelare: so che mi tirano ora
le corde del collo che scrivere questa notte
mi terrà eccitato parecchio che direi ne vale la pena sapessi
che fra tre notti riprendo un ritmo di sonno.
……………………………………………………………….Alfredo e chiedo
in giro agli amici com’è la mia faccia, il colore.
…………………………………………………………………Anche tu
quello stesso pensiero adolescente, anche tu
sbianchi alle volte d’improvviso dopo un pasto.

Immortali per le stradi non ce n’è
ci avevano detto che gli uomini, non un uomo, sopravvivono
che a noi tocca la stessa immortalità come alle belve
nell’amore che genera, e sapessi o no che era
il solo atto consentito oltre il limite di uno
l’ossequio necessario alle consuetudini della specie
anch’io mi sono sentito in gran ritmo naturale
sopra una donna e ci guardava un mare
come avessimo avuto un senso, o guardavamo un mare
come avesse avuto un senso.

Ma ciò che distingue l’uomo è la scommessa
ecco una frase inventata dalle élites, in ogni modo è vero che qualcuno
scommette di non morire.
…………………… ……………….Ci vuole orgoglio: credere
che il proprio lavoro la pena non se stessi ma il proprio modello sia utile
agli altri; fiducia: che la storia
paghi il sabato; eccetera: e il bello è che di questa scommessa
l’unico a non avere le prove se l’opera gli sopravviva
magari di una sola luna
è chi ha scommesso, chi muore.

……………………………………………..Le dissi: lo stesso anno
che conobbi gli stimoli del sesso tradussi un sonetto di Shakespeare
male, “Shall I compare thee to a summer’s day?”
tra il trentanove e il quaranta, col finale
“il mio verso vivrà finché gli uomini
sapranno respirare e tu con quello.”
…………………………………………………..E tu con quello
volto di donna, sei ormai finale?
……………………………………………..E’ ora conchiudendosi
il respiro che la clausola s’adempia
risolutiva?
………………..Ho fumato duecento sigarette
per non amarla, in dodici ore accanto
il volto nel calore
le si apriva in dolcezza lievitata
ma da me è travasata soltanto
la malafede degli intestini
…………………………………….in bile e escremento
e il panico poi, e l’attrazione della clinica.

E il fisico con il cancro nel ginocchio, col ginocchio di vaccina
che urli, picchia lì avrebbe detto al fascista, picchialo nel ginocchio che c’ha il cancro.

Quanti alibi ormai per non amare
………………………………………………..e lei insiste al telefono
se è questo di me che ti interessa, ti aggiungo che è a Bologna
che ormai gli amputeranno la gamba.

………………………………………………………Da tempo io non mi esalto
più delle avventure dello spirito, da tempo ciò che brucia
mi devasta soltanto e non posso continuare
a far versi sulla mia pelle, a sublimare
le mie sconfitte, a presumere significativi
me e lei le penultime esplosioni
……………………………………………..a trarre una morale
di morte universale a consolarci della nostra.

Ma se avessi soltanto bestemmiato
allora Brecht ai vostri figli ha già lasciato detto
perdonateci a noi per il nostro tempo.

Elio Pagliarani

sabato 10 marzo 2012

Forse non solo ogni maledetto otto marzo


Tre giorni fa alla bellissima età di 91 anni è morta a Milano Lucia Mannucci storica e acclamata voce del Quartetto Cetra che tanto ha deliziato i nostri nonni, fatto sorridere le nostre madri e incuriosito noi figli al punto da commuoverci alla ferale notizia.
Tra questi ci sono stato anch'io. Io solo. Già perchè sul libro delle facce nessuno dei miei duecento e passa amici s'è degnato di ricordarla.
A questo punto come direbbe Lubrano la domanda nasce spontanea:

Perchè se a morire è Lucio Dalla tutti piangono e si disperano ma se ad andarsene è Lucia Mannucci del Quartetto Cetra nessuno spende un punto esclamativo???????
Le femministe di cui questo mondo è pieno dovrebbero interrogarsi anche su questo...
Sempre che queste ultime abbiano capito la domanda e chiaro...

Nell'attesa di una plausibile risposta il problema resta. Perchè le donne invocano ossessivamente attenzione, diritti e rispetto e poi si dimenticano di una delle sue rappresentanti più fulgide?

