Non sembrava possibile ma iersera
è accaduto.
La Rai radiotelevisione italiana ha definitivamente
alzato le mani in alto. Ha dichiarato cioè al suo pubblico, senza vergogna e
mezze misure, che non ce la fa più a rincorrere questi stramaledetti anni
Duemila, tanto complessi e tumultuosi nelle loro evoluzioni, ma preferisce
arenarsi tra parole e sapori di epoche andate.
Questo, in sintesi, è il messaggio trasmesso dalla terza
serata del Festival di Sanremo, molto "Tale e Quale, Show” di quell’integerrimo
capostazione che corrisponde al nome di Carlo Conti (e cinque sei sette, otto),
in grado al tempo stesso di garantire 10.462.000
spettatori di nostalgici con uno
share del 47.88%a Raiuno, e costringere frotte di logori abbonati
alla pratica dell'autoflagellazione, unica risorsa lecita dopo una simile
offerta catodica.
Agghiacciante si permetta a dei mostri di marketing
(Scanu, Bernabei, Dear Jack, Clementino su tutti) e zombie da retrobottega (Ruggeri, Neffa a seguire), di deturpare molli,
miliari determinanti della nostra
cultura musicale . A nulla vale la scusa della sperimentazione. Selvaggia e
inopportuna quando comunque conduce al sopruso di lobi e meningi incoraggiata
dall’approdo sul palco dell’Ariston degli Anticorpi. Peccato il sistema
immunitario non fosse pronto e ha subito silente battute da villaggio turistico. Che poi è il luogo naturale del disimpegno afflitto e del trastullo indotto. Solo una cieca coercizione
poteva portare gli Zero Assoluto a un’anamnesi nulla di “Goldrake” oppure Fragola
a un’immatura “Donna Cannone “.
Il “Cuore” di Arisa, l’”Amore disperato” di Dolcenera,
L’”America” di Annalisa "Il canto libero " e battente di Francesca
Michielin, pettorute e oneste eccezioni che
non mitigano la distanza tra quelli che siamo stati e che ora purtroppo siamo.
Spettri incapaci
di squadernare un acceso futuro.
Brandelli di una bautta lacera (come quella della mirabile Versace versione Virginia Raffaele costretta
suo malgrado a legittimare comunque la
propria crepa c per non finire nelle retrovie dell’esistenza e all'improvviso rendersi conto
di essere soli. Come gli uomini dei Pooh nel 1990. Come l’Italia oggi e la Tv ora.
Un contenitore che mai dovrebbe rassegnarsi a
cancellare il Paese presente, in nome di quella brutta cosa chiamata share (offensivo
e malvagio elisir consistente nella
riesumazione di emozioni e nostalgie tumulate decenni fa), e che invece con la
prepotenza dei forti costringe il pubblico ad invaghirsi di ciò di cui è già
invaghito: i propri ricordi, insomma, e la maionese circostante delle sensazioni
perdute.
Da qui i 10.462.000 spettatori della terza serata del " Festival di Sanremo." Ma anche una
considerazione finale più strettamente connessa alla figura di Carlo Conti, del
quale spesso si è derisa l'abbronzatura a
tempo indeterminato . Che invece, va riconosciuto, ha nel "
Festival di Sanremo " una funzione fatale:
mascherare, in scena, il rossore imposto da questo
genere di prodotti. In perfetta linea, è vero, con la filigrana sgranata del
Paese, ma rea purtroppo di pasticciare il passato e annottare il futuro (Hozier.all’una
meno dieci è criminoso).
Dedicando mezz’ora ai ricongiunti Pooh.
Un’esclamazione sbalordita sniffante resa.
Eravamo e restiamo la nazione della piccola
Katy, che a questo punto lotta con i guai della terza età. Ma è comunque
felice. A distanza di decenni, infatti, le
dedicano ancora prime serate in tv. E noi paghiamo.
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