Una squadra di calcio, l’ambita rete la incalza col gioco- conta di afferrarla quasi, di spremerne il senso dal sudore della maglia, agguantandone la sua fine resina.
Molto spesso però, sfugge, si rintana nel suo vago significato, fino a indurre che forse è solo nell’affannosa ricerca di sé che si spoglia e si mostra.
E neppure un frammento se ne gode. Perché il goal vive d’involontarietà compresse tra un traversone liftato e un palo fortuito carambolato di fondoschiena e inerzia su un estremo tapino.
Tutto qui. Tanto basta alla Juventus per uscire dal limbo delle perplessità e cominciare a sintonizzarsi sulle solite frequenze, vetusti obiettivi dove la vittoria è moneta sonante e le chiacchiere spiccioli molesti sparsi sul tavolo di un bar di periferia.
Spazzati da sagome discontinue, comunque vivaci, al netto di una manovra non troppo fluida. Ma ahinoi Pirlo non c’è e il Danubio è altrove.
L’altalena
del tempo è l’alchimista che muta amori in cambiali scadute. E altro s’agita in
campo. Diverso forse, ma non meno vispo e
reattivo dopo un primo scarto difficile e lacunoso.
Questo
è il calcio cari lettori:
Ritrovarsi
e poi perdersi ancora, con quest'onda di marea transalpina chiamata Paul Pogba
che ora monta e ora discende e spesso spaventa quando nella sua volubilità ciondola
al lampo impreciso. Non c'è modo di vincere le creste, di cavalcarle, non c'è
strategia per non farsi sorprendere - si può solo nuotare nel suo mare di
grazia.
Promette un incantesimo di luce e forse il segreto
finora svelato è soltanto il nome che da desiderio, alla speranza estesa a
dismisura da una rinvenuta compattezza di squadra ostile alla futile eleganza occultata
in metodi rudi e circoscritti di nomi nuovi.Son quelli di Cuadrado, Lemina, Mandzukic, lapislazzuli che brillano nella notte del sogno ritrovato e diventano all'istante rubini al collo del crepuscolo.
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