Usciti dal locale dove si erano pappati
un pentolone di fagioli che neanche Trinità nell’omonimo film, Antonio e
Raffaello passeggiavano abbracciati per la città perforando col braciere del
loro sangue gemello la muraglia della nebbia.
Dopo aver vomitato a ugola spoglia e
occhi lucidi L’Immensità e Poesia del suo adorato Don Backy, senza
bisogno che qualcuno gli infilasse il bigliettone da cinquanta euro nelle
mutande , Antonio col cuore sciolto dalla
luna e lo stomaco indurito dal
carboidrato ingranò la marcia pesante dell’enduro umano e domandò sorridendo al
suo Raffaello: “E tu lo sai, vecchio
mio, perché gli uomini e le donne sono così disperati ?” Intravista nei suoi
occhi, un’ombra di perplessità, Antonio concluse con l’aria imbarazzata di chi
avesse profanato un luogo sacro con una scorreggia Beh, perché con tutta sta nebbia non vedono
una mazza!
Raffaello che di occhi ne aveva quattro
(aveva appena comprato un nuovo paiop d’occhiali), e nell’ombra ci vedeva
benissimo con un tono che pareva cavalcare l’onda dello scherzo e derapare
verso una memorabile sentenza, rispose; “Secondo me gli uomini e le donne son
così disperati, invece, non tanto per questo, quanto perché Madre Natura ha
donato loro, un SOLO motore e DUE cuori “
Antonio, conosceva troppo bene Raffaello per non sapere che
dietro quel primato motrice non vi era nulla da festeggiare.
Fin da piccolo, Raffaello sembrava
portare su di sé il peso del mondo e ogni sua parola era un terremoto interiore
per tutti quelli che lo ascoltavano.
Perciò lungi dall’esultare, istintivamente
Antonio chiuse gli occhi è schiuse l’anima alla folgore notturna che
s’avvinghiò alle sue trombe di Eustachio
dietro un inoppugnabile ragionamento.
“A differenza di noi maschietti che
possediamo solo l’uccello e quindi un solo motore, proseguì Raffaello facendosi
passo dopo passo più serio, “quando le donne si fanno sborrare sulle tette, è
come se in realtà mettessero inconsciamente a nudo il proprio cuore e si squartassero davanti a
noi, e la carne non gli servisse ad altro che da sinuoso casello per farci sconfinare nel
Paese della loro anima…il loro secondo cuore, la loro vera dimora”.
“Forse è solo una mia illusione caro
Antonio, e le donne magari l’anima non
c’è l’hanno, tipo i cani secondo i preti,
hai capito? Questo mondo però per me è solo dura scorza, massiccia
pellaccia, e non posso accettare che le donne con tutte le funzioni cui devono
assolvere abbiano un solo cuore e basta!”
“Accidenti proseguiva Raffaello sempre
più infervorato mentre il freddo uncino della piana gli
tranciava il fiato. Sarebbe meraviglioso ogni volta che eiaculiamo sui seni di una donna, sentire rombare proprio
qui, sulla giugulare, l’onnipotente consapevolezza che l’energia del nostro
seme,possa penetrare la pelle potesse giungere
ad accarezzare entrambi i cuori una sotto una tetta l’altro sotto
l’altra” !
Antonio dal canto suo, tormentato da
inquietanti fragori, non sapeva se il quadro che il suo Raffaello aveva dipinto
fosse più sconvolgente del temporale che di lì a poco si sarebbe scatenato
nelle sue mutande, ma sapeva bene quanto l’uomo fosse troppo legato a se stesso per darsi all’altro
senza un’adeguata contropartita tecnica.
Col cuore ingolfato da questa dura consapevolezza,
i due continuarono a passeggiare intimi nell’acquosità lunare sussurrando versi
sublimi di Dino Campana e all’improvviso quel pazzo dolcissimo di Raffaello si
mise a sussurrargli una sua poesia, così spontanea da far vibrare d’emozione le
ciglia del cuore di Antonio il quale mentre attraversava la notte non riusciva
a smettere di pensare un attimo a quel miracolo dell’istante che Raffaello
aveva scolpito all’incrocio del suo cuore
La
pietà.