Perchè non era cool mi dice il buon Alberigo dall'alto di un cazzo (questo il nome del suo nuovo blog: visitatelo se volete)...

Già.


  • Non ne aveva abbastanza forse però in compenso la brava Lucia aveva un marito (Virgilio Savona) innamorato e pronto a tutto per lei.
    Molto di più di quanto avranno e potranno sperare in vita loro le femministe di cui sopra mentre sbaveranno come cagne pulciose appresso al solito gelatinato e muscoloso spogliarellista sbaciucchiando tristi e rancorose un gigantesco barattolo di Nutella.
  • Forse non solo ogni maledetto otto marzo.

giovedì 8 marzo 2012

Ballata delle donne


Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.

Quando ci penso, che il tempo è venuto,

la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.

Quando ci penso, che il tempo ritorna,

che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.

Perché la donna non è cielo, è terra

carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.

Femmina penso, se penso l'umano

la mia compagna, ti prendo per mano.

Edoardo Sanguineti

mercoledì 7 marzo 2012

Le illusioni son come i sogni: aiutano a vivere bene e a coricarsi meglio


Oggi, mentre attendevo l'autobus ho visto un manipolo di ragazze grasse e brufolose brutalizzare una pianta di mimose.
Tutto nell'indifferenza generale.
Ho pensato a molte cose mentre assistevo a quella squallida scena.
La realtà che viviamo è solo un'ornamento.
Coloro che la abitano un'ostacolo. Soverchiato da un'abominevole onda di violenza che spazza via qualsiasi anelito paritario.
Se è legittimo invocare la parità tra i sessi, non è giusto violentare un'albero per portarsi a casa un puzzolente e ridondante feticcio che oltre a infestare per giorni le case di tutti, non è altro che la maleodorante conferma della subalternità della donna all'uomo.

D'altra parte, se esistono ragazze capaci di tali scemenze, non mi meraviglio poi ci siano casalinghe disperate e zitelle adirate e in protesta per una farfallina generosamente concessa da una scaltra bellona argentina.

Quest'ultima ha capito uno dei segreti fondamentali dell'esistenza: la bellezza di una donna (come quella di una farfalla), è breve e finchè c'è è cosa buona e giusta viverla e mostrarla. Poco importa se tatuata o disegnata.
Le illusioni son come i sogni: aiutano a vivere bene e a coricarsi meglio.
Le altre, brutte, irose e struccate dovranno accontentarsi di un modesto retino.
Sempre che lo sappiano usare.
In fondo, chi fa scempio dell'esistenza di una pianta non merita una vita.
Nemmeno quella di una farfalla.

domenica 4 marzo 2012

Il PCI ai giovani


Mi dispiace. La polemica contro
il Pci andava fatta nella prima metà
del decennio passato. Siete in ritardo, cari.
Non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati:
peggio per voi.

Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi
quelli delle televisioni)
vi leccano (come ancora si dice nel linguaggio
goliardico) il culo. Io no, cari.

Avete facce di figli di papà.
Vi odio come odio i vostri papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete pavidi, incerti, disperati
(benissimo!) ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati:
prerogative piccolo-borghesi, cari.

Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte
coi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da subtopie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.

La madre incallita come un facchino, o tenera
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli; la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.

E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida, che puzza di rancio
furerie e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
è lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in un tipo d’esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).

Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.
Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo (di eletta tradizione
risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.

A Valle Giulia, ieri, si è così avuto un frammento
di lotta di classe: e voi, cari (benché dalla parte
della ragione) eravate i ricchi,
mentre i poliziotti (che erano dalla parte
del torto) erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, cari. Stampa e Corriere della Sera, News- week e Monde
vi leccano il culo. Siete i loro figli,
la loro speranza, il loro futuro: se vi rimproverano
non si preparano certo a una lotta di classe
contro di voi! Se mai,
si tratta di una lotta intestina.

