In
un M
ondiale dove son mancate le stelle piu’attese, a farsi largo, prendendosi il mondo, è un astro nascente di un motore inesauribile: Mario Gotze e la sua Germania . Ventidue anni, il centrocampista tedesco, ricuce in un istante irripetibile, con classe e tempismo quello che la storia aveva murato per decenni, regalando ai suoi compagni un Mondiale tutto intero e ampiamente meritato.
ondiale dove son mancate le stelle piu’attese, a farsi largo, prendendosi il mondo, è un astro nascente di un motore inesauribile: Mario Gotze e la sua Germania . Ventidue anni, il centrocampista tedesco, ricuce in un istante irripetibile, con classe e tempismo quello che la storia aveva murato per decenni, regalando ai suoi compagni un Mondiale tutto intero e ampiamente meritato.
In
virtù di una coesione e programmazione straordinaria. Di gran lunga superiore all’individualismo
brasiliano e la cabala olandese.
Ci
sarebbe in mezzo, anche l’Argentina di
un Messi poco ispirato e tanto, troppo
irriconoscibile e lontano da se e’ dal suo lontanissimo padre calcistico: Diego
Armando Maradona . Il Pibe de Oro puo’restar pingue e gaudente
nel suo olimpo di piedi fatati e mani malandrine ancora per quattro anni e chissà
quanto tempo. Lionel non puo’ seguirlo e non potra' farlo fin quando resterà prigioniero
di un paragone impossibile monco fautore di un verbo solitario non ascoltato
nemmeno da chi ieri sembrava fosse in vena di farlo: quel Lavezzi costante
spina nel fianco nel tiglioso costato tedesco inspiegabilmente espunto alla
fine del primo tempo per un Aguero balbettante e fuori condizione, inserito
forse per mantenere intatto l’equilibrio perfetto della partita rotto soltanto sui titoli di coda dei tempi
supplementari magari solo per risparmiarci l’estrema agonia dei calci di rigore.
Sarebbe
stato davvero troppo questa severa appendice intorno ad una competizione
scivolata via senza passione, empatia, foga.
Troppo
bello il gesto atletico di Mario Götze
: agile, preciso, determinato. L’impresa di un uomo. La fotografia di un Paese
cui la trasferta brasiliana ha regalato nuove consapevolezze impiantate a viva
forza nel pantano d’illusioni argentino.
Un'illusione
di luna sospesa sul velo delle brume tedesche supportata dal cuore compatto e
gambe svelte di un’Argentina che ha provato fino all’ultimo a navigar forte pur controcorrente. Invano.
Alla
fine, piu’ potente della gioia di una squadra, e della soddisfazione di una
nazione, resta l’immagine di due percorsi di vita differenti che il pallone
(meglio di una Raffaella Carra’ o una Maria De Filippi ) ha
fatto incontrare nel pretesto di una partita in cui il reciproco abbraccio non ha sciolto
le rispettive tensioni distillandole con cura nei volti dei suoi protagonisti.
Da
una parte i tedeschi: un reticolo di viaggi
compiuti stando al centro della stanza, e negli uffici della loro Federazione attenti a tutto pur di centrare l’obiettivo; dall’altra, gli argentini una mappa di sensazioni difficili da snodare nell’arco di centoventi minuti.
compiuti stando al centro della stanza, e negli uffici della loro Federazione attenti a tutto pur di centrare l’obiettivo; dall’altra, gli argentini una mappa di sensazioni difficili da snodare nell’arco di centoventi minuti.
E noi italiani,
spettatori neutrali e silenti, fuoriusciamo smarriti, cercando la grazia di
un riconoscibile disordine .
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