martedì 31 maggio 2011

La sconfitta di Silvio Berlusconi: la fine di un'epoca


La vittoria di ieri del centrosinistra con Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli, è la sconfitta di Berlusconi e segna la fine di un’epoca.
Un epoca infarcita di ville sfarzose, luci sgargianti, frequentazioni compromettenti, applausi ossequienti, ululati ipocriti.
Tutto questo con la complicità (tranne qualche rara eccezione), di telegiornali pubblici e privati silenti e supini.
Lui vinceva perché assicurava assoluzioni pubbliche e permetteva divagazioni private assolvendo col suo divismo da bulletto di periferia, milioni d’italiani.
Con la sua sconfitta, invece l’italiano medio non avrà più stampelle cui aggrapparsi: dovrà cominciare a rispettare gli altri, le leggi e anche se stesso.
Anche se rinunciare a questo marchio di fabbrica per gli italiani credo, temo, sarà dura.
Diciamolo: quanti vecchietti possono permettersi di esser accompagnati da bellone da urlo? Quanti di loro si son sentiti in questi anni autorizzati ad inseguirle con la scusa del “ tanto lo fa anche lui?”
Misero lui.
Ora dovrà cambiare per forza strategia. Anche il suo specchio favorito (la televisione),d’altronde, infatti, l’ha tradito. Occupare cinque tg in contemporanea non gli è servito.
Ridicolo circondarsi di trasparenti ninfette, rotonde accompagnatrici, striscianti aedi.
Alla gente l’ambiente di corte non basta più: esige uno Stato e un Capo che indichi loro una strada sicura non un vigile che si dimentica delle vecchiette e cala le brache appena vede passare un bel fondoschiena.
L’esistenza, non è una discoteca aperta 24 ore su 24, e il Viagra non basta a supplire evidenti mancanze strutturali.
Gli anni Ottanta son finiti da un pezzo e forse adesso tutti capiranno che oltre le gambe c’è davvero di più e più che a camicette aderenti, spacchi intriganti e seni rifatti baderanno a qualcosa di più autentico e sostanzioso.
Anche se ripeto, la vedo dura.
Berlusconi è la coperta di tutti gli italiani. Il Linus che abita in tutti loro, non se ne separerà facilmente.
Ci aspettano ancora due anni di governo Berlusconi. E anche se da ieri il Governo è in affidamento condiviso il microfono (lo scettro del potere per lui), è ancora dalla sua parte.
C’è da scommettere quindi che anche di fronte a questa sconfitta, continuerà a sciorinare le sue scontate finezze da bar nei confronti di donne imbarazzate e compiacenti.
Sì perché comunque alle donne piace essere adulate e riempite di elogi.
Non si rendono conto però che in questa femminea debolezza sta il segreto della loro subalternità.
Non voglio aprire un fronte Zanardiano da queste parti. Sapete tutti però, che le donne in Italia sono assunte meno, pagate peggio, promosse poco.
Gonfie d’orgoglio, piene di talento, s’immettono felici nel mercato del lavoro convinte di viaggiare in prima classe ma finiscono poi per occupare le carrozze meno dignitose.
Nessuna dentatura perfetta, seno importante, fondoschiena prominente può far scalare questa infamante graduatoria. Semmai contribuisce ad innalzare a dismisura l’orgoglio maschile di quei cercopitechi che non vedono l’ora d’esser accompagnati ed intrattenuti da sorridenti soprammobili.
La vita è un’eterna conquista. L’odore di una donna sulla pelle una tentazione continua. Difficile resistergli.
In Italia le donne sono medaglie al valore e strumenti di promozione sociale. Garantiscono popolarità e importanza.
Quanti di voi non hanno mai sognato di uscire con la bella di turno per guadagnar punti con il resto della comitiva?
E pazienza se a casa c’è una compagna/fidanzata/ moglie che vi aspetta.
Se le relazioni extraconiugali sono medaglie al valore i matrimoni sono croci al merito. Più stagionate rispetto alle prime, sono più facili da poggiare sul comodino.
Del resto la rispettabilità umana svanisce di fronte a certe protuberanze. Ma in tutto questo tempo s’è avuta la sensazione che questa inclinazione fosse normale amministrazione invece che una colpevole anomalia.
Non tutti i padri possono sperare di comprarsi un attico in Via Montenapoleone. Tutte le madri sognano di concedere le loro figlie al primo riccone che vedono gironzolare in soggiorno.
I genitori sanno bene, che un ragazzo ricco, bello, educato e ben vestito garantisce appigli sicuri e contatti soddisfacenti.
Berlusconi ha insegnato tutto questo e diffuso il verbo saltando i preliminari. A lui, infatti, i bei vestiti non servono, bastano i corpi. Possibilmente muscolosi, atletici e vincenti.
Come quelli dei giocatori del “suo” Milan tornato a vincere lo scudetto dopo sette anni. Almeno quello.
Ha perso le elezioni, infatti. Il popolo non gli ha perdonato le frequenti amnesie.
Non gli è bastato dispensar sorrisi e raccontar bugie. Quelle, infatti, hanno le gambe corte.
Servirebbe una Fata Turchina. Non lo sarà il cervantesiano Renzi, non può esserlo il manzoniano Bersani.
Converrà aspettare quindi. Chi però? Non so. Pensiamo positivo comunque.
L’Italia oggi s’è risvegliata . Dopo diciassette anni di letargo .
Per cercare il suo principe azzurro avrà tempo.

