Quando il primo raggio di sole
riuscì a sfiorarlo , era già passata un’ora e un quarto . La luce abulica di
gennaio era filtrata dalla persiana del bagno e si era mossa lieve, fino ad arrivare
ai suoi piedi scriteriati di cicatrici. E lui era lì. Seduto per terra, obliquo,
sull’ uscio del bagno. Guardando verso lo stipite di fronte. Ma senza vederlo.
Pensava a Manuela, ai quasi dodici anni vissuti insieme. Pensava all’anno in cui avevano convissuto e a com’erano tornati indietro. Anzi lui era tornato indietro. E gli amici glielo avevano anche lasciato capire, che certi arretramenti sono note fin troppo chiare di dissonanza in un rapporto senza passare a consulto da Paolo Fox la domenica mattina . Ma lui niente.
Non riusciva a muoversi. Guardava fisso davanti a sé. E vedeva un buco nero. Forse era colpa di quell’attrazione straordinaria, se si sentiva così. La forza gravitazionale di quel buco nero gli dava un misto di vuoto e di smarrimento.
Non era sofferenza vera. Più l’ angoscia repentina che si ha al sommo delle montagne russe.
E indugiava così. In fondo era solo martedì. La settimana era lunga. Non aveva bisogno di opporre concetti logici a quello che sentiva. A quell’afflizione silente. Non pensava alla sua aura brillante circonfusa da sempre di solleticanti parole e a tutta la vita davanti. Sentiva solo in quel momento e per la prima volta di non riuscire a mettere abbastanza futuro da colmare quel buco nero. Che da quella soffitta andava giù. Come le parole che scarabocchiava ogni mattina sperando facessero scudo alle fondamenta di quella vita. Al centro di quel pianeta microscopico ma sensibile che era e non riusciva più a scorgere.
Pensava a Manuela, ai quasi dodici anni vissuti insieme. Pensava all’anno in cui avevano convissuto e a com’erano tornati indietro. Anzi lui era tornato indietro. E gli amici glielo avevano anche lasciato capire, che certi arretramenti sono note fin troppo chiare di dissonanza in un rapporto senza passare a consulto da Paolo Fox la domenica mattina . Ma lui niente.
Non riusciva a muoversi. Guardava fisso davanti a sé. E vedeva un buco nero. Forse era colpa di quell’attrazione straordinaria, se si sentiva così. La forza gravitazionale di quel buco nero gli dava un misto di vuoto e di smarrimento.
Non era sofferenza vera. Più l’ angoscia repentina che si ha al sommo delle montagne russe.
E indugiava così. In fondo era solo martedì. La settimana era lunga. Non aveva bisogno di opporre concetti logici a quello che sentiva. A quell’afflizione silente. Non pensava alla sua aura brillante circonfusa da sempre di solleticanti parole e a tutta la vita davanti. Sentiva solo in quel momento e per la prima volta di non riuscire a mettere abbastanza futuro da colmare quel buco nero. Che da quella soffitta andava giù. Come le parole che scarabocchiava ogni mattina sperando facessero scudo alle fondamenta di quella vita. Al centro di quel pianeta microscopico ma sensibile che era e non riusciva più a scorgere.
Ci volle solo la notte precoce
di gennaio a mettere fine a quei pensieri. A lasciare solo il dolore agli occhi. Solo il dolore al collo.
Solo la fitta alle spalle. Solo le mani gonfie.
Quel
vuoto lo affascinava. La paura di provarlo, di esserne ingoiato. Di trovarcisi senza
riuscire ad assodarne le logiche che lo avevano spinto ai margini. Ogni tanto ci pensava, a quel buco nero
Antonio. Che un tempo quel buco nero aveva
sfamato. Un tempo, ora no. Non più.
La
luce abulica di gennaio era già diventato un giorno denso di appuntamenti.
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