venerdì 28 agosto 2015

Blu notte Lucarelli



Che quell’amabile storia del leggere attentamente le avvertenze non fosse solo una velocissima inezia da ingorgo pubblicitario  Antonio l’aveva capito subito. Dopo due giorni di effetti collaterali più o meno terrificanti, si era svegliato alle tre  del mattino e sentendosi tutto gonfio in viso era andato a guardarsi allo specchio strisciando verso il bagno silenzioso come un  ladro modalità ninja  tartaruga  banda rossa Raffaello e, toh, era tutto gonfio davvero. Tipo che l'occhio destro era talmente gonfio da essere chiuso, il sinistro stava prendendo pure lui il brutto esempio da quell'altro e lasciava il campo al labbro inferiore di Valeria Marini nel celebre capolavoro di Bigas Luna Bambola (1996). Una configurazione facciale utilissima se sei un pugile italoamericano che ha appena perso ai punti nell’76 l'incontro della vita e vuole togliersi dai piedi il giornalista rompiscatole per riabbracciare la sua fidanzata racchia che non si sa dove sia finita. Molto, molto meno in tutte le altre circostanze .



E così, il tempo di sentirsi occluso e perseguitato da chissà quale totemica patologia  azteca ed era di nuovo al pronto soccorso, affidato alle amorevoli cure del servizio sanitario nazionale. Arrivò lì che erano all’incirca le tre e un parcheggio lontanissimo, e fece immediatamente la figura del babbeo perché nella saletta comunicante c'èra un tizio che aveva circa la sua età, ma alla propria banale, risibile intossicazione da antibiotici vedeva e rilanciava con un tentativo di suicidio con il gas e un intero blister di Xanax ingollato. Stette lì disteso per un po', ad aspettare che il cortisonico gli restituisse le gioie della visione binoculare e l'utilizzo della parola, fissando con l'unico occhio al momento impiegabile il Blu notte Lucarelli terrificante del soffitto. Ed è all’incirca allora che la scena circostante esplose.



L’aspirante suicida non era pacifico come in un primo momento sembrava, e il fatto che il padre e tutti quei tizi con il camice  bianco si sforzassero  di tenerlo a tutti i costi  in quella valle di lacrime gli faceva  ruotare parecchio le parti basse, pareva. E' così fu un attimo che si scagliò contro un medico, fu bloccato, ribaltò un tavolino, arrivarono altri infermieri e un paio di gorilla della vigilanza, volarono sedie, scappellotti, minacce, un quattordici pollici mivar CRT residuato degli anni 90, parole, parole grosse, schiaffi a mano aperta. Il quasi suo coetaneo carburato ad ansiolitico della famiglia delle benzodiazepine e GPL da bombola Italgas sud avente una qualche formazione in Scienze Naturali alle spalle e derapate alla Facoltà di Lettere per spiare le coetanee fighe, alternava in modo incantevole appellativi coloriti a termini propri della biologia evolutiva. Stronzi, virgulti di meretrice, amebe, lasciatemi stare, ibridi, parameci, mitocondri. Con stasi serena, dalla propria stanzetta comunicante, mentre pensava che paramecio fosse, in effetti, un'offesa di un certo peso, Antonio vide un telefonino sfrecciare a, boh? Un metro? Un metro e mezzo, Incurante  di un occhio solo con le distanze incasinate, dalla  sua testa. Non mi colpite per cortesia, pensava . Ché se mi prendete in un occhio c'è il rischio si sgonfi. Ah - ah, ridacchiava da solo come un pugile ebete, mentre volavano nomi, cose e città che iniziavano tutti per lettere inaudite.



Un'ora più tardi aveva abbastanza kryptonite cortisonica in circolo e i suoi effetti collaterali iniziarono a sparire. Mentre la royal rumble a tre metri di distanza entrava nel vivo con l'ingresso sul ring dell'infermiera energumena tipo Lynda Carter versione  Wonder Woman minacciante TSO e camicie di forza. E quando ravvisò che proprio non serviva, quando rimediò, pure lei qualche cinquina a tradimento, urlò Adesso ti ammazzo io, altro che suicidio, stronzo. Nel corridoio partì la ola e nelle orecchie la musica da rimonta disperata tipica di Holly e Benji Moete Hero momentaneamente sprovvisto del montarozzo di Charlie Brown per campo. In tutto quel chiasso, tutto quel blu, tutto quel soffitto che pareva  potesse crollare da un momento all'altro e Carlo Lucarelli che appariva ad intermittenza ebbe la forza di vedere la notte dileguarsi all'incedere acquoso dell'alba reiterare l'arcana disputa di chiaroscuri fare la ruota come pavoni assoluti a ritardare l'avvento del giorno sui rami nudi dei tigli mentre respirava e  per la prima volta sentiva che era importante, solo per sentirsi padrone delle proprie emozioni mentre Jhonny Cash bruciava catrame alla radio, guardava L'Ovest  frammentato  dalle finestre. Il cielo era una bella speranza ma non era libero e per quella   mattina non lo avrebbe preso. Non ancora almeno.
In corridoio, giacevano inerti  i resti della battaglia che lo aveva accolto nella notte.



Come fosse andata a finire, chi avesse vinto, cosa ne fosse stato di quel povero disgraziato disperato che cacciava fuori frasi che al confronto la Regan de l'Esorcista era una carmelitana scalza, purtroppo non ebbe modo di saperlo, perché alle quattro e venti se ne tornò a casa. Subito prima di venir via, subito prima che gli staccassero la flebo e controllassero che non stesse morendo soffocato, subito prima che qualcuno gli ripetesse per l'ennesima volta che il tizio che gli aveva prescritto tutti quegli antibiotici per tutti quei giorni  doveva essere  tipo un pericolosissimo criminale di guerra fuggito in Patagonia,Antonio rimase per un pezzo a fissare il soffitto e a pensare alla gente che finiva  in quel posto tutti i giorni e soffriva e non stava bene e avrebbe voluto starsene a casa propria  e invece stava  lì a fissare il soffitto come  lui in quel momento, udendo urla di dolore e disperazione. Ed è in quell’attimo che capì: il Blu notte Lucarelli era proprio un colore del cavolo.

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