lunedì 30 maggio 2011

Una verga di 30 cm

Mi avevano detto che era un tipo strano, diverso dagli altri; doveva consegnarmi delle poesie che aveva scritto per un incontro all’università. Mi siedo al tavolino di un bar e lo aspetto, fa caldo, comincio a sudare come un negro che spacca le pietre nei penitenziari americani. Lo vedo arrivare, è strano davvero il tipo:  basso, capelli ricci e un naso lungo, enorme, pieno di brufoli. Mi avvicino per porgergli la mano ma quello comincia a girarmi intorno come un ossesso, una trottola umana psichedelica.
«Amico vuoi stare tranquillo?» gli dico cercando di prenderlo per il braccio.
«E' tutto inutile, la gente ha paura di me!» mi risponde con una vocina sottile, sembrava gli avessero infilato nel culo un tubo pieno di elio. Continuava a girarmi intorno come un pazzo, lo prendo e lo sbatto sulla sedia.
«Non me lo merito, non me lo merito!» gridava.
«Mi spieghi che cosa ti è successo? Cristo santo!» ero arrabbiato con lui, mi stava facendo solo perdere tempo.
«Non mi capiscono, le persone non mi accettano per come sono e io soffro.»
«Leggimi una tua poesia» gli chiedo, cercando di farlo calmare.
Comincia a rovistare tra le sue scartoffie e alla fine, da un foglio giallognolo e stropicciato prese a leggere con voce grave:
                                               
 O luna!!!!!!!!!!!!!!!!
Illluminami tutto!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ho evitato mille saette per salire su questa montagna superando ogni disperazione e accrescendo la fame di quest'anima che ora aspetta neve...

« Ti è piaciuta?» mi domanda tutto orgoglioso.
«Cazzo, no!»
«Ma lì dentro c’è tutta la mia disperazione»
«E vaffanculo alla disperazione. Leopardi è morto e quelli che imitano Baudelaire sono patetici.»
«Cosa dovrei fare allora? So fare solo questo.»
Cos’altro poteva fare un tipo come lui, brutto e con un naso che bucava lo schermo del PC? Forse tra le gambe si ritrovava una verga di trenta cm che rendeva felici molte donne. Magari aveva un animo sensibile ma questo non lo saprò mai. Era brutto e le persone si fermano all’apparenza, quello del sileno è solo un mito fermo alla carta stampata. Ordinai due succhi di frutta alla pera per farlo riprendere dal dispiacere.
«E comunque stasera penso di uccidermi.» mi dice.
«Dammi prima il tuo indirizzo così ti mando i fiori.»
Non mi rispose e scappò via senza salutarmi perché il suo autobus stava partendo; rimasi ancora un po’ al bar a bere succhi di frutta alla pera. Aveva dimenticato il foglio con la sua poesia, la lessi con più attenzione. Era orrenda.

domenica 29 maggio 2011

Rabbia


Nei gangli delle sinapsi la rabbia furiosa s'intruppa e non vuole abbandonarmi.
C'è l'ho da tutte le parti persino nello sternocleidomastoideo.
Vorrei mandarla via.
Ma la rabbia non se ne vuole andare e forse un giorno mi consumerà per sempre.
Per ora vegeta nel mio cuore travolgendo qualsiasi residuo di purezza ancora presente in me.
O forse quel che ne è rimasto.
Chili di carta in terra.
Pesanti.
Inopportuni.
Un pò come il fato con la mia vita.
Una macchia sbilenca da cancellare al più presto.
Ci sono molti modi per andarsene.
E' uno specchio screziato di miele la mia vita.
Ho provato a specchiarmici dentro.
S'è rotto.

