Non
sapeva ancora che si chiamava Giovanni quando Antonio lo vide per la prima
volta. Se ne stava seduto per terra, sul marciapiede voraginoso, dove passeggiava
la gente. Una gamba la teneva distesa e l’altra col ginocchio in alto. In un fagotto nascondeva un mandolino o qualcosa di simile.
Antonio senza badare troppo agli altri estrasse il taccuino cercando un foglio pulito. Frugò in fondo alla cartella per estrarre una penna arraffata in un’edicola. Prese appunti poiché il luogo e la sua solitudine gli avevano dato quello che sembrava un ottimo spunto per un racconto.
Non seppe come se ne fosse accorto, Giovanni, che quella non era una schedina dell’Enalotto. Forse Antonio in quel momento aveva più lo sguardo di chi mette a fuoco i personaggi e li anima. Che non è lo stesso di chi azzecca la combinazione vincente.
Giovanni distendendo la gamba destra gli disse : “Sai: anch’io una volta facevo un poco d’arte…”.
“Cioè? Perdoni signore, temo di non capire…” fece Antonio infastidito da quell’intrusione.
“Ho visto che scrivi: stai mettendo su quel foglio degli spunti per qualcosa da scrivere, vero? Si vede, sai!”
Un po’ lo disturbava quell’’invasione. Chi era quello. Un accattone, uno strozzino, un banale rompiscatole?
Dall’aspetto non riusciva a ricondurlo a nessuna di siffatte categorie e questo lo infastidiva ancora di più.
“Io ho scritto fino a quando non ho incontrato lei.”
“Lei chi?”
“No. Non lei chi? Lei cosa! La storia che non vuole scriversi”.
Ormai la lunare malinconia di quell’uomo lo aveva catturato. Non se ne accorse ma il suo sguardo si fece all'improvviso meno contratto e, con qualche dubbio, cercò di farsi descrivere meglio le fattezze di quell’impedimento.
“Avevo trovato la solitudine giusta ” – iniziò Giovanni senza quasi ricordarsi di guardarlo negli occhi – “avevo trovato l’ispirazione perfetta. Sentivo che era valida. Che poteva catturare, interessare, colpire. E (cosa più incredibile di tutte) non era tutta fantasia. Aveva i piedi solidamente piantati nella realtà. Parlava di uno scrittore che incontra una storia così forte che lo sovrasta. E lei, la storia, decide di non volersi lasciare scrivere”.
Antonio lo guardava incantato ma non riusciva a fargli domande. Gli interessava davvero quello che diceva. In quella partitura scritta nell’aria, c’era una sinfonia che conosceva.
“E anche io ho fatto la fine del mio protagonista. Ero così convinto della validità di questo spunto che non ho accettato compromessi. Alla fine questa storia non si è mai lasciata scrivere e adesso io sono qui. Come mi vedi”.
Centro! Incredibile! Quell’uomo aveva capito tutto. Tutto quello che Antonio celava in capoversi stretti e infidi, stava lì spiegato e brutalmente vero. Voleva correre a casa, anzi, lasciar stare quella faccenda di scrivere una cosa al giorno e limitarsi a rosolare in superficie come tutti. Pur pensandolo, sapeva bene di non poterci riuscire. Il foglio cominciava a pulsare come carne viva. Il foglio non voleva approssimazione, lui esigeva verità. Solo la verità poteva dargli un futuro.
Antonio senza badare troppo agli altri estrasse il taccuino cercando un foglio pulito. Frugò in fondo alla cartella per estrarre una penna arraffata in un’edicola. Prese appunti poiché il luogo e la sua solitudine gli avevano dato quello che sembrava un ottimo spunto per un racconto.
Non seppe come se ne fosse accorto, Giovanni, che quella non era una schedina dell’Enalotto. Forse Antonio in quel momento aveva più lo sguardo di chi mette a fuoco i personaggi e li anima. Che non è lo stesso di chi azzecca la combinazione vincente.
Giovanni distendendo la gamba destra gli disse : “Sai: anch’io una volta facevo un poco d’arte…”.
“Cioè? Perdoni signore, temo di non capire…” fece Antonio infastidito da quell’intrusione.
“Ho visto che scrivi: stai mettendo su quel foglio degli spunti per qualcosa da scrivere, vero? Si vede, sai!”
