sabato 25 luglio 2015

Dieci sogni a sette anni



Sto scendendo dall’ottovolante della giovinezza. Il sole ha le caldane delle vecchie in menopausa negli ultimi giorni, e son contento di essere al verde capelli fluendo. Ai piedi della scaletta c’è un bambino di sette anni magro, sguardo pensoso, che cerca di schioccare le dita.

“ Dì tu. l’hai fatto?” fa il piccolo con fare da bullo scafato.  “ hai realizzato i miei sogni?

E poi niente mi son svegliato. Io a sette anni avevo già capito tutto. Non sarei diventato alto, e uno che non è alto nella vita si deve accontentare di dove arriva. Ma avevo un sacco di parlantina con cui facevo le telecronache dei miei spostamenti e due dita che ti attaccavano al muro.

Come questa cosa dei sogni più o meno. Alcuni realizzati, altri sfiorati, altri ancora scomparsi che se non avessi avuto paura della sigla avrei potuto chiedere aiuto a Chi l’ha Visto? Ma sapete che c’è Donatella Raffai da bambino era un po’ il mio UOMO NERO chè negli anni Ottanta in Rai quando parlavano di scomparse e morti ammazzati non tiravano giù il calendario di   aspiranti conigliette di Playboy come accade oggi  a Mediaset.

Ma comunque. Dicevo a sette anni avevo già capito tutto e mentre tutti giocavano a nascondino io, scoprivo le mie piaghe svolgendo il tema perenne delle mie maledizioni. E dei miei sogni appunto. Ventisei anni dopo, eccone un elenco.



10) avere un K.I. T. T. per amico.  Ché negli anni Ottanta questa cosa degli amiciin carne e ossaera già una cosa superata e s’era innestata  in tutti la convinzione che solo un ammasso di microchip avrebbe potuto spiegarti i cigolii dell’esistenza e i doppiaggi della sorte.

Due decenni dopo, i chip son arrivati ma il cicaleccio delle donne in coda al supermercato è rimasto. Il tanfo e il disagio di chi cerca di superarti ingiustamente pure.



9) Indossare il giubbotto nero di Fonzie o in alternativa quello di Michael Knight. Chè negli anni Ottanta se non avevi un ammasso di chip dietro e un giubbotto nero addosso non eri nessuno. Tranne un tamarro sudato e puzzolente. Ma a sette anni il  mondo si deterge con Neutro Roberts solo nelle pubblicità.



8) Diventare come Piero Badaloni. La cosa può sembrar strana lo ammetto.  Ma a sette anni il buon Badaloni, mi pareva la quintessenza dell’onestà. Di lui mi piaceva la nonchalance con cui gestiva i collegamenti esterni e la maestria con cui teneva in mano pile di fogli.  Mi sembrava un gioco di prestigio. Era solo un modo di tenere a freno anni franosi.   Lo faceva bene e almeno io, gliene ero grato.



7) Scrivere. Dappertutto. Credo d’averlo fatto persino sul retro di una scatola di Zigulì.  Raccontare soprattutto. Qualcosa facendo finta di fare tutt’altro.  Come un miracolo improvviso. Come tutto il resto in fondo.  Anch’io.

6) Bere il Nesquik. Quello vero però. Invece a me è toccato sempre soltanto un certo Orzo Pupo. Il quale grazie a mia madre oggi sarà un uomo con un sacco di grano. E non mi riferisco al cereale.

5) Mangiare le cozze. Che non vuol dire cannibalizzare ragazze brutte. Proprio il mitilo mediterraneo invece. L’ho fatto sempre in viaggio giovane inviato prima di una partita o dopo chissà quale scoperta. A casa mai. Sarà per questo casa mia è uno scrigno inaccessibile. Da tutti. Persino dagli stessi occupanti.

4) Suonare la chitarra solista in una boy band che per noi nati nei mitici anni Ottanta aveva solo un nome e un ciuffo: quello rosso  di Mirko dei Bee Hive che faceva impazzire tutti tranne me che stravedevo invece per Paul che non diceva una parola ma aveva delle camicie e una chitarra color acquamarina griffata Yamaha assolutamente fantastica.

3) Giocare e segnare nella mia ultima partita di calcio. Il fatto che ci pensassi a soli sette anni era motivato dal fatto che sin da settenne ero convinto non sarei durato molti decenni.  Il fatto che dodici anni dopo la cosa si fosse realizzata, fu assolutamente questione fortuita. Così casuale che dopo sette anni di pali e traverse, non ho più toccato un pallone. Era il nove settembre 2001. Due giorni dopo la tragedia delle Torri Gemelle. Che le due cose fossero collegate? Non l’ho mai saputo ma son certo che se queste righe fossero lette da Adam Kadmon c’entrerebbero d’incanto gli Illuminati, Elvis Presley e Michael Jackson. O tutte e tre le cose insieme.



2) Rivedere Blue Jeans. Che, per chi non lo sapesse, nonostante il titolo non era una roba con Nino D'Angelo. Né Genitori in Blue Jeans (Growing Pains). Blue Jeans era il nome italiano di The Wonder Years, questa serie dell'88 - andata avanti fino al '93 e arrivata in Italia a inizio anni 90 alle 18 e 10 su Raiuno - che seguiva le vicende del ragazzino Kevin, raccontate però dal Kevin adulto. Che detta così sembra una minchiata, ok, ma a guardarlo era bellissimo, ed io all’epoca settenne, ero innamorato di Winnie e dei suoi capelli lisci, e questo fatto che tutto era già successo, che il Kevin voce narrante era in realtà ormai un adulto, sposato, con figli, magari pure mezzo calvo, questo ricordare in modo semplice le cose perché una volta sembravano semplici e lo sembravano perché lo erano, era meravigliosamente triste. O tristemente meraviglioso. Una delle due. Blue Jeans era lo Stand By Me - Ricordo di un'Estate fatto telefilm, e senza avventura al centro che non fosse la vita di tutti i giorni. Senza Blue Jeans, forse, non avrei mai scritto i post di questo blog, i racconti di Antonio, sette romanzi sepolti in casa senza passare da Real Time, le poesie che ogni santo giorno riassestano i fondi di questa vita in perdita. Grazie mille, Fred Savage. Sei un amico. E grazie pure a te Mino Caprio che hai dato voce ai grilli parlanti della mia infanzia.

1)Andare a letto e avere dei figli con Kelly le Brock. La conobbi nel 1985 grazie all’insolentissimo film La donna esplosiva in cui dei ragazzini brufolosi mettendo da parte il pongo e l’Altissimo, creano la donna ideale con l'idea di bombarsela. Avevo circa tre anni e trenta dopo ecco che me la ricordo ancora perché serbante a mio avviso le precipue virtù di una buona moglie: amorevole, decisa, bellissima. Me ne innamorai dopo pochi fotogrammi e subito decisi che quando sarei divenuto grande l’avrei sposata. A quanto pare due anni dopo nel 1987 un certo Steven Seagal mi precedette. Un codino non proprio intonato come quello di Fiorello ma un uomo che me le avrebbe suonate comunque. Desistetti quindi come faccio tuttora che ho trentatré anni e ancora sogno qualcuna da amare e con fare da bulla mi chieda: “ Dì tu, lo facciamo?” . “li realizziamo insieme i nostri sogni?




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