Pensieri wiskiosi


Bisognerebbe cercare sempre d'avere uno scopo nella vita.
Non quelli degli altri però.
Il pensiero non realizzato è un arpione spuntato.
Non guardate troppo ad una donna.
C'è di peggio in fondo.
Potrebbe grandinare ad esempio.
L'inferno è un ottimo posto per me.
Ma bisogna aver vissuto almeno una vita per meritarselo.
Ma quando la Vita mi scoprì flirtare con la luna per punizione mi relegò nel castigo di un'irta salita da cui non sono più rinato.
Me l'aspettavo però.
Sono troppo fallito per centrare con la vita.
Un buon motivo per andarsene senza alcun rimpianto.
Anche per quello ci vuole talento in fondo, e forse sono riuscito a buttare via anche quello.
Se la mia vita doveva essere questo nulla allora non ho dubbi: c'è l'ho fatta!!!

sabato 28 maggio 2011

A Esenin

Voi ve ne siete andato, come suol dirsi, all'altro mondo
Il vuoto.... Volate, fendendo le stelle
Senza un acconto, senza libagioni.
Sobrietà.
No, Esenin, questo non è dileggio,
in gola ho un groppo di pena, non un ghigno.
Vedo che con la mano recisa, esitando,
dondolate il sacco delle vostre ossa.
Smettetela! Cessate! Siete matto?
Lasciarsi imbiancare le guance dal gesso mortale?
Proprio voi che sapevate sbizzarrirvi,
come nessun altro a questo mondo.
Perché? A che scopo? L'incertezza ha provocato scompiglio.
I critici borbottano: “Le cause
sono queste e quelle, e in spece lo scarso affratellamento
per effetto della molta birra e del molto vino”.
Si dice che aveste sostituito la Boheme con la classe,
la classe avrebbe influito su di voi e non vi sareste più accapigliato.
Già, come se la classe spegnesse la sete col “Kvas”.
La classe, anche lei non scherza col bere.
Si dice che a mettervi accanto qualcuno di “na postù”,
sareste diventato più bravo nel contenuto:
voi avreste scritto al giorno centinaia di versi
stucchevoli e lungagginosi come Dorònin.
Ma a parer mio se si fosse avverata una tale incongruenza
vi sareste soppresso come prima.
Meglio infatti morire di vodka che di tedio!
A noi non sveleranno i motivi della perdita
né il cappio né il temperino.
Forse, ci fosse stato inchiostro all'Angleterre.
non avreste avuto ragione di tagliarvi le vene.
Gli epigono si rallegreranno “imitiamolo”!
Poco mancò che un drappello di loro non facesse di sé giustizia.
Perché aumentare il numero dei suicidi?
Meglio accrescere la produzione d'inchiostro!
Ora per sempre la lingua è chiusa fra i denti.
E' inopportuno e penoso coltivare misteri.
Il popolo, creatore del linguaggio,
ha perduto un roboante sbornione apprendista
E c'è già chi porta rottami di versi in suffragio
da precedenti esequie, quasi senza rifarli.
Nel tumulo conficcano pali di ottuse rime -
e così che bisogna onorare un poeta?
Per voi non è stato finora fuso alcun monumento
dov'è il bronzo squillante o il granito a faccette? -
E ai cancelli della memoria poco per volta hanno ammucchiato
le sciarpe delle dediche e delle ridondanze.
Il vostro nome nei fazzolettini è smozzicato,
Sòbinov sbava la vostra parola e canticchia
sotto un betullina stenta:
“O amico mio, né un motto, né un so-o-spir”.
Eh, poter discorrere altrimenti
con codesto Leonìd Lohengrìnic!
Potersi qui lavare, tonante attaccabrighe:
“Non vi permetto di cincischiare i miei versi!”
Poterli assordare con un fischio a tre dita
contro la nonna, e Dio, la madre, l'anima!
Perché si disperda l'inetta marmaglia,
gonfiando come vele un nuvolo di giacche,
perché alla spicciolata Kògan se la batta,
storpiando i passanti con le picche dei baffi.
Finora il canagliume s'è poco diradato
Molto è il lavoro, occorre fare in tempo.
Bisogna dapprima trasformare la vita
e, trasformata, si potrà esaltarla.
Quest'epoca è difficiletta per la penna.
Ma ditemi voi, sciancati e sciancate
dove, quando, quel grande si è scelto
una strada più battuta e più facile?
La parola è un condottiero della forza umana.
March! Che il tempo esploda dietro a noi
come una selva di proiettili.
Ai vecchi giorni il vento riporti
solo un garbuglio di capelli.
Per l'allegria il pianeta nostro è poco attrezzato.
Bisogna strappare la gioia ai giorni futuri.
In questa vita non è difficile morire,
Vivere è di gran lunga più difficile.

