mercoledì 2 novembre 2011

Marmellata alle fragole

Ero fatto così,  a mio modo strano. Perverso per alcuni, normale per altri, noncurante della massa che mi circondava; non mi piaceva prendere il mondo a morsi, preferivo assaggiarne l’essenza e berne il succo a poco a poco, succhiarne il midollo dalle ossa. Mia madre preparava la carbonara facendo cuocere troppo le uova sulla pasta io invece le preferivo un po’ liquide come da tradizione. Mio padre -  da quando aveva divorziato -  coltivava fiori, innaffiava il giardino e dava da mangiare ad un cane con le orecchie lunghe e pelose. La mia vita sembrava condurre alla beatitudine eterna, mangiavo, dormivo e ogni mattina cacavo puntuale alle otto. Era il caffè  a condurmi dritto al cesso, una miscela bollente di acqua scura e poco zuccherata contorceva le mie budella liberandomi dai peccati accumulati durante la notte.
Stavo facendo colazione quella mattina quando il telefono squillò tre volte, era K. Non risposi subito ma ingoiai prima un cucchiaio di marmellata alle fragole. Lo inghiottii senza pensare a nulla, chiusi gli occhi e per un attimo la vita mi parve più dolce. Ero diabetico, la marmellata mi faceva male e io godevo a sfidare il destino. Ogni sera pregavo il Signore di farmi risvegliare sano e salvo solo per mangiare e ascoltare le notizie tragiche dai mercati finanziari. La Borsa europea era crollata, l’euro era fallito e io non avevo un soldo. Avevo solo barattoli di marmellata alle fragole con cui infettarmi il sangue. Ma ne valeva la pena. Un giorno sarei diventato cibo per vermi e la mia carne sarebbe stata più dolce di quella degli altri. Immaginavo il mio funerale: mia madre vestita di nero, mio padre che porta i fiori in chiesa e tutti gli altri seduti nei banchi a confabulare sulla mia morte. Poi diranno “ è morto perché gli piaceva mangiare la marmellata. Leccava il barattolo come si lecca il buco del culo” e  la gente scoppierà a ridere; non c’era pace nemmeno all’altro mondo, tanto valeva continuare a vivere e soffrire. Mangiando marmellata alle fragole.
Il telefono intanto continuava a squillare.
«Che c’è?» risposi con le mani sporche e la bocca piena.
«Ho trovato la risposta ai miei dubbi!» mi disse K. eccitato come una cagna in calore. Sentivo il suo odore fetido anche attraverso la cornetta.
«E sarebbe?» continuavo a parlare mandando giù cucchiaiate di marmellata. Era buona davvero, cazzo.
«Unità, amore e perseveranza!»
«Se ti vuoi candidare a sindaco, io non ti voto. Ho chiuso con la politica.» gli risposi in maniera sincera.
«No,no! Incontriamoci al cimitero che ti spiego meglio.»
«Ma perché al cimitero?» chiesi sbalordito.
K. butto giù la chiamata lasciandomi con in testa mille dubbi e una sola certezza: quel calendario di culi e tettone che gli avevo regalato a Natale gli aveva dato il colpo finale. Intanto avevo finito tutto il vasetto di marmellata e mi ero buttato su un pacco di biscotti alla mela. La fame è una brutta cosa. Mio nonno mi raccontava che durante la guerra mangiava un uovo alla settimana e doveva dividerlo con sua sorella; alla fine decise di buttarsi sul vino. Dai dieci ai settant’anni ha bevuto solo vino tre volte al giorno. Quando è morto il suo fegato era gonfio come un pallone e marcio come una forma di pecorino crotonese. I vecchi rompono sempre le palle con la guerra, tutti quelli che ho conosciuto erano grassi e ubriaconi, arrapati cronici di ragazzine in minigonne e leggins. Una volta un vecchio cazzuto mi chiese dove poteva trovare una puttana dell’est da scopare per 10 euro, gli risposi che per quella cifra al massimo poteva farsi trastullare il pisello sporco di pisciazza che aveva tra le gambe. Avrebbe goduto comunque.
Presi un ultimo biscotto e mi vestii per andare all’incontro con K. al cimitero.
La fila di macchina era più lunga del solito; è strano come ci si ricordi dei morti solo il due novembre. L’odore dei fiori marci mi dava fastidio, guardai un attimo la tomba di mio nonno e feci di nascosto il segno della croce. Mi vergognavo come un ladro, mi mancava la marmellata alle fragole e quel coglione di K. era in ritardo. Feci un giro tra la tombe come un turista al Louvre, osservando le date di nascita e di morte. Non li invidiavo ma un giorno sarei stato loro vicino. Un giorno. Se la fortuna mi assiste e se avrò i soldi per il funerale. Altrimenti bruciatemi su una pira e seppellite le mie ceneri in un campo di pomodori che utilizzerete poi per una buona puttanesca. Così è deciso. Ma vi prego non inondatemi di fiori marci. Vidi K. arrivare da lontano barcollando come un ubriaco. Era felice. Cercò di abbracciarmi ma lo scansai.
«Cosa vuoi?»  gli chiesi subito accendendomi una sigaretta.
«Dobbiamo scalare il mondo e guardare tutti dall’alto. Sono carico come un mandrillo! »mi disse con voce alta. Puzzava di sudore e di sperma stantio. Si era sicuramente masturbato e non aveva cambiato le mutande.
«Non credo proprio »gli risposi smorzandogli l’entusiasmo.
«E perché?»mi chiese scaccolandosi col mignolo.
«Preferirei inculare il mio coniglio piuttosto che lavorare con te.»  ammisi soddisfatto.
«Vuoi dire che mi lasci da solo?» concluse spaventato K. grattandosi con violenza i capelli piena di forfora.
«Si, credo di si.»
Lasciai K. da solo e feci un altro giro tra le tombe. Due becchini stavano seppellendo un vecchio. Mi fermai a guardarli incuriositi. Era una bara semplice, quattro tavole di legno tenute su da pochi colpi di martello, una croce riciclata da un povero cristo e un mazzo di fiori di plastica. Non una lapide, non una dedica, non una foto. Poteva essere benissimo il mio funerale.
«È morto da solo.» mi disse con aria indifferente il primo becchino.
«Beato lui.» rispose il secondo.
«Come è morto?» chiesi loro aiutandoli a sollevare la bara.
«E che senso ha?»replicò il primo. Sembrava Frank Zappa ingrassato di trenta chili.
Avevo trovato due filosofi del cazzo in un piccolo cimitero di paese. La giornata era cominciata davvero bene.

1 commento:

  1. Pesantissimo... dopo la visita di certi amici della parrocchia tre giorni fa era quanto mi serviva per disinfettare il fegato. Grazie Alberigo..)
    Giulia

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