domenica 16 novembre 2014

Il giugno dell'amore



Usciti dal locale dove si erano pappati un pentolone di fagioli che neanche Trinità nell’omonimo film, Antonio e Raffaello passeggiavano abbracciati per la città perforando col braciere del loro sangue gemello la muraglia della nebbia.

Dopo aver vomitato a ugola spoglia e occhi lucidi L’Immensità e Poesia del suo adorato Don Backy, senza bisogno che qualcuno gli infilasse il bigliettone da cinquanta euro nelle mutande , Antonio col cuore sciolto dalla  luna  e lo stomaco indurito dal carboidrato ingranò la marcia pesante dell’enduro umano e domandò sorridendo al suo Raffaello: “E  tu lo sai, vecchio mio, perché gli uomini e le donne sono così disperati ?” Intravista nei suoi occhi, un’ombra di perplessità, Antonio concluse con l’aria imbarazzata di chi avesse profanato un luogo sacro con una scorreggia  Beh, perché con tutta sta nebbia non vedono una mazza!

Raffaello che di occhi ne aveva quattro (aveva appena comprato un nuovo paiop d’occhiali), e nell’ombra ci vedeva benissimo con un tono che pareva cavalcare l’onda dello scherzo e derapare verso una memorabile sentenza, rispose; “Secondo me gli uomini e le donne son così disperati, invece, non tanto per questo, quanto perché Madre Natura ha donato loro, un SOLO  motore e DUE cuori “

Antonio, conosceva  troppo bene Raffaello per non sapere che dietro quel primato motrice non vi era nulla  da festeggiare.

Fin da piccolo, Raffaello sembrava portare su di sé il peso del mondo e ogni sua parola era un terremoto interiore per tutti quelli che lo ascoltavano.

Perciò lungi dall’esultare, istintivamente Antonio chiuse gli occhi è schiuse l’anima alla folgore notturna che s’avvinghiò alle sue  trombe di Eustachio dietro un inoppugnabile ragionamento.

“A differenza di noi maschietti che possediamo solo l’uccello e quindi un solo motore, proseguì Raffaello facendosi passo dopo passo più serio, “quando le donne si fanno sborrare sulle tette, è come se in realtà mettessero inconsciamente a nudo  il proprio cuore e si squartassero davanti a noi, e la carne non gli servisse ad altro che da  sinuoso casello per farci sconfinare nel Paese della loro anima…il loro secondo cuore, la loro vera dimora”.

“Forse è solo una mia illusione caro Antonio,  e le donne magari l’anima non c’è l’hanno, tipo i cani secondo i preti,  hai capito?  Questo mondo  però per me è solo dura scorza, massiccia pellaccia, e non posso accettare che le donne con tutte le funzioni cui devono assolvere abbiano un solo cuore e basta!”

“Accidenti proseguiva Raffaello sempre più infervorato mentre il freddo uncino della piana  gli  tranciava il fiato. Sarebbe  meraviglioso  ogni volta che eiaculiamo  sui seni di una donna, sentire rombare proprio qui, sulla giugulare, l’onnipotente consapevolezza che l’energia del nostro seme,possa penetrare la pelle potesse giungere  ad accarezzare entrambi i cuori una sotto una tetta l’altro sotto l’altra” !

Antonio dal canto suo, tormentato da inquietanti fragori, non sapeva se il quadro che il suo Raffaello aveva dipinto fosse più sconvolgente del temporale che di lì a poco si sarebbe scatenato nelle sue mutande, ma sapeva bene quanto l’uomo fosse  troppo legato a se stesso per darsi all’altro senza un’adeguata contropartita tecnica.