Per chi, intellettuale o operaio,
è fuori da questa vostra lotta, è molto divertente la idea
che un giovane borghese riempia di botte un vecchio
borghese, e che un vecchio borghese mandi in galera
un giovane borghese. Blandamente
i tempi di Hitler ritornano: la borghesia
ama punirsi con le sue proprie mani.
Chiedo perdono a quei mille o duemila giovani miei fratelli
che operano a Trento o a Torino,
a Pavia o a Pisa, /a Firenze e un po’ anche a Roma,
ma devo dire: il movimento studentesco (?)
non frequenta i vangeli la cui lettura
i suoi adulatori di mezza età gli attribuiscono
per sentirsi giovani e crearsi verginità ricattatrici;
una sola cosa gli studenti realmente conoscono:
il moralismo del padre magistrato o professionista,
il teppismo conformista del fratello maggiore
(naturalmente avviato per la strada del padre),
l’odio per la cultura che ha la loro madre, di origini
contadine anche se già lontane.

Questo, cari figli, sapete.
E lo applicate attraverso due inderogabili sentimenti:
la coscienza dei vostri diritti (si sa, la democrazia
prende in considerazione solo voi) e l’aspirazione
al potere.

Sì, i vostri orribili slogan vertono sempre
sulla presa di potere.
Leggo nelle vostre barbe ambizioni impotenti,
nei vostri pallori snobismi disperati,
nei vostri occhi sfuggenti dissociazioni sessuali,
nella troppa salute prepotenza, nella poca salute disprezzo
(solo per quei pochi di voi che vengono dalla borghesia
infima, o da qualche famiglia operaia
questi difetti hanno qualche nobiltà:
conosci te stesso e la scuola di Barbiana!)
Riformisti!
Reificatori!
Occupate le università
ma dite che la stessa idea venga
a dei giovani operai.


E allora: Corriere della Sera e Stampa, Newsweek e Monde
avranno tanta sollecitudine
nel cercar di comprendere i loro problemi?
La polizia si limiterà a prendere un po’ di botte
dentro una fabbrica occupata?
Ma, soprattutto, come potrebbe concedersi
un giovane operaio di occupare una fabbrica
senza morire di fame dopo tre giorni?
e andate a occupare le università, cari figli,
ma date metà dei vostri emolumenti paterni sia pur scarsi
a dei giovani operai perché possano occupare,
insieme a voi, le loro fabbriche. Mi dispiace.

È un suggerimento banale;
e ricattatorio. Ma soprattutto inutile:
perché voi siete borghesi
e quindi anticomunisti. Gli operai, loro,
sono rimasti al 1950 e più indietro.
Un’idea archeologica come quella della Resistenza
(che andava contestata venti anni fa,
e peggio per voi se non eravate ancora nati)
alligna ancora nei petti popolari, in periferia.
Sarà che gli operai non parlano né il francese né l’inglese,
e solo qualcuno, poveretto, la sera, in cellula,
si è dato da fare per imparare un po’ di russo.
Smettetela di pensare ai vostri diritti,
smettetela di chiedere il potere.

Un borghese redento deve rinunciare a tutti i suoi diritti,
a bandire dalla sua anima, una volta per sempre,
l’idea del potere.
Se il Gran Lama sa di essere il Gran Lama
vuol dire che non è il Gran Lama (Artaud):
quindi, i Maestri
- che sapranno sempre di essere Maestri -
non saranno mai Maestri: né Gui né voi
riuscirete mai a fare dei Maestri.

I Maestri si fanno occupando le Fabbriche
non le università: i vostri adulatori (anche Comunisti)
non vi dicono la banale verità: che siete una nuova
specie idealista di qualunquisti: come i vostri padri,
come i vostri padri, ancora, cari! Ecco,
gli Americani, vostri odorabili coetanei,
coi loro sciocchi fiori, si stanno inventando,
loro, un nuovo linguaggio rivoluzionario!
Se lo inventano giorno per giorno!
Ma voi non potete farlo perché in Europa ce n’è già uno:
potreste ignorarlo?
Sì, voi volete ignorarlo (con grande soddisfazione
del Times e del Tempo).
Lo ignorate andando, con moralismo provinciale,
“più a sinistra”.

Strano,
abbandonando il linguaggio rivoluzionario
del povero, vecchio, togliattiano, ufficiale
Partito Comunista,
ne avete adottato una variante ereticale
ma sulla base del più basso idioma referenziale
dei sociologi senza ideologia.