( Vladimir Majakovskij )

Uno a zero per me

Sembrava una serata come tante, stravaccati su un divano polveroso a digerire una pizza fatta col  culo: quattro depressi del cazzo che cercavano di dare un senso alla loro vita. Dovevo cacare; non ho bisogno di fermenti lattici e lassativi pediatrici, datemi solo una pizza cotta male e vi intaserò il cesso per una settimana. Lei era seduta accanto a me e mi guardava attonita mentre mi contorcevo come un cobra con gli occhiali. Se aspettavo ancora un po’ sarei esploso come una mongolfiera.
«Hai bisogno di un lavoro gratificante, che ti faccia stare bene.» mi dice tutta stizzita.
«Bambina, al momento ho bisogno solo di un cesso»
«E' lì il bagno» mi risponde Numero Uno, alzando pigramente il braccio.
«Si è lì, è lì, puoi andare, puoi andare! » gli fa eco Numero Due, tutta eccitata.
Mi convinco e vado al cesso ma senza la mia rivista preferita non riesco a cacciare nemmeno uno stronzo lungo un mignolo. Ritorno sul divano e i tre sono ancora lì che discutono.
«Comunque sei un mediocre e mi devi regalare un diamante!» mi fa lei.
« Sono un postino, ci sguazzo nella mediocrità.»
Non mi piace il mio lavoro, non metto le mani nel corpo di una persona, non indosso camici, toghe e non promuovo farmaci. Non gioco in borsa, non vendo azioni o titoli. Non imbroglio la gente con chiacchiere inutili, non conosco il latino, il greco e non sono mai stato in Francia. Non ha mai letto Boccaccio, Dante o Pasolini;non so usare internet e non scrivo e-mail. Sono un mediocre perché nella vita chi non ha mai avuto nulla ogni tanto  deve anche sapersi accontentare e a guardare troppo in alto mi viene il torcicollo.
«Bambina stai tranquilla che un diamante te lo regalo, anche a costo di vendermi un rene.» le rispondo.
Mi stava scappando di nuovo la cacarella. Corro in bagno, c’è un grosso scarafaggio sul pavimento. Lo schiaccio con tutta la forza che ho in corpo e vedo il liquido giallognolo spiaccicarsi sul muro.
Uno a zero per me.

venerdì 27 maggio 2011

Aquiloni per tutti (tranne me)


Dalla contesa della vita, dal lento consumarsi dei verbi, da volti corrucciati e indagatori, sono uscito vivo.
Placando ogni sciocca blandizia, zittisco con garbo il fanciullo che è in me.
Niente aquiloni oggi per lui; altri colorano allegramente il cielo. Non il mio però. Purtroppo. Irrimediabilmente.
Ognuno ha il suo albero mangia aquiloni dentro di sè.
Io, a pensarci, non ne ho bisogno. Mi divoro da me.

