mercoledì 31 dicembre 2014

Mutande rosse



Nina quella mattina di fine anno era uscita presto per comprare delle mutande rosse per lei e il suo Antonio. Ultimo dell’anno ma solito viscido serpentone di liti condominiali, familiari, spari, botti, petardi, che il suo cuore figlia d’Eva di ultima generazione, avrebbe voluto schiacciare volentieri.  Troppe voci le rintronavano la mente da quando la madre, aveva cominciato a frequentare un amico d’infanzia rincontrato per caso su Facebook.

Antonio, dalla verginità della sua inabilità informatica, cercava di rassicurarla dicendole che la vita è tecnica di chiaroscuri: ti chiede di illuminare le ombre,
t’impone di dominare le luci.
La perizia è trovare giuste forme, seguire il canone che in diagonale sottrae alla follia del dolore.
Adesso pioveva vento sulle scale del suo cuore ma Antonio faceva il possibile perche Nina, l’amore della sua vita, non s’affidasse alla malinconia, non lasciasse che il grigio le facesse male:dando il benservito a quella nostalgia che da ragazzo amava come il sogno che un giorno forse lo avrebbe portato lontano. E’ invece era rimasto lì. Per lei. Nina.
Per allearsi con la vita c'è bisogno di compromessi: quando scendi a patti credi di avere perso, senti il fondo duro sotto i piedi - sono baratti difficili per chi sognava cieli.
Ma è in questo modo che delinea i tratti il disegnatore: i bianchi ed i neri si mescolano indissolubilmente.
Così quei due giovani cuori si bilanciavano tra il passato e il futuro, e tra la gente andavano sicuri  nel presente e se rimpiangevano qualcosa, era solo debolezza di un momento.

Ma ormai era un anno e mezzo che quella tiritera fischiava furiosa  nelle orecchie di Nina.
Di recente gli  era morto anche Tino il pesce rosso che si era aggiudicata a una pesca di beneficenza. Ma lei, in segno di devozione per il suo acquatico amico, non aveva nemmeno gettato la boccia vuota. La considerava la perfetta mimesi della sua vita. Quella vita che seguitava in quei riflessi d’iride nell’acqua piovana raccoltasi nella sfera. Trascorreva ore a contemplarla e una larvale consapevolezza le illuminava il viso: quando anche l'ultimo uomo saccente avrebbe lasciato quella terra verde, sulle macerie dell'ultima guerra, si sarebbe alzata in un filo d'erba la vita.
Quella vita che lei come in un sogno eterno condivideva con Antonio e la poesia. La poesia era il suo urlo contro il mondo dei vecchi che non aveva saputo risparmiarle tristezze a dispetto del suo corpo piccolo, armonioso e dolce. E i suoi lunghissimi capelli neri. Solo quando la sua mente si apriva, il suo mondo diventava il paradiso terrestre. Per il resto i suoi occhi erano costretti a vegliare i turbamenti ventricolari di una madre cinquantenne infantile e depressa e i silenzi tormentosi di un padre abbruttito dalla fatica quotidiana troppo stanco per pensare ad una pur minima reazione di fronte a quello smaliziato affronto.
Il condominio fischiava e Nina ingoiava in quel catamarano di case abusive, biancheria stesa, capitoni decapitati, cotechini scotennati, bulletti lentigginosi con una trans in macchina  e un trono nel cuore perché l’esistenza non regala scettri  nel sacchetto delle patatine e il telecomando è l’unico dominio possibile per chi fa fatica  a far quadrare le spese alla fine del mese. Non sapevano quei tristi emuli di allampanati spauracchi, che quell’immaginario potere li avrebbe confinati a un servaggio brado, bulimico e cieco che li avrebbe annullati completamente.
Qualche piano e molto giudizio in più sopra, Antonio teneva curioso le sue mutande rosse in mano come una inattesa reliquia. Nina lo guardava e gli sorrideva languida. Amava quella testolina rasata che con parole profonde e lungimiranti tentava, di rassicurarla. Ma lei le feste di Natale proprio non le sopportava. Ipocrisia, catene, circostanza, auguri.  Lei che avrebbe solo desiderato di svanire da quel perenne simposio d’ormoni in vetrina che si vantavano di saper cavalcare, domare, valchirie in calore e invece erano loro che avevano bisogno di qualche severa ripetizione di bon ton.
Quello di cui Antonio era dotato in proporzioni e dimensioni smisurate.  Se non impazziva, Nina lo sapeva bene, era merito suo.  Di Antonio. Era sempre  a disagio, ma bastava che guardasse Antonio martellare la sua benigna tastiera e ascoltasse la sua oceanica risata per capire che non doveva arrendersi ma lei non sapeva parlare, condensare in orizzontali maree le conchiglie che quel ragazzo impetuoso ogni giorno le regalava senza chiedere nulla in cambio. Scriveva come Antonio le aveva consigliato un confuso giorno d’autunno. Scriveva sulle liti, sulle urla che saettavano tra lavatrici accese, televisori ultrapiatti, frigoriferi debordanti di cose e desertificati d’amore, chi la sentiva diceva:“ Ma è scema?A casa sua s’ammazzano e lei scrive il testamento?”.
Le mani smaltate, il marchio della sofferenza ficcato nelle carni, il cellulare per mandare qualche messaggio a qualche sua amica che sentiva intima, ma soprattutto per ricevere le poesie che Antonio le inviava ogni giorno agli orari più impensati per distoglierla dal suo maglio di pensieri fissi, da quel desiderio d’amore che avrebbe voluto abitasse anche a casa sua,  specie in quei  giorni dove tutti si dicono più buoni e poi ti liquidano frettolosi per il resto dell’anno oppure la canzonavano maligni “A quando il Premio Nobel?”
Lei sapeva che il Nobel era lontano, anche se con la sua poesia avrebbe potuto stendere il mondo intero e sorprendere d’amore tutti quelli che si sarebbero messi ad ascoltarla.

S’infilarono le mutande rosse lei e Antonio e quell’ultimo dell’anno lo passarono a darsi un triliardo di baci , ad accarezzarsi, a far l’amore come nessun altro avrebbe potuto nemmeno immaginare di fare. Lei godeva e Antonio dentro  di lei sussurrava: “Ovunque tu sia, ovunque
 tu vada, - forse neanche lo sai - indossi i miei occhi, porti il mio amore”.
Un nuovo anno era appena nato e  Nina sapeva già che mai nessuno avrebbe potuto scrivere poesia più bella.
Alle pareti della grande stanza c’era un poster di Alda Merini, ma lei dall’alto dei cieli, non l’avrebbe mai saputo.

Nessun commento:

Posta un commento