Il Festival di Sanremo è una confezione
di valeriana formato famiglia. Cosa
buona e giusta è parsa nella seconda serata, addizionarla con più musica e meno
mistica, pur con le inevitabili (ormai),
strusciate talent tensive , solidali e crudeli.
Soprattutto quando ti accorgi che i
giovani hanno più voglia e voce dei cosiddetti big, e il fatto che sia stata
eliminata Cecile (la mia favorita), è proprio difficile da accettare.
Principalmente in un Festival dove la
riflessione profonda è un format e la sofferenza sublimata in arte un grottesco
bastimento di lacrime gonfia – share e sfama coscienza sul sentiero di un
inaccettabile ma segnato destino.
Non quello dell’alato e svettante Ezio
Bosso, di iersera, comunque bravissimo a smarcarsi dalla morsa della
commiserazione e del pietismo, quanto quello dei cantanti in gara (Pravo ed Elio a parte), perennemente in
bilico tra la paura di eclissarsi (Scanu, Zero Assoluto su tutti), e la
necessità di continuare a esserci comunque anche solo per dire d’aver fatto una
foto con una fatata ma in fondo superflua Nicole Kidman com’è accaduto a
Gabriel Garko ormai rassegnato alle sue
inadeguatezze linguistiche da bellimbusto da fiction e nulla più da riderci su riducendosi
saggio, ad altezza bimbo e capire che in fondo, slanci hollywoodiani a parte,
il sogno di tutti gli italiani è radicarsi anche solo un istante nella perizia creativa
di Nino Frassica per tutti il Maresciallo Cecchini fido compagno di Don Matteo,
illusioni renziane a parte, l’autentico legislatore emotivo delle passioni
inerti del suolo italico.
Solo le sue azzurre iridi potrebbero
accogliere benevolmente il rap ruffian- patriottico di Clementino, le speranze
solitarie di Alessio, lo sguardo stordito e selvatico di Dolcenera e Francesca Michielin
e ammetterlo orecchiabile al lobo umano almeno quanto meriterebbe scampo dalla gogna
del depennamento il refrain lucido e malinconico di Neffa
boa generazionale di un mondo prossimo al diluvio.
Dal quale occorre comunque salvare il
sentimento affabile e domestico di Eros Ramazzotti molto più intenso è “dentro” la
sfocata malia di questo Festival rispetto alla ridondante presunzione formato Pausini
regnante molesta la prima sera, l’intelligenza
e la bravura di Virginia Raffaele (da antologia la sua Carla Fracci), e le
forme di Madalina Ghenea che tra una sfilata e l’altra, ieri pensava, prodiga, ai
bambini. Ma anche i grandi la squadrano indulgenti ve l’assicuro.
Perché per evitare il diluvio c’è
bisogno di tutti. Anche del finalmente
partecipe e disinvolto Conti (tre,
quattro, cinque e sei , sette. otto), di iersera
E’ sia chiaro: quello universale di
Annalisa è solo il titolo di una dimenticabilissima canzone.
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