Un po’ lo disturbava quell’’invasione. Chi era quello. Un accattone, uno strozzino, un banale rompiscatole?
Dall’aspetto non riusciva a ricondurlo a nessuna di siffatte categorie e questo lo infastidiva ancora di più.
“Io ho scritto fino a quando non ho incontrato lei.”
“Lei chi?”
“No. Non lei chi? Lei cosa! La storia che non vuole scriversi”.
Ormai la lunare malinconia di quell’uomo lo aveva catturato. Non se ne accorse ma il suo sguardo si fece all'improvviso meno contratto e, con qualche dubbio, cercò di farsi descrivere meglio le fattezze di quell’impedimento.
“Avevo trovato la solitudine giusta ” – iniziò Giovanni senza quasi ricordarsi di guardarlo negli occhi – “avevo trovato l’ispirazione perfetta. Sentivo che era valida. Che poteva catturare, interessare, colpire. E (cosa più incredibile di tutte) non era tutta fantasia. Aveva i piedi solidamente piantati nella realtà. Parlava di uno scrittore che incontra una storia così forte che lo sovrasta. E lei, la storia, decide di non volersi lasciare scrivere”.
Antonio lo guardava incantato ma non riusciva a fargli domande. Gli interessava davvero quello che diceva. In quella partitura scritta nell’aria, c’era una sinfonia che conosceva.
“E anche io ho fatto la fine del mio protagonista. Ero così convinto della validità di questo spunto che non ho accettato compromessi. Alla fine questa storia non si è mai lasciata scrivere e adesso io sono qui. Come mi vedi”.
Centro! Incredibile! Quell’uomo aveva capito tutto. Tutto quello che Antonio celava in capoversi stretti e infidi, stava lì spiegato e brutalmente vero. Voleva correre a casa, anzi, lasciar stare quella faccenda di scrivere una cosa al giorno e limitarsi a rosolare in superficie come tutti. Pur pensandolo, sapeva bene di non poterci riuscire. Il foglio cominciava a pulsare come carne viva. Il foglio non voleva approssimazione, lui esigeva verità. Solo la verità poteva dargli un futuro.
Ma spesso accade che
per vedere la bellezza del futuro bisogna reinventare il passato. Quello, col suo pastrano
incrostato di nebbia, non voleva saperne d’andar via come tutti gli altri che
avevano condiviso un vano della sua vita.
Come …
Dannazione.
Soltanto in quel momento se ne rese conto . Non riusciva a pronunciarne nemmeno
il nome. Eppure era passata una vita dal loro ultimo incontro.
Di lei non
gli era rimasto nulla se non l’eco dei suoi passi forgiati nel ricordo, sulle
assi dei gangli neuronali impressi a vivo...
E quel calore dolce sulla guancia dove marchiò l’addio, l’ultimo bacio con cui lo fece per sempre suo vassallo...
E quel nastro per legare i capelli e le conchiglie che raccoglieva all’alba, la matita verde con la gomma che usava per riempire i cruciverba.
E quel calore dolce sulla guancia dove marchiò l’addio, l’ultimo bacio con cui lo fece per sempre suo vassallo...
E quel nastro per legare i capelli e le conchiglie che raccoglieva all’alba, la matita verde con la gomma che usava per riempire i cruciverba.
Così nel
cuore la conservava ancora: come le dame ottocentesche avevano la ciocca
dell’amato sopra il seno tra due vetri in una cornice d’oro, Antonio custodiva nella
giacca una sua lettera che il tempo aveva gualcito rendendola provvista di un ricordo.
Finchè un’altra
donna non lo avesse destato dal letargo amoroso rivestendo panni di una nuova
primavera non ancora accaduta.
Ancora un pò sarebbe giunta l'estate. Antonio la odiava l'estate. Cercava di ignorarla come poteva ma certi giorni era impossibile sottrarsi alla lenta metastasi degli anziani vicino la fontana seccanti d'arsura. Per non parlare dell'ormonale inclinazione a spogliarsi di tutti gli altri che rendeva visibile le ernie dell'esistere.
In quei momenti d'agonia solo il cielo pareva restituirgli vigore.
Il giorno travestiva da notte l’apocalisse del suo amore, segnando inflessibile precettore, il punto in cui tutto era crollato come castello di sabbia preso dall’onda.
Quel temporale per sempre macigno - ancora addolorava come un occhio nero.
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