Come un relitto su un oceano


Mi è sempre piaciuto sorprendere gli esseri umani.
Devo ammetterlo però:gli esseri umani a volte, sono più bravi di me a farlo.
Il loro cuore è una gabbia d'emozioni perdute nelle malate oscurità di trascorse intese e come apprendisti stregoni si divertono un mondo a trasformare in piombo tutto l'oro dei loro sentimenti.
I ricordi invece, pur se sbiaditi, conservano sempre qualcosa del loro primitivo splendore.
Io, vi navigo come un relitto su un oceano ubriaco di nostalgia.

giovedì 26 maggio 2011

Come foglia appassita


Nell'amaro tramonto primaverile tutto si consuma.
L'addio è una lama che scarnifica fragili promesse e parole ogni giorno più vuote lasciando intuire tristi frammenti di lune misantrope.
Io le guardo nella fresca luce di maggio carezzando l'aria con mano tremante mentre il traffico urbano violenta tiepido l'asfalto e mi chiedo:
"Quando tutto sarà finito cosa ricorderanno di me?".
Boh. Mistero glorioso.
Il mio futuro ondeggia nel vento come foglia appassita.

Un povero malato di mente


Non mi piaceva l’asilo ma ero costretto ugualmente ad andarci, ricordo solo che si mangiava male : frittata e spinaci. Sempre, tutti i giorni. Fu lì che cominciai a balbettare, in maniera inesorabile e continua, come una mitragliatrice, una di quelle mitragliette da guerra a scoppio regolare.
La balbuzie non mi ha più lasciato, mi ha accompagnato come un vestito per tutta la giovinezza, l’adolescenza e gli anni universitari, facendomi diventare quello che sono, un riccio appallottolato  in un mondo tutto mio, isolato  dalle persone  e dagli affetti.
I balbuzienti sono persone strane, osservatene uno attentamente : ha gli occhi che strabuzzano, la bocca che si muove in uno spasmo atroce, le mani che tamburellano e dalla sue corde vocali non sentirete che un suono crudele, come quello di un gesso sfregato sulla lavagna.
“ Poverino” - diranno i benpensanti – “ è un povero malato di mente”; ma chi balbetta non ha bisogno della pietà popolare, per quella ci sono  preti.
Maria mi ha dato una grande lezione di vita che non dimenticherò mai e io ritornerei indietro di un anno solo per (ri)fare la sua conoscenza.

Il mulino del rimpianto


Non riesco a dormire stanotte.
Se la felicità di un uomo passa anche attraverso la contentezza degli altri, oggi posso dire d'essere stato un uomo felice.
Ma se con la scusa dell'aperitivo dei banconisti bifolchi e disonesti vi rifilano cinque solette da scarpe smunte e rattrappite come solo la faccia di certe signore della tv sanno e possono essere , ve l'assicuro cari/e lettori/lettrici: non bastano tutti gli analcolici del mondo a rasserenarvi.
Il mal di testa regna sovrano stanotte e mi fa schizzare dal letto in meno di un secondo. Come i pompieri quando devono spegnere un incendio.
Brucia stanotte la mia testa. Sembra voglia liberarsi di me. Stanotte voglio assecondarla così la lascio andare e mi ritrovo fuori.
Non è la prima volta. Sono almeno quindici anni che mi spezzo in due tentando d'assemblarmi alla meglio. Ma non sono un Transformers sebbene il mio corpo sia un complesso agglomerato di viti e bulloni sparsi un pò dovunque.
Sono un essere umano o almeno ogni tanto ci provo.
Anche se è difficile.
Le notti sono di più dei giorni e le torce a volte non bastano a rischiarare le mie radure di solitudine.
I perchè però restano. Le notti pure.
Tantissime quelle passate a perlustrarle attentamente massacrandole d'interrogativi e trascinando allo sbaraglio l'anatomia del mio destino.
Ora, senza più legami evidenti, braccato dal profumo di pane, prenderò per mano il rimpianto cercando disperato un mulino dove macinarlo insieme ai piedi freddi e alla paura di vivere, chiedendo allo sconforto di un buio infinito uno sconto per resistere.
Com'è rischiosa l'assurdità d'esser padri di se stessi.
Nel mare dell'esistenza, non c'è tempesta peggiore ed io per fortuna o purtroppo, vi son finito dentro.

