Quando la nebbia d’autunno impera,
è facile intrupparsi in sputi e insulti sgorganti da ugole estenuate da
improvvisi saliscendi dimentichi d’idee, aspirazioni clonanti una sana e
robusta memoria del fare persa invece in tormentate pezzuole che gratificano l’ovvietà
del nulla sgrammaticato di un copione istituzionale scritto male e recitato
peggio.
La politica è azione concreta,
attraversamento dei propri limiti in vista d’albe e possibilità migliori. Il piano
istituzionale di Renzi è fatto di misere corrispondenze di un protagonismo
lacerato da abbagli raggianti.
In questo estenuato
soggettivismo impastato di occhiolini languidi e sorrisi complici, Renzi non è
stato quell’uomo di rottura con la mercificazione del tessuto nazionale
protrattasi per minigonne e sottovesti del recente passato anzi. Renzi invece
di ridistribuire con coscienza e dignità il peso di un’identità precaria
favorendo un linguaggio che superasse lo scetticismo dello spirito nazionale e colpisse al
cuore magari provando a sanarle, le ferite italiane, ha continuato a bucare il video con quell’aria da bravo
scolaretto pronto a denunciare l’imperizia furente di molti a favore di un
possibilismo immaginario da realizzarsi potendo dopo una vittoria della
Fiorentina. Viola come i volti dei cattivi dei cartoni animati degli anni Ottanta. Come gli euro che non bastano e non potevano far brillare trasandate lucerne, illividite speranze. Paonazze come le
facce di quelli che qualche giorno fa, si sono scontrati traditi dal peso di una rivolta gravata all’improvviso
solo sulle loro spalle. Il camper ha finito la benzina e il popolo ha deciso di
dire basta alle atrocità delle offese perché è meglio dare tutto se stessi
piuttosto che concedersi solo a metà. Così si rischia di perdere profondità, visione,
fiducia, immanenza, libertà, trascendenza. E’ così si opta per il residuo e anestetico monolocale perché l’attico
risucchia e istiga sfiducia. Come la fascia (la Sinistra?), che Renzi garrulo
occupa ansiosa di inventarsi una modernità truccata e ingentilita piuttosto che
interrogarsi sulla crudele vecchiezza che ancora e da sempre emana.
Chi si è scontrato chi ha
sputato, chi ha colpito, ha percosso l’inautentico, ha valicato il Rubicone di
un’autenticità artificiale ancora saldamente incollata alle poltrone.
Perché chi ha solo una sedia e
il divano se può, lo acquista a rate, ne son certo, farebbe a meno dell’arroganza di grugni
fotoshoppati, farebbe a meno di sfondi verdi e alberati. Perché la politica è l’uomo
con l’urgenza delle proprie ferite al centro dove la sua identità non è una
carta che si passa frettolosamente al totem di quartiere retrocesso a bullo da sala
giochi che spedisce lettere a casa e imbratta angoli di paradiso terrestre
promettendo un celestiale inferno triste traguardo di un cammino interminabile.
Basta. Come il Titiro di virgiliana memoria anche noi sentiamo il bisogno di un
ampio faggio, dove riposare le stanche membra massacrate dal peso di una storia
spossante. E sognare un mondo nuovo. Dove ognuno è protagonista senza bisogno
di far da controfigura di qualcuno o il prestanome di qualcun altro. Perché altro
non c’è, non esiste. Perché azzerare, è l’unica soluzione. Per non sparire,
esaurirsi in un tragitto sfinito. Per poter tornare ad esser viaggiatori
consapevoli verso una terapia sociale
quale unica utopia sostenibile.
Oggi intanto,esercitando un sacrosanto diritto, si è votato. Qualcuno l’ho avrà fatto, qualcun altro no. Ma tutti ricordate che la
politica del voto di scambio, delle
agende in regalo, delle lettere strappalacrime , delle gigantografie con prole stretta al collo e delle scalette televisive, è come la carta ruvida per pulirsi il
sedere: alla lunga irrita e fa male.
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