lunedì 14 luglio 2014

Il gesto atletico di Mario Götze: l'impresa di un uomo, la fotografia di un Paese



In un M
ondiale dove son mancate le stelle piu’attese, a farsi largo, prendendosi il mondo, è un astro nascente di un motore inesauribile: Mario Gotze e la  sua Germania . Ventidue anni, il centrocampista tedesco, ricuce in un istante irripetibile, con classe e tempismo quello che la storia aveva murato  per decenni, regalando ai suoi compagni un Mondiale tutto intero e ampiamente meritato.

In virtù di una coesione e programmazione straordinaria. Di gran lunga superiore all’individualismo brasiliano e la cabala olandese.

Ci sarebbe in mezzo,  anche l’Argentina di un Messi poco ispirato  e tanto, troppo irriconoscibile e lontano da se e’ dal suo lontanissimo padre calcistico: Diego Armando Maradona .  Il Pibe de Oro puo’restar pingue e gaudente nel suo olimpo di piedi fatati e mani malandrine ancora per quattro anni e chissà quanto tempo. Lionel non puo’ seguirlo e non potra' farlo fin quando resterà prigioniero di un paragone impossibile monco fautore di un verbo solitario non ascoltato nemmeno da chi ieri sembrava fosse in vena di farlo: quel Lavezzi costante spina nel fianco nel tiglioso costato tedesco inspiegabilmente espunto alla fine del primo tempo per un Aguero balbettante e fuori condizione, inserito forse per mantenere intatto l’equilibrio perfetto della partita rotto  soltanto sui titoli di coda dei tempi supplementari magari solo per risparmiarci l’estrema agonia dei calci di rigore.

Sarebbe stato davvero troppo questa severa appendice intorno ad una competizione scivolata via senza passione, empatia, foga.

Troppo bello il gesto atletico di Mario Götze : agile, preciso, determinato. L’impresa di un uomo. La fotografia di un Paese cui la trasferta brasiliana ha regalato nuove consapevolezze impiantate a viva forza nel pantano d’illusioni argentino.

Un'illusione di luna sospesa sul velo delle brume tedesche supportata dal cuore compatto e gambe svelte di un’Argentina che ha provato fino all’ultimo  a navigar forte pur controcorrente. Invano.

Alla fine, piu’ potente della gioia di una squadra, e della soddisfazione di una nazione, resta l’immagine di due percorsi di vita differenti che il pallone (meglio di una Raffaella  Carra’ o  una Maria  De Filippi ) ha fatto incontrare nel pretesto di una partita in cui il reciproco abbraccio non ha sciolto le rispettive tensioni distillandole con cura nei volti dei suoi protagonisti.

Da una parte i tedeschi: un reticolo di viaggi
compiuti stando al centro della stanza, e negli uffici della loro Federazione attenti a tutto pur di centrare l’obiettivo; dall’altra, gli argentini una mappa di sensazioni difficili da snodare nell’arco di centoventi minuti.

E noi italiani, spettatori neutrali e silenti,  fuoriusciamo smarriti, cercando la grazia di un riconoscibile disordine .

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