Che quell’amabile storia del
leggere attentamente le avvertenze non fosse solo una velocissima inezia da ingorgo pubblicitario Antonio l’aveva capito subito. Dopo due giorni
di effetti collaterali più o meno terrificanti, si era svegliato alle tre del mattino e sentendosi tutto gonfio in viso era
andato a guardarsi allo specchio strisciando verso il bagno silenzioso come un ladro modalità ninja tartaruga banda rossa Raffaello e, toh, era tutto gonfio
davvero. Tipo che l'occhio destro era talmente gonfio da essere chiuso, il
sinistro stava prendendo pure lui il brutto esempio da quell'altro e lasciava
il campo al labbro inferiore di Valeria Marini nel celebre capolavoro di Bigas
Luna Bambola (1996). Una configurazione facciale utilissima se sei un pugile
italoamericano che ha appena perso ai punti nell’76 l'incontro della vita e
vuole togliersi dai piedi il giornalista rompiscatole per riabbracciare la sua
fidanzata racchia che non si sa dove sia finita. Molto, molto meno in tutte le
altre circostanze .
E così, il tempo di sentirsi occluso e perseguitato da chissà quale
totemica patologia azteca ed era di
nuovo al pronto soccorso, affidato alle amorevoli cure del servizio sanitario
nazionale. Arrivò lì che erano all’incirca le tre e un parcheggio lontanissimo,
e fece immediatamente la figura del babbeo perché nella saletta comunicante c'èra
un tizio che aveva circa la sua età, ma alla propria banale, risibile
intossicazione da antibiotici vedeva e rilanciava con un tentativo di suicidio
con il gas e un intero blister di Xanax ingollato. Stette lì disteso per un
po', ad aspettare che il cortisonico gli restituisse le gioie della visione
binoculare e l'utilizzo della parola, fissando con l'unico occhio al momento
impiegabile il Blu notte Lucarelli terrificante del soffitto. Ed è all’incirca
allora che la scena circostante esplose.
L’aspirante suicida non era pacifico come in un primo momento sembrava, e
il fatto che il padre e tutti quei tizi con il camice bianco si sforzassero di tenerlo a tutti i costi in quella valle di lacrime gli faceva ruotare parecchio le parti basse, pareva. E'
così fu un attimo che si scagliò contro un medico, fu bloccato, ribaltò un
tavolino, arrivarono altri infermieri e un paio di gorilla della vigilanza,
volarono sedie, scappellotti, minacce, un quattordici pollici mivar CRT
residuato degli anni 90, parole, parole grosse, schiaffi a mano aperta. Il quasi
suo coetaneo carburato ad ansiolitico della famiglia delle benzodiazepine e GPL
da bombola Italgas sud avente una qualche formazione in Scienze Naturali alle
spalle e derapate alla Facoltà di Lettere per spiare le coetanee fighe, alternava
in modo incantevole appellativi coloriti a termini propri della biologia
evolutiva. Stronzi, virgulti di meretrice, amebe, lasciatemi stare, ibridi,
parameci, mitocondri. Con stasi serena, dalla propria stanzetta
comunicante, mentre pensava che paramecio fosse, in effetti, un'offesa di un
certo peso, Antonio vide un telefonino sfrecciare a, boh? Un metro? Un metro e mezzo,
Incurante di un occhio solo con le
distanze incasinate, dalla sua testa. Non
mi colpite per cortesia, pensava . Ché se mi prendete in un occhio c'è il
rischio si sgonfi. Ah - ah, ridacchiava da solo come un pugile ebete, mentre
volavano nomi, cose e città che iniziavano tutti per lettere inaudite.
Un'ora più tardi aveva abbastanza kryptonite cortisonica in circolo e i suoi
effetti collaterali iniziarono a sparire. Mentre la royal rumble a tre metri di
distanza entrava nel vivo con l'ingresso sul ring dell'infermiera energumena
tipo Lynda Carter versione Wonder Woman minacciante
TSO e camicie di forza. E quando ravvisò che proprio non serviva, quando rimediò,
pure lei qualche cinquina a tradimento, urlò Adesso ti ammazzo io, altro che
suicidio, stronzo. Nel corridoio partì la ola e nelle orecchie la musica da
rimonta disperata tipica di Holly e Benji Moete Hero momentaneamente sprovvisto del montarozzo di Charlie Brown per campo. In tutto quel chiasso, tutto quel blu, tutto quel soffitto che pareva potesse crollare da un momento all'altro e Carlo Lucarelli che appariva ad intermittenza ebbe la forza di vedere la notte dileguarsi all'incedere acquoso dell'alba reiterare l'arcana disputa di chiaroscuri fare la ruota come pavoni assoluti a ritardare l'avvento del giorno sui rami nudi dei tigli mentre respirava e per la prima volta sentiva che era importante, solo per sentirsi padrone delle proprie emozioni mentre Jhonny Cash bruciava catrame alla radio, guardava L'Ovest frammentato dalle finestre. Il cielo era una bella speranza ma non era libero e per quella mattina non lo avrebbe preso. Non ancora almeno.
In corridoio, giacevano inerti i resti della battaglia che lo aveva accolto nella notte.
Come fosse andata a finire, chi avesse
vinto, cosa ne fosse stato di quel povero disgraziato disperato che cacciava
fuori frasi che al confronto la Regan de l'Esorcista era una carmelitana
scalza, purtroppo non ebbe modo di saperlo, perché alle quattro e venti se ne
tornò a casa. Subito prima di venir via, subito prima che gli staccassero la
flebo e controllassero che non stesse morendo soffocato, subito prima che
qualcuno gli ripetesse per l'ennesima volta che il tizio che gli aveva prescritto
tutti quegli antibiotici per tutti quei giorni doveva essere tipo un pericolosissimo criminale di guerra
fuggito in Patagonia,Antonio rimase per un pezzo a fissare il soffitto e a
pensare alla gente che finiva in quel
posto tutti i giorni e soffriva e non stava bene e avrebbe voluto starsene a
casa propria e invece stava lì a fissare il soffitto come lui in quel momento, udendo urla di dolore e
disperazione. Ed è in quell’attimo che capì: il Blu notte Lucarelli era proprio un colore del cavolo.
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