Spesso la pagina di un libro rivela cio' che la maniglia di una porta vuole occultare scavando distanze che le dimensioni di una camera da letto non riescono a contenere.
Specie quando la Colpa s'insinua dentro di te nelle soffuse blandizie della notte e lo specchio rimanda effigi che non puoi addebitare a nessun'altro che a te stesso che stai li' inebetito, a domandarti il perche' sia potuto accadere proprio a te.
Sta in questo umanissimo interrogativo la grandezza della Metamorfosi di Franz Kafka redatto dall'autore slovacco tra il 18 novembre e il 7 dicembre 1912.
La bravura di un autore sta nel presentarti il conto (e fartelo pagare), ancor prima d'averti fatto gustare per intero il suo piatto.
Kafka ci riesce benissimo attaccando noi lettori al corrimano sudaticcio e sdrucciolevole di un mastodontico "perche?"
Perche' l'onesto commesso viaggiatore Gregor Samsa si trasforma in uno schifoso insetto?
E' d'improvviso si torna bambini attorno al lume della nuovavita di Gregor, analizzata e compresa da Kafka nelle sue fasi di ciclica ordinanza: nascita, vita, morte,
Se non fosse per l'inopinata evenienza di una sgradita ripugnanza, cui nessun sonno potra' porre rimedio, e il tutto si riduca invece, a un lento e inevitabile processo di accettazione della nuova condizione da parte di Gregor Samsa da uomo qual'era a insetto, quale e' e sara'
Questa ineluttabilita' che ci fa pensare alle irrevocabili atmosfere di alcuni Canti leopardiani, prende le mosse dal momento in cui Gregor che pensa da uomo' smarrisce la possibilita' d'appuntarsi linguisticamente all'umanita'.
Significativo la perda proprio all'interno della sua famiglia.
Cos'e' la famiglia di Gregor Samsa? Un posto dove il ronzio degli elettrodomestici si confonde con quello della propria voce e sradicato e stanco per caso si riitrova attorno a un tavolo circolare rotto da invisibili crepe cui non basta a restituir calore, l'amore della madre, la complicita' di una sorella.
Il padre non c'e' perche' nella mente di chi subisce e' solo qualcuno di cui liberarsi.
Qualcuno buono solo a impartir modelli plastificati e inattaccabili dalla fluidita' dell'esistenza.
Regole che Gregor, ancor serrato nel suo involucro, umano tenta supino, di seguire, ma che di fronte alla sua nuova condizione, risultano superflue eppur tentano ancora dal chiuso di una porta ,di suscitar timore, obbligo ,costrizione.
Doveri che l'evidenza della sua orripilante figura ,schianta e annulla in una collettiva ansia, una mostruosa paura, una assurda minaccia.
Qualcosa da cui allontanarsi, prima che sia possibile qualsiasi assimilazione .
L'Altro non e' che un Oltre.
Ma se non si e' in grado di accoglierlo attorno al lume del focolare domestico, tanto vale serrarlo in un angolo buio della coscienza non meno viscoso delle zampette dell'insetto Gregor.
Alla sua famiglia due non bastano.
Per questo devono aiutarsi con la ramazza.
La ramazza e' il manganello con cui la famiglia cerca di ristabilir l'ordine costituito di un nucleo familiare che non sa far quadrato e si chiude a riccio in posizione statica di fronte alla bidimensionalita plastica del figlio.
Una distanza emotiva e relazionale tra figli e famiglia, che Kafka metabolizza in una contrapposizione naturalistica in cui l'incomunicabilita' e' smentita da un ronzio.
In questo sordo e monodico sibilo, non c'e' assenza di linguaggio, ma incapacita' di decodificazione dello stesso.
Privi di questo fondamentale grimaldello linguistico, genitori e figli stanno nei loro rispettivi territori penalizzati da una comune deficenza.
Diventano animali essi stessi quindi.
La metamorfosi evidenzia una penosa inettitudine relazionale cui la trasformazione animalesca restituisce una incontestabile verita' oggettiva' cui concorrono in silenzio, padri e figli.
Vi e' un terzo elemento di distanza fra le parti.
E' la letteratura stessa che con i suoi obblighi meditativi costringe l'uomo (Kafka ma potremmo dire ogni amante della letteratura ), ad astrarsi dal consorzio umano cui l'uomo comune , esacerbato dal rancore, restituisce il pane rancido di uno sdegnoso pietismo.
L'insetto Gregor diventa quindi il paradigma della visione distorta della letteratura che chiama la solitudine e stimola dipendenza filiale impedendo facili realizzazioni familiari.
Carmina non dant panem ma caffe' diceva Severino (grazie Antonella!!!!!!!). un magnifico cantastorie veneto. E pure scodelle suggerisce Kafka visto il gran numero che la sorella Grete, in uno slancio d'immutato d'amore destina allo sventurato fratello, con i moncherini di pane e gli avanzi di tutto
Questo il desco incestuoso dello scrittore che cieco di vita, stravolto di forma, deve accontentarsi dei resti degli altri annullando la sua capacita' di immaginare, costruire, rendersi autonomo nei confronti di chi invece, al cospetto di una diversita' conclamata, riprende improvviso impeto dittatoriale (il padre), e si placa solo al richiamo di un furtivo amplesso sessuale.
Quel trionfo dei sensi molte volte alluso, e sempre negato, durante tutto il romanzo, si muta egli stesso in una sentenza di morte consapevole e necessaria.
A dichiararne l'ineluttabilita' e' proprio il desiderio supremo di Gregor: la sorella Grete che messa di fronte l'impulso copulativo del fratello (lui che si mette al centro della foto della madre in posizione inequivocabile), ne certifica agli occhi della famiglia lo smarrimento di ogni umanita' e l'assoluta castrazione di un assurdo desiderio.
Eliminata l'abiezione, il circuito immobile nella quale si snoda la vita della famiglia di Gregor, puo' riprendere, costringendo noi lettori, a portarci dietro l'ombra di una morte assurda ma necessaria.
Necessaria perche' l'impianto naturalistico su cui si fonda il romanzo potesse riprender con rinnovato vigore e manifestarsi per quel che veramente e' : la natura morta di una societa' borghese che con assoluta freddezza si sdoppia nel ruolo di vittima e carnefice dei suoi stessi figli impossibilitati a "vivere davvero" ed opporsi all'ineluttabilita' del loro triste destino: quello di vermi cornuti e mazziati all'interno della loro stessa originaria placenta.
Eterni bamboccioni appesi al gancio gigantesco di un mastodontico "perche'".
Come sopra, come sempre.
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