mercoledì 25 maggio 2011

Un paese pulito

Mia madre mi diceva sempre di non bere, mio padre di non bere, mia nonna di non bere, mia zia di non bere. Io invece ho bevuto fino ai 24 anni, fumato Marlboro e letto i poeti francesi come fossero la parola di Gesù Cristo nostro Signore.
Ora invece che bevo solo acqua e aspiro il fumo degli altri posso dire che la mia famiglia si sbagliava. Di grosso.
Ma fatemi raccontare tutto dall’inizio.
Avevano cominciato a tappezzare il paese di manifesti assurdi e giganti, volevano rievocare e festeggiare  la morte di B…., uno dei tanti coglioni che avevano rovinato l’Italia.
Giravano in gruppo e distribuivano volantini, montavano palchi, urlavano al megafono; ora ne sono certo, la gente ha perso il gusto di parlare sottovoce, di stare in silenzio e riflettere.
Mi avvicino a due di loro, uno alto e con la faccia da primo della classe, l’altro basso e tarchiato. Bevevano birra a più non posso e fumavano dei disgustosi sigari toscani.
«Scusate, volevo sapere qualche informazione sulla vostra manifestazione.» domando sforzandomi di essere il più naturale possibile.
«Amico, è semplice. Noi vogliamo un paese pulito, libero dagli immigrati e dai punkabbestia!» mi dice quello alto. La sua faccia non mi esprimeva nulla, nemmeno le sue parole ma un po’ lo capivo.
Non è facile convivere con un tunisino che ti chiede l’elemosina e può rovinarti la passeggiata serale sul corso; i punkabbestia poi, non sono semplici da gestire, i loro cani potrebbero cacare sul vostro giardino all’inglese.
«Hai capito amico, noi vogliamo un paese PULITO!» mi ripete quello basso e tarchiato.
Sembravano ubriachi, sicuramente lo erano. Le feste politiche sono solo un modo come un altro per ingurgitare panini con salsiccia e litri di birra, con un leader di partito che ripete agli stupidi le stesse cose da anni mentre i poveri rimangono sempre più poveri e i ricchi ingrassano sulle loro spalle.
«Beh, se volete un paese più pulito, aumentate gli spazzini!» dico  loro con un sorriso forzato.
Non avevano capito la mia battuta, mi dispiace un sacco sprecare il mio umorismo con gente così.
Mi allontano in fretta da tutto quel frastuono, un camioncino che vendeva panini con la salsiccia mi attira a sè in maniera compulsiva. Ne mangio subito uno, guardo il cielo, una nuvola mi ricorda il grugno di Miss Piggy.
Per un attimo mi sono sentito felice.

lunedì 23 maggio 2011

Non mi basta


Oggi voglio ricordare.
Non mi bastano le lacrimucce infardate di Rita Dalla Chiesa.
Non mi basta la fredda consolazione di mani sudate e plaudenti.
Non mi basta la commozione artificiale di chi non sa, non ricorda ,di chi manco se ne frega.
Non mi basta la glaciale complicità di una telecamera che squadra corpi ma non cattura il cuore straziato di chi si rammarica che un sacrifico umano sia ridotto ad un monumento - latrina per piccioni cagoni e indifferenti.

Quasi come la gente. Quasi come quelli che ieri lo ostacolavano e oggi lo celebrano.
Consoliamoci però. Ci sono cadaveri che parlano più dei vivi e camminano con noi anche se non lo sappiamo cantando una nenia dolce, tenera ed imponente che ci fa piangere ed inginocchiare di fronte ad un esempio chiaro lucente anche se caduco e impolverato dagli anni e dagli escrementi il suo esempio tornerà sempre e in quel momento vivrà.
Per noi e per tutti quelli che credono nell'onore, nella verità, e nella giustizia.
Giovanni Falcone ci mancherà sempre.
Nei suoi 53 anni di vita ci ha insegnato tanto, la vita, l'amore per essa e la lunga strada che bisogna fare per diventare uomini.
Il suo esempio sarà come il vento: non lo vedremo mai ma lo percepiremo sempre. Dappertutto. Tranne che in televisione.

No comment



Un mafioso democristiano, Totò Cuffaro, aggredisce nella trasmissione di un massone, Maurizio Costanzo, un EROE dello Stato.

domenica 22 maggio 2011

Empanadas de toro


Sfoglio con orrore i verbali dell’intercettazione di don Seppia, il parroco ligure arrestato con l’accusa di pedofilia e droga ; bambini stuprati per anni da una persona che consideravano un loro amico, una  guida spirituale.
Ne parlo con mia madre, a pranzo. Mi  dice che non bisogna fare di tutta l’erba un fascio ma lo fa con cognizione di causa, è iscritta all’Azione Cattolica; fosse per me, invece, don Seppia sarebbe una delle prossime vittime di Saw, l’enigmista: gli taglierei i testicoli e glieli farei mangiare impanati e fritti, come le empanadas de toro spagnole.
Affidate don seppia ad un tribunale umano e che venga processato e condannato per i crimini che ha compiuto.
Andate nei seminari, nelle chiese e negli anfratti del Vaticano: troverete altri mostri come lui che si spacciano per santi e predicatori.
Lasciate perdere la giustizia divina e i castighi celesti, a sentire queste notizie, anche dio ha smesso di esistere.

