Chi esercita
più potere, ora nel mondo, tra la letteratura e la televisione?
Chi è più
seguito, ascoltato, temuto, emulato, desiderato, citato, tra lo scatolone
catodico e il sommo cuore della vita umana?
E perché,
già che ci siamo con le domande, l'incrocio tra due entità così diffuse e spettacolari
spesso non riesce, quando avviene all'interno di una trasmissione tv?
Rispondere
non è facile, e ci mancherebbe. Piuttosto, si può abbozzare un ragionamento
seguendo il mercoledì su Raiuno, alle 23,30 "Tutto Dante", dove lo
showman Roberto Benigni, classe 1952, aretino, ogni settimana propone un canto
della Divina Commedia.
Nulla di
particolarmente creativo, o innovativo, se si considera l'aspetto tecnico
dell'esposizione di un testo alto rapportato alle vicende quotidiane di chi l’ascolta
narrare; questo, si sa, è il segreto molto di pulcinella della divulgazione
tutta, sia essa scientifica, letteraria o ciò che più vi aggrada.
Ma il lato
più piacevole, del sommo Benigni e del suo approccio alla "Divina
commedia", è la sincera immedesimazione tra il proprio spirito di
terrestre fragile e l'umanissimo viaggio di Dante dalle fogne degli inferi fino
alla luce paradisiaca.
Non c'è
sovrastruttura intellettuale, in altre parole, nei reading di Benigni, e
neppure smania di protagonismo, ma la convinzione che davvero ragionare su
Dante Alighieri possa aiutare i giovani in questi anni feroci, privi di appigli
per una rinascita degna di questo nome.
Il che, in
teoria, potrebbe essere ottimo propellente per una trasmissione come "Tutto
Dante" che tratta di poesia, e quindi per esteso di amore e comprensione
in generale.
E invece no:
il viaggio spirituale verso la meraviglia divina, in questo caso, non porta a
destinazione. Anzi, per chi già non cova solida devozione, è una buona scusa
per svicolare altrove.
Colpa, sia
chiaro, non tanto del meritorio Benigni, -del quale non è qui necessario cantar
lodi, quanto sul difetto cardine che macchia gli spazi tv dove l'azionista di
maggioranza è la letteratura, o perlomeno come nel caso della Divina Commedia,
la verità rivelata di una bellezza indomita ed eterna.
Per converso,
a tanto manifesto sfolgorio mal corrisponde l'aria triste e claustrofobica di un’impervia
collocazione notturna molto più vicina
alle novene di certe vecchie parrocchie, dove (parola di testimone), aldilà dei nobili
intenti manca un po' evidente brillantezza,
un po' di brio passionale da
intervallare a chiari segni di sopore.
Insomma:
volete fare televisione, e volete farla in nome dell’Alighieri su una rete generalista? Ottimo, e
interessante pure: però fatela sul serio, cavalcando le regole -e le
opportunità- del mezzo ad un orario più cristiano e centrale .
Altrimenti
anche i buoni spunti, vedi le pop - lezioni del sommo Benigni diventano il
simbolo delle occasioni sprecate.
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