Così s’intitolava quella lirica che ora danzava accartocciata nella piega ignorante
del suo debordante cappotto; parlava del lato femminile di un uomo, il quale,
dopo l’orgasmo e la vertigine della passione, fragilmente, non ha alcun pudore
di mostrarsi nudo nell’anima, quasi un neonato in braccio alla madre, agli
occhi della donna appena amata, con le lacrime pronte ad abbracciarsi al seme
abbandonato sul suo petto, giunti entrambi alla calda stazione del reciproco
appagamento dove anziché eccitarsi, gli si rivela di colpo, in tutta la sua
angelica purezza materna.
La
voce tuona
Celebrandoti
il seno
La
luce si strozza
In
cento stille di miele
Cento
stille di sale
lacerano
il miele
L’alba
contempla
Il
prodigio lucido del tuo grembo
Bambina
occhi grandi sugli argini
Della
vita
Il
pescatore ha catturato
La
madonnina di legno.
Così in quell’aureo spasmo di poesia di
strada Raffaello era tornato all’origine.
Nella sua candida memoria allora il passo
greve del tempo ancora non si era insinuato, non aveva frapposto il piede come un
qualunque importuno venditore.Viveva ogni giorno come una promessa, scopriva i suoi segreti e nel recondito sottobosco della sua anima, respirava quell'aria così nuova, riempiendo con infantile saggezza tutti i vuoti.
Fu quando lo incontrò che Antonio ebbe memoria di sé, fu quando lo lasciò guardare il mare delle sue eterne ferite che Antonio fissò un punto d'origine al suo tempo: divampando l'incendio del ricordo.
Raffaello in quel suo lampo d’ingenuità, inconsapevole piromane, gli aveva appiccato nel cuore un desiderio che il tempo aveva accantonato nella rimessa del disusato e ora non aspettava altro che gettarsi ancora una volta nella tromba circolare della vita.
Ora uno dopo l’altro, come risvegliato da un millenario letargo, Antonio rammentava gli istanti in cui, arduo procedimento - soleva definire se l’amore fosse uno scorrere d'onde o il mezzo per vincere l'umana finitudine.
E in due, gli esseri umani, come animali sull'arca, andassero in cerca della sua salvezza, in cammino l'uno con l'altro, l'uno verso l'altro, fidando nel colore del cielo sopra le loro capanne.
Ora quelle capanne erano vuote e ad attenderlo in salotto, c’era solo l’ora nuda della mancanza.
Era a quell'ora che più le mancava, quando le stelle appaiono nel cielo ed Espero brilla più viva riporta ogni cosa a casa, dice Saffo, figli e agnelli.
Quell'ora così dolce e così triste, quando nell'aria si leva il profumo delle magnolie e dei giacinti e il buio lo trovava solo davanti alla porta.
Antonio non dormì bene quella notte. Ustionato da quell’antica ritrovata penuria, faticò a levarsi il nero di seppia dagli occhi.
Ferruginoso il cielo del mattino come acqua di origine vulcanica - quasi sentiva quel gusto nella gola, il canto della terra lungo il tempo.
Un tempo nel quale anche lui come il suo piccolo amico aveva amato.
Un istante in cui il tempo perse la sua continuità, bloccò le molle e gli ingranaggi in quel giorno d'estate, mettendo sotto una campana di vetro il momento, l'odore di salsedine, gli oleandri, il tubare delle tortore.
Persino in quel momento, che era alle porte l'inverno e dietro le finestre, un cielo di perla attanagliava le cose, scatenando la sferza del maestrale, dentro di lui era ancora, è sempre lo splendido meraviglioso giugno dell'amore e le montagne blu nella foschia erano fondali di scena teatrale.
Chiuse ancora una volta gli occhi per non dimenticarlo.
Sul palcoscenico tra tigli e platani anche quel giorno sarebbe andata in scena la vita.
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