Così parlando,
chiedete tutto a parole,
mentre, coi fatti, chiedete solo ciò
a cui avete diritto (da bravi figli borghesi):
una serie di improrogabili riforme
l’applicazione di nuovi metodi pedagogici
e il rinnovamento di un organismo statale. I Bravi! Santi sentimenti!
Che la buona stella della borghesia vi assista!
Inebriati dalla vittoria contro i giovanotti
della polizia costretti dalla povertà a essere servi,
e ubriacati dell’interesse dell’opinione pubblica
borghese (con cui voi vi comportate come donne
non innamorate, che ignorano e maltrattano
lo spasimante ricco)
mettete da parte l’unico strumento davvero pericoloso
per combattere contro i vostri padri:
ossia il comunismo.

Spero che l’abbiate capito
che fare del puritanesimo
è un modo per impedirsi
la noia di un’azione rivoluzionaria vera.
Ma andate, piuttosto, pazzi, ad assalire Federazioni!
Andate a invadere Cellule!
andate ad occupare gli usci
del Comitato Centrale: Andate, andate
ad accamparvi in Via delle Botteghe Oscure!
Se volete il potere, impadronitevi, almeno, del potere
di un Partito che è tuttavia all’opposizione
(anche se malconcio, per la presenza di signori
in modesto doppiopetto, bocciofili, amanti della litote,
borghesi coetanei dei vostri schifosi papà)
ed ha come obiettivo teorico la distruzione del Potere.
Che esso si decide a distruggere, intanto,
ciò che un borghese ha in sé,
dubito molto, anche col vostro apporto,
se, come dicevo, buona razza non mente...

Ad ogni modo: il Pci ai giovani, ostia!
Ma, ahi, cosa vi sto suggerendo? Cosa vi sto
consigliando? A cosa vi sto sospingendo?
Mi pento, mi pento!
Ho perso la strada che porta al minor male,
che Dio mi maledica. Non ascoltatemi.
Ahi, ahi, ahi,
ricattato ricattatore,
davo fiato alle trombe del buon senso.
Ma, mi son fermato in tempo,
salvando insieme,
il dualismo fanatico e l’ambiguità...
Ma son giunto sull’orlo della vergogna.

Oh Dio! che debba prendere in considerazione
l’eventualità di fare al vostro fianco la Guerra Civile
accantonando la mia vecchia idea di Rivoluzione?

Pier Paolo Pasolini

Probabilmente ora sto ascoltando...




Dice che era un bell'uomo e veniva,
veniva dal mare
parlava un'altra lingua,
pero' sapeva amare
e quel giorno lui prese a mia madre
sopra un bel prato
l'ora piu' dolce prima di essere ammazzato

Cosi' lei resto' sola nella stanza,
la stanza sul porto
con l'unico vestito ogni giorno piu' corto
e benche' non sapesse il nome
e neppure il paese
mi aspetto' come un dono d'amore fin dal primo mese

Compiva 16 anni quel giorno la mia mamma
le strofe di taverna,
le canto' a ninna nanna
e stringendomi al petto che sapeva,
sapeva di mare
giocava a fare la donna con il bimbo da fasciare.

E forse fu per gioco o forse per amore
che mi volle chiamare come nostro Signore
Della sua breve vita e' il ricordo piu' grosso
e' tutto in questo nome
che io mi porto addosso

E ancora adesso che gioco a carte
e bevo vino
per la gente del porto
mi chiamo Gesu' bambino
e ancora adesso che gioco a carte
e bevo vino
per la gente del porto
mi chiamo Gesu' bambino
e ancora adesso che gioco a carte
e bevo vino
per la gente del porto
mi chiamo Gesu' Bambino


Buon viaggio Lucio!

giovedì 1 marzo 2012

Ciao Lucio...


Chi lo sa.

Magari ora sei nella Luce e i tuoi passi hanno già imparato le melodie gradite al Cielo.

O forse sosti furbetto su una panca in attesa di indicazioni e quella piazza grande tante volte accennata ora si riflette intera in un caffè.

Oppure assimili beato i colori del tuo tempo nuovo respirando l'aria fresca del Paradiso.

Ovunque tu sia, ovunque tu vada portati il nostro affetto.

Ciao Lucio...