ad Alfredo Giuliani
Che sappiamo noi oggi della morte
nostra, privata, poeta?
……………………………….Poeta è una parola che non uso
di solito, ma occorre questa volta perché
respinti tutti i tipi di preti a consolarci non è ai poeti che tocca dichiararsi
sulla nostra morte, ora, della morte illuminarci?
……………………………………………………………………..Tu
corrispondesti quando dissi con dei versi
che ho sofferto e avuto vertigine orgogliosa, temendo adolescente
di non poter morire. O credendo.
……………………………………………….Faccio una pausa
rileggo questo inizio non è male mi frego le mani
dove c’è un po’ di reumatismo stagionale, sollevo gli occhiali
mi guardo l’occhio allo specchio. Non lo capisco, non so giudicare
ma so che i medici mi spiano gli occhi, io non so se il mio
è torbido o dilatato o sporgente, che cosa può rivelare: so che mi tirano ora
le corde del collo che scrivere questa notte
mi terrà eccitato parecchio che direi ne vale la pena sapessi
che fra tre notti riprendo un ritmo di sonno.
……………………………………………………………….Alfredo e chiedo
in giro agli amici com’è la mia faccia, il colore.
…………………………………………………………………Anche tu
quello stesso pensiero adolescente, anche tu
sbianchi alle volte d’improvviso dopo un pasto.
Immortali per le stradi non ce n’è
ci avevano detto che gli uomini, non un uomo, sopravvivono
che a noi tocca la stessa immortalità come alle belve
nell’amore che genera, e sapessi o no che era
il solo atto consentito oltre il limite di uno
l’ossequio necessario alle consuetudini della specie
anch’io mi sono sentito in gran ritmo naturale
sopra una donna e ci guardava un mare
come avessimo avuto un senso, o guardavamo un mare
come avesse avuto un senso.
Ma ciò che distingue l’uomo è la scommessa
ecco una frase inventata dalle élites, in ogni modo è vero che qualcuno
scommette di non morire.
…………………… ……………….Ci vuole orgoglio: credere
che il proprio lavoro la pena non se stessi ma il proprio modello sia utile
agli altri; fiducia: che la storia
paghi il sabato; eccetera: e il bello è che di questa scommessa
l’unico a non avere le prove se l’opera gli sopravviva
magari di una sola luna
è chi ha scommesso, chi muore.
……………………………………………..Le dissi: lo stesso anno
che conobbi gli stimoli del sesso tradussi un sonetto di Shakespeare
male, “Shall I compare thee to a summer’s day?”
tra il trentanove e il quaranta, col finale
“il mio verso vivrà finché gli uomini
sapranno respirare e tu con quello.”
…………………………………………………..E tu con quello
volto di donna, sei ormai finale?
……………………………………………..E’ ora conchiudendosi
il respiro che la clausola s’adempia
risolutiva?
………………..Ho fumato duecento sigarette
per non amarla, in dodici ore accanto
il volto nel calore
le si apriva in dolcezza lievitata
ma da me è travasata soltanto
la malafede degli intestini
…………………………………….in bile e escremento
e il panico poi, e l’attrazione della clinica.
E il fisico con il cancro nel ginocchio, col ginocchio di vaccina
che urli, picchia lì avrebbe detto al fascista, picchialo nel ginocchio che c’ha il cancro.
Quanti alibi ormai per non amare
………………………………………………..e lei insiste al telefono
se è questo di me che ti interessa, ti aggiungo che è a Bologna
che ormai gli amputeranno la gamba.
………………………………………………………Da tempo io non mi esalto
più delle avventure dello spirito, da tempo ciò che brucia
mi devasta soltanto e non posso continuare
a far versi sulla mia pelle, a sublimare
le mie sconfitte, a presumere significativi
me e lei le penultime esplosioni
……………………………………………..a trarre una morale
di morte universale a consolarci della nostra.
Ma se avessi soltanto bestemmiato
allora Brecht ai vostri figli ha già lasciato detto
perdonateci a noi per il nostro tempo.
Elio Pagliarani
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