lunedì 24 dicembre 2012

Un clacson strappamore

Il portellone  dell'aereo s'era aperto da poco, e con la promessa di un'avvenire migliore, lasciava intravedere anche le prime ombre della notte di Natale.
Aveva viaggiato a liungo Antonio. Uno di quei viaggi interminabili che si fanno solo nella speranza di diluire meglio la propria malinconia senza dilatarla troppo in modo da renderla quasi sopportabile.
Era appena atterrato che ancora pensava a tutte le meraviglie che aveva ammirato durante il suo lungo viaggio e nonostante tutto non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di tutti quei cani che affollavano le strade i quali  non chiedevano che ospitalità e invece non ricevevano che sdegnosa desolazione.
Non sapeva perchè, ma trovava eroica la loro testarda ricerca di un'affetto che non avrebbero trovato mai. In quella, si sentiva compreso pure lui e in realtà c'erano tutti gli uomini. Forse la vita non era altro che la ricerca di un tramite utile a guardare un'oltre comunque offuscato dall'onnipresenza dell'Io. Un'Io grande quanto Gargamella che insegue i Puffi nel tentativo di spegnere l'ultima goccia esistente d'infantile purezza e gettarci tutti quanti nel calderone dell'indifferenza.
Antonio però non era un'ignavo per cui non poteva sopportare quell'ostentata noncuranza travestita da fretta.
Il tempo scorreva lento e le macchine andavano piano per cui gli fu facile notare un cane sdraiato all'ingresso dell'aeroporto.
Era bianco con chiazze nere e nelle luci della notte pareva avere delle meches azzurre.
Se non fosse stato sobrio avrebbe creduto che fosse un cane astronauta.
Sicuramente aveva tendenze hippy. 
Quel cane infatti aveva presenza scenica e consapevolezza dei propri mezzi. In qualsiasi reality avrebbe sfondato e catturato l'interesse del pubblico.
Lì in quell'antro postatomico d'anime vaganti non se lo filava nessuno invece.
Nessuno tranne Antonio che in quellla melanconica rappresentazione non poteva non intravvedere una tragicomica sintetizzazione della condizione umana.
La vita infatti non era altro che riparo dall'infuriare delle tempeste esterne elemosinando acqua e cibo, insieme a qualche estemporanea carezza. Talmente eccezionale da apparire quasi miracolosa.
Forse da qualche parte le nascondevano pure quei dottoroni in camicia, cravatta e ventiquattr'ore ma sembravano così ben mimetizzate che c'è ne sarebbero volute almeno quarantotto per trovarle.
Decisamente trroppe per quella teppaglia impomatata tutta impegnata a disegnare vorticosi arabeschi densi  di una creatività unta e consumata da una collaudata attitudine alla dimenticanza.
Una recita interpretata alla perfezione nei corridoi di quell'aereoporto stretta tra assonnati arrivi e frenetiche partenze più veloci persino di quell'attimo che sarebbe servito ad accorgersi di quel cane la cui esibizione non riusciva a catturare l' attenzione di nessuno.
 Nessuno tranne Antonio che assicurate alla meglio le valigie, tra un dopobarba qualunque. e un rossetto di chissàcchì, sceso dal tassì ingolfato nel traffico natalizio comprò una bottiglietta d'acqua e una scodella, s'avvicino a quell'anima patita porgendogli da bere quasi quel freddo marciapiede fosse in realtà l'arrroventato bancone di un bar dove due amici che il passato aveva inghiottito il presente aveva fatto miracolosamente ritrovare. Nonostante le cicatrici in loro vi era ancora un futuro. Lo intuiva Antonio nei tentativi di quell'animale di sconfiggere quella timidezza che troppe fregature avevano ben allenato. Lo avvertiva pure lui il quale quasi obbedendo ad un richiamo oscuro e ferino ora s'accucciava piano e dopo averlo guardato a lungo negli occhi gli tese una mano dolcemente tra le orecchie fino a scoprirgli il ventre.
Ma quando tutto sembrava condurre ad una reciproca adozione il suono del clacson interruppe l'incantesimo riportando tutti all'originaria solitudine.
Il traffico s'era sbloccato. La corsa poteva riprendere. E non sarebbe stata condivisa da nessuno dei due . Solo pagata semmai. Come l'esistenza quando s'affida a braccia malsicure presto si raffredda consegnandosi alla tetra solitudine così la sua  appagata mai da nessuno, si sarebbe confusa tra quella di molta  altra gente. Questa consapevolezza lo fece sentir perduto.
La vita è un'affitto a breve scadenza e non accetta assegni a fondo perduto per cui ci si perde in anticipo per evitare di trovarsi con un'eredità in più cui far fronte e rischiare d'amministrare per poi cedere alla prostrazione di non riuscirvi e lui chissà se sarebbe riuscito a far fronte al bisogno d'affetto di quell'anima tradita sul più bello da un clacson strappamore.
Lo sentiva tutto quel sentimento scorrergli addosso, abbandonarlo e fargli male nel momento in cui s'allontanava dal suo cane astronauta e al cospetto di quella creatura, la più umana di tutti gli umani che fino allora aveva conosciuto, pensò di stare sbagliando tutto.
Avrebbe voluto portarlo con sè. Ed invece, oltre la sua misera elemosina, tristemente, gli elargì l'ennesima delusione.
Mentre s'allontanava da quello che sarebbe potuto essere l'incontro più straordinario della sua vita, pensò che l'essenziale era davvero altrove, che godere è un privilegio per uomini coraggiosi, che un sentimento ti può atterrare, corrodere e sbomballare tutto, che le emozioni sono il Viagra del cuore, che comunque sarebbe andata aveva sperimentato cosa voleva dire voler bene,  e che dopotutto, alla fin dei conti non c'era cosa più eccezionale che sacramentare e buttare all'aria la propria vita,
Intanto era scoccata la mezzanotte. Era Natale.  Chissà dov'era il suo cane astronauta. Una frenata brusca glielo rivelò. drammaticamente. La  sua casa era poco lontano ormai. Il cane era finito sotto. Chissà forse lo aveva seguito. Forse quel cane aveva capito. Capito tutto. Le sue meches azzurre facevano orrore a contatto col sangue. Un impressione da fumetto Marvel di seconda mano. Ma nessun supereroe potè riportarlo in vita ormai. Nessuno. Solo una piccola bara e una minuscola medaglietta come lasciapassare per il Paradiso dei cani.
Mentre Antonio metteva le ultime tacche tra lui e il mondo, non poteva non pensare che lui era stata l'ultima compagnia di quel cane bizzarro e bisognoso d'affetto. Proprio come lui.
Non sapeva se quel cane avesse ormai raggiunto il Paradiso dei cani. Pensò comunque che l'Inferno fosse un ottimo posto per uno come lui che aveva avuto il coraggio di vivere e di morire senza alcun ritegno.
Ma un tempo supplementare non gli avrebbe fatto male. In fondo, era Natale.

2 commenti:

  1. Sono sensibilissima ai racconti che parlano dei bimbi e degli animali e questo bellissimo racconto,una volta di più mi ha fatto piangere e capire come gli attimi possono creare il destino di un vita intera.
    Grazie amico mio!

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  2. Mi fai commuovere tu invece Nella con questa tua confessiione... Così mi inciti a continuare...
    Continuerò a raccontare infatti... Aspettatene altri quindi...
    Un forte abbraccio e buon Natale...
    Mi hai regalato tanta forza oggi grazie!!!!!!!!

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