lunedì 17 ottobre 2016

Scatole

 Scatole.  Scatole di cellulosa. Che dire cartone fa barbone . Anche trascurando la deriva comune, squadrante zavorra stipata di fretta, sono davvero curiosi i diversi fati che interessano ogni più piccola parte di esse.
A volte queste nascono come parte di un filo d’erba. E durano  il tempo di una stagione.
Altre volte nascono albero e finiscono per restare imprigionate decenni nello stesso posto. Poi l’albero cade nel bosco e ogni sua particella torna alla terra i suoi elementi. Oppure no, è tagliato dal boscaiolo. Allora l’albero diventa trave di una chiesetta e la scatola scruta millenaria pii seguaci un dio smorfioso.
Oppure diventa cassetta per la frutta. Scossa, celere, pressata, coperta, posta, respinta.
O può diventare fascina da incenerire. Il calore dilata e con letizia la particella è annientata nella vampa seducente di un caminetto.
Altre volte la scatola diventa mucchio di fogli e finisce in imballi di quotidiani, libri o quaderni.
Non so cosa pensino di preciso le singole parti di una scatola di questa piccola  rifrazione scritta. Ma so per certo che alcune di loro possono essere molto fiere del loro ruolo.
Alcune di loro sono diventate carta di block notes, su cui ho scritto una lettera anni fa, dal cuore di una mancanza. A una lei che tornava in autobus, mentre il mio tempo scarpinava vuoto. Una nuova amica che non era una conquista. Era un’amica destinata a restare amica a lungo. E queste precisazioni sono fuori luogo, davvero in fondo. Una armonia fatta di imbecillità e intelligenza, di svago e responsabilità, di serenità e pasticcini.
Non c’era infatuazione, no. E quella non è  e non sarebbe giunta neanche dopo. Ma c’era una lettera che  raccontava di questa disponibilità nuova. E tanto basta a fare tratti e memoria quando è  la barra metallica di una tastiera a orientare una vita. Ora di nuovo zeppa in una  particella di cellulosa.
Quelle particelle di cellulosa hanno resistito agli anni e alla noia, finendo in fondo a una scatola di scarpe pronta al trasloco. E poi, d’improvviso hanno rivisto la luce e hanno riportato a lei i ricordi e il calore di quel giugno.
E ora?
Leggo nelle striature del crepuscolo il futuro, chiedo di lei, e di me e della nostra zuccherosa solidarietà . Lo domando a questa luce che non vuol finire e sembra finalmente voglia dirmi qualche cosa, rivelarmi un segreto.
« Sai quel luogo che sta tra il sonno e la veglia, dove ti ricordi ancora che stavi sognando?" Quello è il luogo dove io ti amerò sempre... Peter Pan! » dice Trilli al giovane innamorato
Ed io resto aruspice del giorno perso a rimirare il cielo verso ovest.


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