Col cuore ingolfato da questa dura consapevolezza, i due continuarono a passeggiare intimi nell’acquosità lunare sussurrando versi sublimi di Dino Campana e all’improvviso quel pazzo dolcissimo di Raffaello si mise a sussurrargli una sua poesia, così spontanea da far vibrare d’emozione le ciglia del cuore di Antonio il quale mentre attraversava la notte non riusciva a smettere di pensare un attimo a quel miracolo dell’istante che Raffaello aveva scolpito all’incrocio del suo cuore

La pietà. Così s’intitolava quella lirica che ora danzava accartocciata nella piega ignorante del suo debordante cappotto; parlava del lato femminile di un uomo, il quale, dopo l’orgasmo e la vertigine della passione, fragilmente, non ha alcun pudore di mostrarsi nudo nell’anima, quasi un neonato in braccio alla madre, agli occhi della donna appena amata, con le lacrime pronte ad abbracciarsi al seme abbandonato sul suo petto, giunti entrambi alla calda stazione del reciproco appagamento dove anziché eccitarsi, gli si rivela di colpo, in tutta la sua angelica purezza materna.





La voce tuona

Celebrandoti il seno

La luce si strozza

In cento stille di miele

Cento stille di sale

lacerano il miele

L’alba contempla

Il prodigio lucido del tuo grembo

Bambina occhi grandi sugli argini

Della vita

Il pescatore ha catturato

La madonnina di legno.



Così in quell’aureo spasmo di poesia di strada Raffaello era tornato all’origine.
Nella sua candida memoria allora il passo greve del tempo ancora non si era insinuato, non aveva frapposto il piede come un qualunque importuno venditore.
Viveva ogni giorno come  una promessa, scopriva i suoi segreti e nel recondito sottobosco della sua anima, respirava quell'aria così nuova, riempiendo con infantile saggezza tutti i vuoti.
Fu quando lo incontrò che Antonio ebbe memoria di sé, fu quando lo lasciò guardare il mare delle sue eterne ferite che Antonio fissò un punto d'origine al suo tempo: divampando l'incendio del ricordo.
Raffaello in quel suo lampo d’ingenuità, inconsapevole piromane, gli aveva appiccato nel cuore un desiderio che il tempo aveva accantonato nella rimessa del disusato e ora non aspettava altro che gettarsi ancora una volta nella tromba circolare della vita.
Ora uno dopo l’altro, come risvegliato da un millenario letargo, Antonio rammentava gli istanti in cui, arduo procedimento - soleva definire se l’amore fosse uno scorrere d'onde o il mezzo per vincere l'umana finitudine.
E in due, gli esseri umani, come animali sull'arca, andassero in cerca della sua salvezza, in cammino l'uno con l'altro, l'uno verso l'altro, fidando nel colore del cielo sopra le loro capanne.
  Ora quelle capanne erano vuote e ad attenderlo in salotto, c’era solo l’ora nuda della mancanza.
Era a quell'ora che più le mancava, quando le stelle appaiono nel cielo ed Espero brilla più viva riporta ogni cosa a casa, dice Saffo, figli e agnelli.
Quell'ora così dolce e così triste, quando nell'aria si leva il profumo delle magnolie e dei giacinti e il buio lo trovava solo davanti alla porta.
Antonio non dormì bene quella notte. Ustionato da quell’antica ritrovata penuria, faticò a levarsi il nero di seppia dagli occhi.
Ferruginoso il cielo del mattino come acqua di origine vulcanica - quasi sentiva quel gusto nella gola, il canto della terra lungo il tempo.
Un tempo nel quale anche lui come il suo piccolo amico aveva amato.
Un istante in cui il tempo perse la sua continuità, bloccò le molle e gli ingranaggi in quel giorno d'estate, mettendo sotto una campana di vetro il momento, l'odore di salsedine, gli oleandri, il tubare delle tortore.
Persino in quel momento, che era alle porte l'inverno e dietro le finestre, un cielo di perla attanagliava le cose, scatenando la sferza del maestrale, dentro di lui era ancora, è sempre lo splendido meraviglioso giugno dell'amore e le montagne blu nella foschia erano fondali di scena teatrale.  
Chiuse ancora una volta gli occhi per non dimenticarlo.
Sul palcoscenico tra tigli e platani anche quel giorno sarebbe andata in scena la vita.







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