lunedì 23 marzo 2015

La maglia azzurra non è un tacchino ripieno



La maglia azzurra non è un tacchino ripieno sia chiaro. E spezie esotiche non ingentiliscono la misera scodella del calcio italiano.

Costretto a flettersi sulle ginocchia delle sue infamità figlie di falle intense, l’Italia si rivolge altrove reclutando gente alla spicciolata ignorando i valori interni.

Accade nel mondo flessibile del vivere quotidiano. Succede nel planisfero azzurro di uomini dorati.

Bronzi d’affinata grazia, su un pianeta in rosso .  Moro di stallo tanto da abdicare da solo alla sua funzione un tempo,  catartica e stupefacente oggi ridotta a statica  facciata a dirla tutta neanche tanto bella.

Il buon gusto e il rispetto, per quanto ancora possa interessare il tema, faticano a sopravvivere quando le regole sono truccate, sporche, costruite ad arte per trasformare una maglia gloriosa in pattumiera rovesciata addosso a gente che è colpevole solo di madido abbandono.

Qui non si tratta di critica sportiva o amenità spettacolari da salottino del lunedì pomeriggio.

Qui si racconta di come, con cancerogena crudeltà, una pletora di stranieri ipertatuati subisce un format basato sulla nostra umiliazione, costruita con perseveranza e malizia degne di un poker con i bari al tavolo.

Contenitore di questa macchina dell'insulto è "l’Italia” di oggi, dove una ciurma di giovanotti dell'Italia pallonara comune, smaniosa di infilarsi nella notorietà calcistica, si attacca al corrimano d’Italia per tappare fredde penurie. Obliando ogni responsabilità difensiva, l’area di rigore italiana è oggi  popolata da figurine, la quale dopo un paio di dribbling riusciti (Vasquez), e qualche diagonale vincente (Eder), si scaraventa contro l’Europa  per vedere l'effetto che fa.

Comunque vada, qualunque sia l'impatto e la situazione, il risultato è l'avvilimento delle risorse interne, prostrate davanti al totem della loro inadeguatezza.

Non basterà un Conte a rendere il tutto più nobile. È la scena-oscena di un impoverimento vitamininizzato che tenta di insegnare le buone maniere ai suoi amici di strada. È il contrasto -cercato e trovato- tra il mondo antico più noioso e tradizionale, e quello della forzata integrazione elevata a dogma.

Alla fine, spente le luci, sciolto il clamore, resta la sensazione di  trovarsi  al cospetto di 
un abuso etnico. A una violenza, comunque, non giustificata dalla soddisfazione dei protagonisti stessi.

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