Come un koala abbarbicato sull'albero


Leggo che il consumo di alcolici tra i giovani è in aumento.
Non sono stupito.
Gli esseri umani sono fatti così.
Si divertono da matti a strapparsi di dosso la memoria delle cose come fossero bende da una ferita.
Sono dei gran furboni gli esseri umani con il bicchiere in mano.
Sbeffeggiando il loro passato lo dimenticano come un ombrello sull'autobus.
E' la loro vita che disprezzano, è il loro presente che odiano, è quello che sono che non sopportano.
Io invece come un koala abbarbicato sull'albero, abito nell'incavo dei ricordi.
Nessuna eutanasia per me.
Sono di quelli che si uccidono da soli.

Ciccio il Bello


Mi stavo grattando da questa mattina, mi era spuntato un enorme brufolo sul culo, un brufolo grosso come un fagiolo. Continuavo a grattarmi e godevo come un matto, perché alla fine mi accontento di poco: un po’ di buona musica, cibo, libri e se capita una donna ma con loro ogni volta è una battaglia persa fin dall’inizio: badano troppo all’apparenza. Il mio brufolo invece no, era lì, affondato tra le chiappe e aspettava solo la mia mano calda.
Squilla il telefono.
«Pronto?» rispondo già sapendo chi avevo dall’altra parte della cornetta.
«Senti, Timioni, avresti per caso un po’ di olio da prestarmi che non ho fatto in tempo a comprarlo.»
Era Ciccio il Bello, il latin lover che imitava in maniera patetica la voce del Commendatore, un calabrese con una leggera r moscia che cercava di far colpo sulle donne snocciolando frasi e luoghi comuni.
«Stammi a sentire Ciccio, se vuoi questo cazzo di olio te lo devi venire a prendere.» gli dico senza troppa gentilezza. 
Non mi stava simpatico come  un sacco di cose a questo mondo: i testimoni di geova, la dieta a zona, le tartarughe, i presidenti e i vicepresidenti, la mitologia, la stitichezza,gli schiavisti, Giuliano Ferrara. Dovevo comunque andare avanti e tirarmi fuori dalla merda in cui ero sommerso.
«Senti, Timioni, fra un quarto d’ora, venti minuti sono a casa tua.» mi rispose.
 Cominciava sempre i discorsi con un “senti”; imitava in ogni cosa il Commendatore e sono sicuro che al momento opportuno gli avrebbe dato il culo, pur di fare carriera.
Posai il telefono e mi sdraiai sul divano, il brufolo mi faceva un male della madonna, l’avevo grattato un po’ troppo; misi su un cd di Mozart, ci sapeva fare il vecchio coglione.
Ciccio era arrivato, sentivo la sua voce nelle scale; non tentai nemmeno di abbottonarmi i jeans quando aprii la porta.
«Sei in ritardo di dieci minuti.» gli dissi
«Senti, timioni, ma come fai a vivere in questo buco?»
«Ho tutto quello che mi serve e anche di più.»
Lo guardai bene, era un bel ragazzo e la bellezza serve a qualcosa, credetemi: direttori di banca, professori universitari, controllori e negozianti saranno più gentili,vi lanceranno degli sguardi languidi. Ai brutti non rimane che chiudersi in casa, rileggere vecchi sms di storie passate e circondarsi di un alone di sensibilità e intelligenza a volte non veritiero.
Gli diedi un po’ del mio olio.
«Senti, che poi la settimana prossima te lo ridò.»
«Fai quello che vuoi, basta che te ne vai.» gli dissi chiudendogli la porta in faccia.
Ero di nuovo solo, mi preparai un tramezzino al tonno e bevvi una coca cola light tutta in un sorso. Il brufolo sul culo non mi faceva più male e ricominciai a grattarlo più forte di prima. 
Avevo trovato un nuovo amico con cui passare la serata.